Quattro piante di canapa in casa bastano per la condanna

Qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti costituisce condotta penalmente rilevante.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 45919/12, depositata il 26 novembre. Il caso. Un uomo viene condannato in primo grado per aver coltivato quattro piante di canapa indiana nella sua abitazione, dove sono state rinvenute anche delle infiorescenze già tagliate la pronuncia viene però riformata dai giudici di appello, i quali ritengono che la fattispecie sia da ricondurre alla detenzione per uso personale. Ricorre allora per cassazione il Procuratore Generale, sostenendo che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, anche se effettuata per uso personale. Una tutela anticipata. Gli Ermellini accolgono il ricorso, ribadendo che la condotta della coltivazione si caratterizza per una notevole anticipazione della tutela penale e per la valutazione di un pericolo nel pericolo è rilevante, cioè, il rischio - derivante dalla coltivazione - che possa aumentare il quantitativo di droga immesso sul mercato e le conseguenti cessioni della stessa, a danno della salute collettiva. Questa è un bene giuridico primario e ciò giustifica l’anticipo della protezione a uno stadio precedente il pericolo concreto secondo la S.C., inoltre, la tutela penale in merito serve anche a salvaguardare la sicurezza e l’ordine pubblico, nonché le giovani generazioni. Bisogna comunque rispettare il principio di offensività. In ossequio al principio di offensività è necessario, in ogni caso, che il giudice di merito verifichi se la condotta contestata all’agente possa essere assolutamente inidonea a porre in pericolo il bene giuridico protetto, risultando in concreto inoffensiva nel caso specifico, l’offensività può essere esclusa solo quando la sostanza ricavabile dalla coltivazione non risulti idonea a produrre un effetto stupefacente rilevabile in concreto. Per questi motivi la Cassazione annulla con rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 ottobre – 26 novembre 2012, numero 45919 Presidente Fiale – Relatore Amoresano Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Cagliari con sentenza del 15.6.2011, in riforma della sentenza del Tribunale di Cagliari, resa il 25.2.2010, assolveva V.M. dal reato di cui all'articolo 73 DPR 309/90 perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. In primo grado il V. era stato condannato per il reato ascritto, essendo state rinvenute nella sua abitazione quattro piante di canapa indiana, messe a dimora in una serra, e sette infiorescenze già tagliate e messe a seccare. Il Tribunale, disattendendo la tesi difensiva, secondo cui la coltivazione delle piante avveniva per esclusivo uso personale, aveva ritenuto che la condotta fosse idonea a mettere in pericolo il bene tutelato dalla norma incriminatrice in ragione del numero molto elevato di dosi ricavabili. La Corte territoriale, andando di contrario avviso e discostandosi dal principio di diritto affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite numero 28605 del 24.4.2008, riteneva che la coltivazione di piante di sostanza stupefacente, se destinata ad uso personale, rientrasse nell'ipotesi sanzionata in via amministrativa dall'articolo 75 DPR 309/90. Secondo la Corte territoriale la coltivazione di piante di sostanza stupefacente doveva essere ricondotta alla più ampia nozione di detenzione e, pertanto, allorché finalizzata ad uso esclusivamente personale, non rientrava nella previsione di cui all'articolo 73 DPR 309/90. 2. Ricorre per cassazione il P.G. presso la Corte di Appello di Cagliari, denunciando la violazione di legge in relazione agli artt. 73 e 75 DPR 309/90 e vizi di motivazione. Assume che, secondo quanto affermato dalla condivisibile sentenza delle Sezioni Unite, costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, anche se effettuata per uso personale. Peraltro, in ordine alla mancanza di offensività del fatto ed agli elementi che inducevano a ritenere che il V. non avrebbe immesso sul mercato il prodotto delle piante, la sentenza impugnata si limita a mere affermazioni non suffragate da elementi di prova. Le risultanze processuali conducevano, piuttosto, a conclusioni diverse, potendo ricavarsi dalle piante coltivate un numero particolarmente rilevante di dosi di sostanza stupefacente. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza numero 28605 del 24.4.2008, hanno ribadito, aderendo all'indirizzo giurisprudenziale nettamente prevalente, il principio secondo il quale costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale. Hanno evidenziato le Sezioni Unite, quanto alla valutazione della esposizione a pericolo degli interessi oggetto di tutela, che la giurisprudenza costituzionale è ferma nel ritenere che i reati di pericolo presunto non sono astrattamente incompatibili con il principio di offensività. La condotta di coltivazione punibile fin dal momento di messa a dimora dei semi si caratterizza, rispetto agli altri delitti in materia di stupefacenti, quale fattispecie contraddistinta da una notevole anticipazione della tutela penale e dalla valutazione di un pericolo del pericolo , cioè del pericolo, derivante dal possibile esito positivo della condotta, della messa in pericolo degli interessi tutelati dalla normativa in materia di stupefacenti. In tale prospettiva, anche qualora si ritenga che la salvaguardia immediata della salute individuale costituisca, all'esito del referendum