Nel darsi alla fuga spintona la persona offesa: configurabile il tentativo di rapina impropria

E’ configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco alla sottrazione della cosa altrui, adoperi violenza o minaccia per procurare a sé o ad altri l’impunità.

Con la sentenza n. 42374 del 30 ottobre 2012, la Corte di Cassazione ha confermato l’indirizzo giurisprudenziale composto recentemente dalle Sezioni unite con la sentenza n. 10 del 19 aprile 2012, nella quale si è risolta positivamente la questione sulla configurabilità del tentativo di rapina impropria allorché l’agente, per cause a lui non imputabili, non porti a termine la sottrazione del bene. Natura giuridica della sottrazione. Come è noto il punto centrale della controversia attiene alla natura giuridica della sottrazione nella configurazione della fattispecie di cui all’art. 628, comma 2, c.p. se essa costituisce un presupposto di fatto della condotta, allora se non si realizza non è ipotizzabile se non un concorso tra tentativo di furto e reato contro la persona violenza o minaccia se invece è un elemento della condotta, trattandosi di reato complesso, il tentativo sarebbe configurabile sia quando non sia stata ancora raggiunta la compiutezza né dell'una né dell'altra componente, sia quando sia stata raggiunta la consumazione dell'una e non quella dell'altra Cass. Pen. Sez. Un. punto 9 del Considerato in diritto sentenza n. 10/2012 . La Sezioni unite hanno, in modo plausibile, respinto la prima opzione facendo propria la seconda impostazione, che è stata ribadita, appunto, con la pronuncia de qua . Nel caso di specie l’imputato aveva tentato un furto in abitazione e aveva usato violenza per assicurarsi l’impunità il giudice dell’udienza preliminare aveva qualificato la condotta sotto una doppia qualificazione tentato furto e violenza privata , applicando il vincolo della continuazione. Il Procuratore generale aveva impugnato la sentenza, denunciando la falsa applicazione della legge penale, dovendosi il tutto riportare nell’alveo della rapina impropria. La Corte di cassazione ha, ovviamente, accolto il ricorso enunciando il principio di diritto sopra riferito. Necessaria una sola osservazione. E’ indubbio che il legislatore abbia ampia discrezionalità nella configurazione delle fattispecie e soprattutto nell’unificarle, sotto il vessillo del reato complesso. E’, tuttavia, innegabile che non può dirsi che ogni equiparazione legale sia di per sé accettabile, alla luce delle evenienze del caso concreto. Il fatto che tanto nella rapina propria, quanto nella rapina impropria, vi sia lesione di beni del patrimonio e della persona, non si può negare che nel primo caso art. 628, comma 1, c.p. la violenza o la minaccia sono a priori i mezzi che il reo vuole usare per portare a termine l’impossessamento del bene nel secondo caso il tutto viene a configurarsi, non solo per consumare l’impossessamento, ma anche per procurare a sé o altri l’impunità, che, in pratica, altro non è se non la fuga. In quest’ultima ipotesi, data l’amplissima varietà dei furti ipotizzabili, voler vedere in ogni atto naturale” di autoprotezione, quand’anche collegato ad una propria condotta illegittima, uno strumento utile o accettato a priori per la consumazione del reato non pare sempre corretto e ciò accade proprio quando il reato patrimoniale non è portato a compimento per fatti in effetti non previsti. Tra furto e rapina impropria. In fondo, la giurisprudenza ormai abbandonata dalla Corte di legittimità, si era accorta di un dato semplice se il furto” non si può portare a compimento ed il reo fugge, egli non è non vuole vincere le resistenze della persona offesa per realizzare interamente la volontà criminale originaria e, quindi, l’uso della violenza e della minaccia si può profilare come un quid di nuovo ed ulteriore rispetto a quel che si voleva realizzare ex ante . Tale novità volitiva determina una responsabilità autonoma, certamente concorrente con quella contro il patrimonio, ma che non può essere sempre e di per sé assorbita nel reato complesso. E’ in quest’ottica che – si crede – va letta l’affermazione, ormai risalente e non più attuale, secondo cui la mancanza di sottrazione della cosa impedisce che la violenza successiva possa assurgere anche solo al rango di atto idoneo diretto in modo non equivoco” alla commissione d’una rapina impropria , posto che nella formazione progressiva della fattispecie, l'imprescindibile nesso temporale tra sottrazione e violenza-minaccia finalizzata rappresenta l'essenza caratterizzante della rapina impropria, nel senso che il secondo comportamento, qualora rimanga avulso dalla prima venuto a mancare , può solo assumere rilevanza autonoma reato di lesioni e-o minaccia così Cass. Pen. Sez. V sentenza n. 3796/1999 . Oggi, secondo la giurisprudenza di legittimità, chi vuole compiere un furto senza violenza o minaccia, vuole in sostanza anche assicurare a sé o altri con violenza o minaccia la propria impunità, anche quando il furto non può essere portato a termine per fatti non prevedibili ex ante dal reo e la volontà violenta, per darsi alla fuga, sorga solo a seguito di dette evenienze. Che ciò sia sempre ed in ogni luogo, è cosa su cui si permette di dubitare, non per ingenuo ed acritico desiderio di mitezza delle pene ma per amore della scienza criminale.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 5 - 30 ottobre 2012, n. 42374 Presidente Petti – Relatore Carelli Palombi di Montrone Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 25/1/2011, il giudice dell'udienza preliminare del tribunale di Savona dichiarava D.G. colpevole dei reati di tentato furto in abitazione e violenza privata, così diversamente qualificati i fatti contestati come tentativo di rapina impropria aggravata ai sensi degli artt. 110, 56, 628 commi 1, 2, 3 nn. 1, 3, 3-bis cod. pen., ed, applicata la diminuente per il vizio parziale di mente ritenuta equivalente alla recidiva, ritenuta la continuazione e la diminuente per la scelta del rito, lo condannava alla pena di mesi sei e giorni venti di reclusione ed Euro 600,00 di multa. 