Il giudice deve rifare i conti se la pena determinata non è adeguatamente motivata

I giudici devono motivare in maniera approfondita la determinazione della pena, specie se si discostano notevolmente dai limiti minimi edittali.

La fattispecie. Il Tribunale di Rimini condannava un uomo a 8 anni di reclusione e al risarcimento del danno in favore della parte civile, per i delitti di maltrattamenti art. 572 c.p. e violenza sessuale artt. 609 bis in rel. All’art. 609 septies c.p. . Condanna confermata anche dai giudici di secondo grado. L’imputato propone ricorso per cassazione. La configurabilità dei reati è provata. Tuttavia, la Corte di legittimità ritiene corretta la decisione dei giudici territoriali di ritenere integrate le fattispecie delittuose i maltrattamenti, confermati anche da vari testimoni, e la violenza sessuale, provata dagli esiti della perizia medico-legale espletata da uno specialista. È la determinazione della pena che non è stata motivata approfonditamente. La questione non chiara della vicenda, però, riguarda la determinazione della pena anche con riferimento ai singoli aumenti per la ritenuta continuazione. Secondo la S.C., infatti, le argomentazioni della Corte di merito sono ispirate a clausole di stile, che potevano e dovevano essere integrate da un giudizio più penetrante anche in relazione alla specificità della vicenda . In conclusione, essendosi discostata notevolmente dai limiti minimi edittali, la Corte distrettuale avrebbe dovuto motivare in maniera più approfondita. Cosa che, visto l’annullamento con rinvio disposto dalla Cassazione, farà un’altra sezione della Corte di appello.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 3 maggio – 4 dicembre 2012, n. 46822 Presidente Squassoni – Relatore Grillo Ritenuto in fatto 1.1 Con sentenza del 20 ottobre 2009 il Tribunale di Rimini dichiarava M.L. , imputato dei delitti di maltrattamenti art. 572 cod. pen. e violenza sessuale artt. 609 bis in rel. All'art. 609 septies cod. pen. in danno di G.M. , colpevole dei detti reati condannandolo - previa concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva - alla pena di anni otto di reclusione oltre alle pene accessorie di legge ed al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita. 1.2. Interposto appello da parte dell'imputato, la Corte di Appello di Bologna in data 12 novembre 2010 confermava la sentenza di primo grado anche ai fini civili la Corte territoriale, dopo aver ripercorso le sequenze della vicenda da un punto di vista storico e richiamato il portato probatorio nei termini enunciati nella sentenza impugnata, ne richiamava anche le argomentazioni sia con riferimento alla credibilità intrinseca ed estrinseca della persona offesa, sia con riferimento alla qualificazione giudica delle condotte tanto per ciò che riguardava il reato di violenza sessuale, avendo escluso che il sanguinamento rettale accusato dalla persona offesa fosse riconducibile a patologie di costei e che rilevando invece che si trattava di conseguenze collegate ad atti di penetrazione anale non consentiti da parte della vittima, quanto per ciò che atteneva al reato di maltrattamenti del quale ricorrevano gli estremi oggettivi e soggettivi , sia con riferimento alla entità della pena ed al corretto calcolo degli aumenti per la ritenuta continuazione. 1.3 Propone ricorso l'imputato a mezzo del proprio difensore deducendo, nell'ordine, i seguenti motivi a erronea applicazione della legge penale art. 5723 cod. pen. per avere il giudice distrettuale ritenuto sussistente il delitto di maltrattamenti in assenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del reato e sulla base di una inesatta e superficiale vantazione delle testimonianze acquisite nel corso del giudizio di primo grado b analogo vizio con riguardo al ritenuto delitto di violenza sessuale, ribadendo la tesi della assenza di prove in ordine agli atti di penetrazione anale che invece la Corte distrettuale aveva ritenuto provati pur non sussistendo elementi - anche di tipo dichiarativo - atti a comprovarle c analogo vizio con riferimento alla quantificazione della pena per effetto della ritenuta continuazione d analogo vizio con riferimento al giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza tra le concesse circostanze attenuanti genetiche e la recidiva che, in quanto facoltativa e risalente nel tempo, la Corte territoriale avrebbe dovuto escludere e della quale invece aveva tenuto conto e analogo vizio con riferimento al criterio di computo della pena in violazione del disposto di cui all'art. 132 cod. pen. f contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in punto di conferma del giudizio di colpevolezza in ordine ad entrambi i reati contestati sulla base di una valutazione superficiale ed approssimativa delle testimonianze acquisite e ed una altrettanto superficiale valutazione circa la qualificazione giuridica delle condotte. 1.4 La difesa della parte civile depositava nei termini rituale memoria difensiva con la quale, richiamati i motivi del ricorso, ne contestava la fondatezza, chiedendo la conferma della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso va accolto nei limiti di cui in motivazione sulla base delle seguenti considerazioni. 2. Va, anzitutto, precisato che la sentenza impugnata richiama nei contenuti la sentenza di primo grado ora, in tema di motivazione per relationem , stante la conferma da parte della Corte di Appello della sentenza di primo grado, va ricordato il principio più volte ribadito da questa Corte, in forza del quale la struttura motivazionale della sentenza di appello, laddove le due pronunce di primo e di secondo grado risultino concordanti nell'analisi e nella vantazione degli elementi di prova posti a base delle rispettive decisioni, si salda e si integra con quella precedente di primo grado Cass. Sez. 1^ 26.6.2000 n. 8886 Cass. Sez. 1^ 2.10.2003 n. 46350 , formando un unico corpo motivazionale cui fare riferimento al fine di valutare la fondatezza e/o ammissibilità del ricorso. La Corte di Appello uniformandosi ai suddetti principi non solo ha richiamato nei suoi punti essenziali la sentenza del Tribunale quanto alla qualificazione giudica dei fatti e alla attribuibilità di essi all'imputato, ma in via del tutto autonoma e facendosi parte diligente in ragione della specificità dei motivi di appello, ha puntualmente esaminato i rilievi critici contenuti nell'atto di appello, rigettando tutte le doglianze mosse dall'appellante con motivazione articolata e nient'affatto ripetitiva delle argomentazioni sviluppate dal Tribunale. 3. Tanto precisato in linea generale, rileva il Collegio che i motivi sub a e b possono essere congiuntamente trattati unitamente a quelli enunciati alla lettera f , in quanto esaminabili per ragioni di priorità logica prima dei motivi di cui ai paragrafi c , d ed e aventi più specifico riferimento al trattamento sanzionatorio. Tutti i motivi suddetti sono privi di fondamento, se non addirittura generici e comunque contenenti censure in fatto inammissibili in sede di legittimità. Invero - con riguardo al reato di maltrattamenti in famiglia -correttamente la Corte petroniana ha qualificato i fatti nell'ambito del delitto p. e p. dall'art. 572 cod. pen., ricordando come ai fini della configurabilità della fattispecie in parola, occorre che lo stato di umiliazione e sofferenza della vittima deve essere ricollegato più che ad atti specifici di tipo vessatorio o prevaricatore ad un generale clima di insopportabilità del regime di vita quotidiano così pag. pag. 9 della sentenza impugnata . Il passaggio motivazionale sul punto da parte della Corte distrettuale va condiviso, tenuto conto che la nozione di maltrattamenti di cui all'art. 572 c.p. seppure non legislativamente definita, presuppone una serie abituale di condotte estrinsecantesi in più atti lesivi di tipo eterogeneo dell'integrità psico-fisica dell'onore, del decoro o in atti di mero disprezzo o prevaricazione del soggetto passivo, posti in essere in un arco temporale ampio, senza un fine specifico. Viene, quindi, attribuito un particolare disvalore soltanto alla reiterata aggressione all'altrui personalità, assegnando autonomo rilievo penale all'imposizione di un sistema di vita caratterizzato da sofferenze, afflizioni, lesioni dell'integrità fisica o psichica, le quali incidono negativamente sulla personalità della vittima e su valori fondamentali propri della dignità e della condizione umana . E solo condotte di tipo occasionale frutto di situazioni contingenti come una conflittualità permanente o strisciante facilmente verificabile in rapporti interpersonali di lunga durata propri della convivenza familiare ostano alla qualificazione della condotta entro il paradigma normativo dell'art. 572 cod. pen. in termini oltre a Cass. Sez. 6, 27.5.2003 n. 37019 Caruso, Rv. 226794,v. anche, da ultimo, Cass. Sez. 6^ 2.12.2010 n. 45037, Dibra, Rv. 249036 . 4. Vero è che il dolo proprio del reato in esame è di tipo generico, implicando la coscienza e volontà da parte dell'agente di sottoporre il familiare convivente in modo continuativo ad un regime di vita intollerabile attuando una serie di comportamenti vessatori sia fisici che morali, così come è vero - e ricordato anche dalla sentenza impugnata - che il dolo in questione può attuarsi in modo graduale e progressivo ed è proprio per questa ragione che la Corte - nel ribadire la genericità dell'elemento volitivo necessaria per il perfezionamento del reato in questione - ha sottolineato come tutte le condotte poste in essere dal M. in un arco temporale esteso risultassero connotate da un precisa volontà da parte del M. di umiliare ed irretire la persona offesa costringendola a subire un regime di vita insopportabile tanto insopportabile, ricorda la Corte bolognese, da giustificare le continue fughe dal domicilio in cui viveva con il M. per rientrare nel domicilio paterno in modo da liberarsi del regime oppressivo costretta a sopportare ad opera del suo compagno vds. pag. 9 della sentenza impugnata . 5. E, quanto al contributo di conoscenza della verità dei fatti apportato dai testimoni, la Corte ha ricordato come alcuni dei testi escussi il padre, una zia della vittima, una cugina hanno parlato di interventi diretti volti a sottrarre la donna alle aggressioni del M. teste G.P.A. , ovvero di presenza in occasione di ingiurie rivolte dal M. alla G. teste I.L. , ovvero ancora, del clima di desolazione che si percepiva alla visione della camera da letto teste P. . Quindi, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, la Corte territoriale non solo ha tenuto conto - come doveroso -delle dichiarazioni della persona offesa che ha ritenuto altamente credibili perché precise, spontanee, non enfatizzate, coerenti e costanti , ma anche del contorno probatorio esterno pienamente compatibile con il narrato della G. . Sotto tale profilo quindi, le censure del ricorrente circa una approssimativa, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione in merito alla attendibilità della vittima ed alla credibilità delle dichiarazioni testimoniali sono del tutto prive di rilievo se non addirittura inammissibili in quanto contenenti censure in fatto in questo senso vanno valutate le censure mosse circa la apparente contraddittorietà tra un'affermazione della Corte che parla di testimonianze a fondamento della sentenza di condanna e qualifica poi quelle stesse testimonianze come elementi di contarono vds. pag. 13 del ricorso . Nessuna contraddittorietà è ravvisabile in tale proposizione in quanto la Corte distrettuale attribuisce alle testimonianze una valenza e collocazione ben precisa, a ragione definita di contorno ma non per sottolinearne la minore importanza, quanto per evidenziarne la integrazione di esse rispetto alle dichiarazioni della vittima correttamente indicate come principali, in modo da formare un unico omogeneo e solido quadro probatorio. 5. Anche le censure rivolte alla Corte per non aver tenuto conto della mancata percezione da parte della madre della G. e dei Carabinieri intervenuti su chiamata dalla donna per la violenza sessuale subita circa lo stato di malessere accusato dalla giovane sanguinamento anale sono del tutto inconsistenti anzitutto perché sostanzialmente rivolte ad una rilettura in chiave alternativa del materiale istruttorio esaminato dalla Corte territoriale ed ancora perché ripropositive di questioni identiche sulle la Corte di Appello aveva fornito una risposta più che plausibile sul piano della logica vds. pag. 8 della sentenza impugnata . Ed analoghe considerazioni vanno svolte con riferimento ai risultati di alcune testimonianze ovvero alla affermata indisponibilità dei certificati medici comprovanti le lesioni subite dalla G. nel corso degli anni perché distrutti dal M. , posto che si tratta di censure o ripropositive di questioni già esaminate in modo adeguato dalla Corte territoriale ovvero contenenti, in modo per di più interrogativo, critiche alla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte, senza nemmeno prospettare una diversa origine. 6. Le considerazioni che precedono valgono anche con riguardo alla qualificazione della condotta di violenza sessuale posto che viene riproposto un tema sanguinamento derivante da una forma di stipsi attribuita alla G. che la Corte territoriale ha esaminato in modo approfondito e sulla base degli esiti di una perizia medico-legale espletata da specialista proctologo che correttamente è stata ritenuta esaustiva rispetto a considerazioni di tipo meramente astratto espresse da altro sanitario un medico-legale non specialista che non aveva sottoposto a visita la G. diversamente da quanto effettuato dallo specialista proctologo che aveva anche potuto valutare l'origine della ragade anale sulla base dell'anamnesi prossima e remota vds. pag. 8 della sentenza impugnata . Si tratta di considerazioni pienamente appaganti sul piano logico ed oltretutto basate su dati oggettivi direttamente constatati dal sanitario e dunque estremamente convincenti sul piano probatorio intrinseco. Peraltro la Corte di Appello ha anche opportunamente sottolineato come la donna nel denunciare la violenza sessuale subita avesse precisato che i rapporti anali comunemente considerati preternaturali e fonte di sensazioni dolorose non erano per nulla graditi, sicché approcci di tal fatta, per di più portati a termine non potevano che essere considerati dalla Corte di merito frutto di una aggressione sessuale posta in essere contro la volontà della persona offesa costretta subire un ennesimo affronto alla sua personalità sotto il profilo della libertà sessuale e ben inserita in un complesso di comportamenti offensivi, violenti ed umilianti tesi a soggiogare la vittima e ridurla in una situazione di isolamento e segregazione. La censura della difesa circa la inesistenza di tale situazione di segregazione in quanto incompatibile con la libertà di movimento di cui la vittima godeva tanto da potersi recare, quando lo avesse voluto, dai propri familiari, oppure frequentare la palestra per i corsi di yoga non ha ragion d'essere in quanto il concetto di segregazione non va interpretato, come preteso dal ricorrente come una situazione di vera e propria schiavitù con perdita della propria libertà, ma come sottoposizione ad un regime di vita oppressivo ed estremamente limitativo della propria libertà di espressione della propria personalità all'interno della coppia del resto la stessa Corte ha ben spiegato come proprio le reiterate permanenze presso la casa dei genitori fossero la prova della situazione di segregazione in cui la donna era costretta a vivere per amore della famiglia e della piccola figlia nata dall'unione con il M. che mal la tollerava. 7. Anche la censura relativa all'immotivato giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e la recidiva appare priva di fondamento, avendo la Corte territoriale offerto una motivazione adeguata del perché dovesse tenersi conto della recidiva sebbene non obbligatoria in quanto collegata ad un giudizio complessivo di pericolosità sociale desunto oltre che dalle modalità di commissione dei fatti anche dalla specificità del precedente. 8. Non appare, invece condivisibile la motivazione della sentenza in punto di determinazione della pena anche con riferimento ai singoli aumenti per la ritenuta continuazione, tenuto conto dei rilievi mossi con l'atto di appello che esigevano una risposta specifica. Le argomentazioni sviluppate dalla Corte territoriale sono sostanzialmente ispirate a clausole di stile che potevano e dovevano essere integrate da un giudizio più penetrante anche in relazione alla specificità della vicenda. Peraltro essendosi la Corte discostata notevolmente dai limiti minimi edittali, sarebbe occorsa una motivazione ben più approfondita che desse conto, al di là dell'affermazione di maniera sulla gravità del fatto e sulla personalità dell'imputato, dell'effettiva gravità dei comportamenti in termini di maggiore concretezza. 9. Va quindi, sul punto relativo alla quantificazione della pena pronunciato annullamento con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna, rigettandosi il ricorso nel resto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla quantificazione della pena con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna. Rigetta nel resto.