Rimanere in Italia dopo il decreto di espulsione non è reato

Le disposizioni della direttiva 2008/115/CE rendono inammissibile la reclusione di un soggetto per irregolare presenza sul territorio, anche se permane senza giustificato motivo.

La Cassazione con la sentenza n. 46795, depositata il 4 dicembre 2012, ha in tal modo disapplicato l’art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998, per incompatibilità con la normativa comunitaria. Normativa interna reato di violazione del decreto di espulsione. Tale disposizione prevede che la persona straniera che si trovi ad essere su territorio italiano, violando il decreto di espulsione del questore senza poter addurre un giustificato motivo, commette un reato soggetto a pena, anche detentiva. Normativa europea. La direttiva 2008/115/CE, prevede, all’art. 16, che il ricorso al trattenimento ai fini dell’allontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati ed agli obiettivi perseguiti. Il trattenimento è giustificato soltanto per preparare il rimpatrio . Contrasto con norma comunitaria non si applica quella interna. Si vede bene che la pena della reclusione non può perseguire tali obiettivi. Lo Stato italiano avrebbe dovuto adeguare la propria normativa a questi principi. Non avendolo fatto, i giudici sono legittimati a disapplicarla, per incompatibilità con la normativa comunitaria. Otto mesi di reclusione. Il caso trattato dalla Corte di Cassazione era di uno straniero che si era trattenuto sul territorio nazionale in violazione del decreto prefettizio di espulsione. La pena inflitta in primo grado e confermata in secondo, era di otto mesi. Il precedente della Corte di Giustizia. Già la Corte di Giustizia europea aveva avuto modo di esprimersi sul tema, grazie ad una questione pregiudiziale sollevata per una caso simile. Ai giudici degli Stati dell’Unione spetta disapplicare ogni disposizione del d.lgs. n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115 . Non è reato. La Cassazione elimina la pena di otto mesi di reclusione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 6 novembre – 4 dicembre 2012, n. 46795 Presidente Siotto – Relatore Tardio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 28 ottobre 2010 la Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza del 18 maggio 2010 del Tribunale di Bologna, che, all'esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato B.M.K. colpevole del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286 del 1998, per essersi trattenuto nel territorio nazionale in violazione dell'ordine, emesso il 25 aprile 2010 dal Questore di Bologna in esecuzione del decreto prefettizio di espulsione in pari data capo A , e del reato di cui all'art. 4 legge n. 110 del 1975 per avere portato sulla pubblica via e senza giustificato motivo una bomboletta spray, contenente polvere irritante oleoresin capsicum , denominata originai TW 1000 Pepper Fog , e l'aveva condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, e applicata la diminuente per la scelta del rito, alla pena di mesi otto di reclusione per il reato di cui al capo A e di giorni venti di arresto ed euro quaranta di ammenda per il reato di cui al capo C , con confisca e distruzione di quanto in sequestro. La Corte, nel rigettare tutti i motivi di appello che attenevano all'affermazione di responsabilità e al trattamento sanzionatorio, osservava, quanto a quest'ultimo che interessa in questa sede, che - non era ravvisabile alcun nesso tra gli addebiti, per i quali era invocata la disciplina della continuazione fondata sulla esigenza per l'imputato, irregolare sul territorio, di disporre di qualcosa per l'autodifesa, tenuto conto della circostanza che il medesimo, in Italia quantomeno dal 2007, aveva dichiarato di non avere nemici o qualcuno che potesse dargli fastidio - era giustificata l'applicazione della recidiva nell'ambito del formulato giudizio di valenza , per la risalente consolidata deriva delinquenziale dell'imputato, gravato da precedenti in materia di stupefacenti e di violazioni connesse alla sua posizione di straniero irregolare - era del tutto benevolo il giudizio di equivalenza di detta recidiva con le concesse attenuanti generiche ed era congrua l'entità delle pene inflitte, avuto riguardo alla gravità e alla molteplicità dei precedenti - non era pronosticabile l'astensione dell'imputato dalla commissione di ulteriori reati. 2. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore, l'imputato che ne chiede l'annullamento sulla base di due motivi con i quali deduce vizio della motivazione e violazione di legge. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente si duole, in particolare, della disapplicazione dei parametri di giudizio imposti dall'art. 133 cod. pen. per non essere state concesse le circostanze attenuanti generiche in entrambi i gradi del giudizio, nonostante militassero a favore della richiesta il breve lasso di tempo intercorso tra la notifica dei provvedimenti amministrativi di espulsione e di allontanamento e la data di accertamento dei fatti, il contegno procedimentale e processale assunto, e la tenuità del disvalore dell'illecito sotto il profilo della sua offensività. Tale tenuità della condotta antigiuridica, posta in essere, nel suo complesso giustificava anche il minimo edittale e l'esclusione della recidiva contestata. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente contesta la fondatezza dell'omesso riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati, la cui unitarietà deriva dalla collocazione temporale dei fatti e dalla loro tipologia, dalle modalità della condotta e dalla natura del bene leso, dovendo la disponibilità di una bomboletta spray urticante porsi in relazione alle precarie condizioni di vita di esso ricorrente, in permanenza irregolare sul territorio nazionale. Considerato in diritto 1. Deve innanzitutto rilevarsi, quanto alla statuizione per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286 del 1998, che, successivamente al deposito della sentenza impugnata, in data 25 dicembre 2010 hanno acquisito efficacia diretta nell'ordinamento giuridico interno gli articoli 15 e 16 della direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008 del Parlamento europeo e del Consiglio cosiddetta direttiva rimpatri , alla quale lo Stato italiano doveva adeguare la propria normativa entro il 24 dicembre 2010, senza tuttavia provvedervi. 1.1. Al riguardo, la Corte di Giustizia dell'Unione europea, con sentenza resa il 28 aprile 2011 nel procedimento C-61/11 PPU - avente a oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 TFUE, proposta dalla Corte d'appello di Trento nell'ambito del procedimento a carico di Hassen El Dridi, imputato del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286 del 1998 -, ha statuito che le predette disposizioni della direttiva non consentono la normativa di uno Stato membro [ ] che preveda l'irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno sia irregolare, per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo . La Corte ha, quindi, affermato che ai giudici degli Stati dell'Unione spetta disapplicare ogni disposizione del decreto legislativo n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115 , tenendo anche debito conto del principio dell'applicazione retroattiva della legge più mite, che fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri . 1.2. Conseguono a tali principi di diritto la disapplicazione della norma incriminatrice, contestata all'imputato, e l'annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata con riguardo al reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286 de 1998, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Si tratta, di una formula che, secondo un orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, si adatta al caso della inapplicabilità della disposizione penale per effetto della incompatibilità con la normativa comunitaria, stabilita della Corte di Giustizia dell'Unione europea Sez. 7, n. 21579 del 06/03/2008, dep. 29/05/2008, Boujlaib, Rv. 239960 Sez. 1, n. 18586 del 29/04/2011, dep. 11/05/2011, Sterian e altro, Rv. 250233 Sez. 5, n. 26027 del 08/06/2011, dep. 01/07/2011, Marouani, Rv. 250938 . 1.3. Per effetto del disposto annullamento deve essere eliminata la pena inflitta in via autonoma per l'indicato reato nella misura di mesi otto di reclusione. 2. Con riguardo alla ulteriore imputazione per il reato di cui all'art. 4 legge n. 110 del 1975, la censura, sviluppata con il primo motivo, attinente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nei due gradi del giudizio di merito, è aspecifica per la mancanza di correlazione con le ragioni argomentate dalla decisione impugnata, che ha motivatamente confermato, in ragione della molteplicità e gravità dei precedenti, il giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche, già concesse all'imputato per il suo corretto contegno processuale, con la contestata recidiva. Né il ricorso è più specifico nella parte in cui il ricorrente, senza evidenziare con il ricorso alcun significativo elemento di omessa valutazione, si limita a invocare il minimo edittale, già riconosciuto, e a contestare, sotto il solo profilo della sua non obbligatorietà, l'applicazione della contestata recidiva, fondata sulla compiuta valutazione della sua risalente e consolidata deriva delinquenziale. 2.1. È inammissibile la censura sviluppata con il secondo motivo che riguarda il contestato omesso riconoscimento del vicolo della continuazione, per carenza d'interesse sopraggiunta del ricorrente Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 17/02/2012, Marinaj, Rv. 251694 , in dipendenza della mutata situazione intervenuta medio tempore per il già indicato esito del giudizio con riguardo al reato di cui all'art. 14-ter d.lgs. m. 286 del 1998, che ha tolto ogni rilevanza alla questione per il superamento del punto controverso. 2.2. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato con riguardo alla imputazione di cui al capo C . P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286 del 1998, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ed elimina la relativa pena di mesi otto di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.