2. Avverso la suddetta sentenza propone ricorso il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Genova, sollevando il seguente motivo di gravame violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b cod. proc. pen. dovendosi ritenere sussistente il tentativo di rapina impropria quando l'agente, dopo avere compiuto atti idonei all'impossessamento della cosa altrui che si sono arrestati per cause indipendenti dalla sua volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l'impunità. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato. La questione relativa alla configurabilità del tentativo di rapina impropria nel caso in cui la condotta di sottrazione della cosa non venga completata per cause indipendenti dalla volontà dell'agente è stata definitivamente risulta dalle sezioni unite di questa Corte, con recentissima decisione che il Collegio ritiene di dovere condividere integralmente sez. U n. 10 del 19/4/2012, Reina . Il caso di specie attiene proprio al principio di diritto affermato dalle sezioni unite nella citata decisione difatti dall'imputazione risulta che il ricorrente, dopo avere compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di quanto detenuto dalla persona offesa all'interno della propria stanza in un istituto ove alloggiava, nel darsi alla fuga, usava violenza nei confronti della stessa consistita nello spintonarlo, al fine di conseguire l'impunità. E le sezioni unite hanno fatto proprio l'orientamento maggioritario in base al quale si è da tempo ritenuto configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l'agente, dopo avere compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di res altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l'impunità. Nel fare ciò viene adeguatamente confutato l'argomento letterale sostenuto dalla gran parte della dottrina derivante dalla lettura dell'art. 628 cpv. cod. pen. in base al quale la tesi della configurabilità del tentativo di rapina impropria si porrebbe in contrasto con il principio di legalità e con il divieto di analogia. Il ragionamento parte da una fondamentale premessa, condivisa dalla dottrina, circa la natura plurioffensiva del reato di rapina e la sua caratteristica di reato complesso all'azione di sottrazione ed impossessamento tipica del furto si aggiunge quella della violenza alla persona o della minaccia. Nel genere rapina vengono poi individuate due diverse fattispecie sottoposte allo stesso trattamento sanzionatorio la rapina propria e quella impropria nella prima la violenza o la minaccia rappresentano il mezzo, che potrà essere precedente o concomitante all'impossessamento, attraverso il quale si realizza l'offesa al patrimonio nella seconda, invece, la violenza o la minaccia sono volte ad assicurare all'agente il possesso della cosa sottratta o, in alternativa, l'impunità. Si passa, quindi, a fornire una precisa e condivisibile lettura del dato letterale contenuto nell'art. 628 comma 2 cod. pen. immediatamente dopo la sottrazione”, chiarendo che con esso il legislatore si è inteso riferire alla necessità di un collegamento logico temporale tra la condotta di aggressione al patrimonio e quella di aggressione alla persona che sia tale da non interrompere il nesso di contestualità della complessiva azione posta in essere. Ciò, appunto, giustifica la previsione di uno stesso trattamento sanzionatorio per la rapina propria e per quella impropria, prescindendosi dall'essere la relativa condotta consumata o solo tentata. Con riferimento poi alla tematica del delitto complesso, si ritiene di dovere aderire all'opinione largamente maggioritaria in base alla quale il tentativo di delitto complesso è configurabile sia quando non sia stata ancora raggiunta la compiutezza né dell'una né dell'altra componente, sia quando sia stata raggiunta la consumazione dell'una e non quella dell'altra. Di conseguenza chi tenta un furto senza realizzare la sottrazione della cosa e commette immediatamente dopo una violenza contro la persona, con la finalità di assicurarsi l'impunità in relazione al tentativo di furto appena commesso, dovrà rispondere di tentativo di rapina impropria, in quanto l'azione violenta risulta strumentale al tentativo di impossessamento della cosa mobile altrui e resta in essa assorbita. E da ultimo vengono confutate quelle ragioni di politica criminale in forza delle quali non si giustificherebbe l'applicazione del regime sanzionatorio della rapina rispetto a fatti che si ritiene non siano dotati di un così significativo disvalore. Viceversa è proprio frutto di una valutazione del legislatore la scelta di riconoscere un maggior disvalore sociale ad un'azione violenza o minacciosa comunque connessa ad un'aggressione al patrimonio, prescindendo dal fatto che l'evento si sia o meno realizzato. 4. La sentenza impugnata deve essere, per le considerazioni sopra esposte, annullata con rinvio al tribunale di Savona per nuovo esame. Al riguardo, in base a quanto previsto dall’art. 173, comma 2 disp. att. cod. proc. pen., il giudice di rinvio, dovrà attenersi al seguente principio di diritto è configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo avere compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco alla sottrazione della cosa altrui, adoperi violenza o minaccia per procurare a sé o ad altri l’impunità. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Genova.