abrogativo del 1993, un aspetto della tutela penale in parte ridimensionato, la pericolosità della condotta di coltivazione si correla, nella valutazione della Corte Costituzionale, alle esigenze di tutela della salute collettiva connesse alla valorizzazione del pericolo di spaccio derivante dalla capacità della coltivazione, attraverso l'aumento dei quantitativi di droga, di incrementare le occasioni di cessione della stessa ed il mercato degli stupefacenti fuori del controllo dell'autorità. La salute collettiva è bene giuridico primario che, anche secondo l'elaborazione dottrinale, legittima sicuramente il legislatore ad anticiparne la protezione ad uno stadio precedente il pericolo concreto. Questa Corte Suprema, inoltre, a Sezioni Unite Cass., Sez. Unite, 21.9.1998, Kremi , ha rilevato che i beni oggetto di tutela penale da parte delle fattispecie incriminatrici previste dal D.P.R. numero 309 del 1990, ari 73 sono individuabili, oltre che nella salute pubblica, anche nella sicurezza e nell'ordine pubblico in tal senso si è pure espressa la Corte Costituzionale con la sentenza numero 333/1991 , nonché nella salvaguardia delle giovani generazioni, e può sicuramente affermarsi che l'implemento del mercato degli stupefacenti costituisce anche causa di turbativa per l'ordine pubblico e di allarme sociale . Inoltre, la condotta di coltivazione , anche dopo l'intervento normativo del 2006, non è stata richiamata nel D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 73, comma 1 bis, né nell'articolo 75, comma 1, ma solo nel testo del novellato D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 73, comma 1. Il legislatore, pertanto, ha voluto attribuire a tale condotta comunque e sempre una rilevanza penale, quali che siano le caratteristiche della coltivazione e quale che sia il quantitativo di principio attivo ricavabile dalle parti delle piante da stupefacenti. Imprescindibile è, al riguardo, il rispetto delle garanzie di riserva di legge e di tassatività, tenuto conto che il c.d. problema della droga presenta il pericolo effettivo che la canea ideologica ad esso inerente, in senso vuoi libertario vuoi conservatore e repressivo, induca a risolverlo con schemi di ampliamento e dilatazione ovvero per contro riduttivi. Deve essere pertanto circoscritta al legislatore e ad esso soltanto la responsabilità delle scelte circa i limiti, gli strumenti, le forme di controllo da adottare . Le sezioni unite hanno, poi, sottolineato che è necessario, in ogni caso, la verifica . demandata al giudice del merito dell'offensività specifica della singola condotta in concreto accertata. Il principio di offensivita in forza del quale non è concepibile un reato senza offesa nullum crimen sine iniuria secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale opera su due piani, rispettivamente, della previsione normativa, sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo e, comunque, la messa in pericolo di un bene o interesse oggetto della tutela penale offensività in astratto , e dell'applicazione giurisprudenziale offensività in concreto , quale criterio interpretativo applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l'interesse tutelato così Corte Cost. numero 265/05 e, in senso conforme, vedi pure le decisioni nnumero 360/95, 263/00, 519/00, 354/02 . Nella specie la Corte Costituzionale, come già si è detto, con la sentenza numero 360 del 1995, ha ritenuto che la condotta di coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanze stupefacenti integra un tipico reato di pericolo presunto, connotato dalla necessaria offensività della fattispecie criminosa astratta. In ossequio, però, al principio di offensività inteso nella sua accezione concreta, spetterà al giudice verificare se la condotta, di volta in volta contestata all'agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto risultando in concreto inoffensiva. La condotta é inoffensiva soltanto se il bene tutelato non é stato leso o messo in pericolo anche in grado mimmo irrilevante, infatti, è a tal fine il grado dell'offesa , sicché con riferimento allo specifico caso in esame, la offensività non ricorre soltanto se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non é idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile . 3. Il Collegio non ritiene di discostarsi da tale indirizzo interpretativo, confermato anche dalla giurisprudenza successiva. Anche perché le argomentazioni della sentenza impugnata non superano i rilievi della pronuncia delle Sezioni Unite fondati sul dato normativo. L'articolo 75 DPR 309/90, come sostituito dall'articolo 4 ter del D.L. 30.12.2005 numero 272, conv. in L. numero 49/2006, mediante il riferimento per esclusione alla fattispecie penale di cui all'articolo 73 comma 1 bis, configura invero come illecito amministrativo le condotte di chi importa, esporta, acquista a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti per uso esclusivamente personale, ma non include tra dette condotte quella della coltivazione di sostanze stupefacenti, che, invece, é prevista quale fattispecie criminosa dall'articolo 73 comma 1 del medesimo DPR. Sicché il dato normativo non appare superabile in via interpretativa. È fatta salva l'ipotesi della inoffensività della condotta per inidoneità a porre in pericolo il bene protetto. 4. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari, che terrà conto degli enunciati principi di diritto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari.