Estrazione in terreni di terzi? I dirigenti se la “cavano” grazie alla prescrizione

La cava sconfina in terreni di proprietà di terzi amministratrice unica e direttore tecnico sono penalmente responsabili. E' la prescrizione che estingue i reati, anche se il risarcimento danni in favore delle parti civili è comunque dovuto.

La fattispecie. L’amministratrice unica e il direttore tecnico di una s.r.l. venivano condannati, in entrambi i giudizi di merito, per aver autorizzato scavi ed estrazioni su lotti di terreno non previsti dall’originario progetto - con condanna al risarcimento danni in favore dei proprietari dei fondi in cui è avvenuto lo sconfinamento – e per aver omesso di collocare segnali e apparecchi destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro all’interno dell’area in cui avveniva l’attività di cava. Reati prescritti. Il ricorso per cassazione viene presentato da entrambi gli imputati. Il Supremo Consesso rileva preliminarmente che i reati contestati sono prescritti. Infatti, nella fattispecie si applica – precisa la Cassazione – il termine prescrizionale di 7 anni e mezzo previsto dagli artt. 157-161 c.p.p. . La sentenza impugnata, quindi, deve essere annullata. Tuttavia, poiché gli imputati sono stati condannati anche al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, la Cassazione deve decidere i ricorsi ai soli effetti civili. Chi è il responsabile dei servizi di prevenzione e protezione in materia di infortuni sul lavoro? Per prima cosa gli Ermellini affermano che l’amministratrice unica non ha prodotto alcuna delega da cui desumere che il solo responsabile dei servizi di prevenzione e protezione in materia di infortuni sul lavoro fosse l’altro coimputato, cioè il direttore tecnico, per cui la responsabilità è da attribuirsi a entrambi gli imputati. Le condotte incriminate sono ascrivibili a entrambi gli imputati. Inoltre, già nel giudizio di merito, era stato messo in evidenza che la scelta di estendere la cava oltre i confini dei terreni di cui la società aveva la disponibilità giuridica è ascrivibile sia all’amministratrice che al direttore tecnico. Per queste ragioni, la sentenza viene annullata senza rinvio per l’avvenuta prescrizione dei reati, ferme restando le statuizioni civili.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 14 giugno – 10 settembre 2012, n. 34493 Presidente Milo – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d'appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza emessa il 20 febbraio 2008 dal Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, ha confermato la responsabilità di P I. e S.F., rispettivamente amministratrice unica e direttore tecnico della società SIGECO s.r.l., per i reati loro contestati ai capi B e C , in relazione alle operazioni di scavo e di estrazione di materiali effettuati su lotti di terreno non previsti nell'originario progetto di cava e nel titolo autorizzatorio artt. 624, 625 n. 2, 632 e 635 c.p. , nonché al capo A , per l'omessa collocazione di segnali e apparecchi destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro all'interno dell'area in cui avveniva l'attività di cava art. 437 c.p. e ha dichiarato l'estinzione dei reati di cui ai capi D ed E , contestati alla sola I. , per intervenuta prescrizione, con conseguente rideterminazione della pena in relazione agli altri reati nel resto ha confermato la decisione del primo giudice anche per quanto riguarda le condanne al risarcimento dei danni in favore dei proprietari dei fondi in cui è avvenuto lo sconfinamento, costituitisi parte civile. 2. Entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione tramite il comune difensore. 2.1. Nel ricorso presentato nell'interesse di I.P. è stata riproposta l'eccezione di nullità della sentenza di primo grado perché fondata sull'informativa dei Carabinieri del 31.12.2003 illegittimamente contenuta nel fascicolo del dibattimento ed utilizzata ai fini della decisione. Con il secondo motivo si censura la sentenza per avere ritenuto la I. responsabile dei reati di cui ai capi B e C sulla base di una semplice presunzione legata al suo ruolo di amministratrice unica, senza alcuna verifica circa un suo eventuale contributo effettivo all'azione delittuosa e, soprattutto, senza considerare una serie di testimonianze che hanno dimostrato l'assoluta estraneità dell'imputata nella scelta di realizzare lo sconfinamento territoriale. Con un ulteriore motivo si deduce l’erronea applicazione del reato di cui all'art. 437 c.p. contestato al capo A , per non aver tenuto presente che nella SIGECO s.r.l. il responsabile dei servizi di prevenzione e protezione in materia di infortuni sul lavoro era F S. , sicché nessuna responsabilità può rinvenirsi a carico dell'imputata, quale amministratrice e legale rappresentante della società inoltre, la sentenza motiva in maniera illogica sull'elemento soggettivo, ritenuto sussistente nonostante all'imputata non siano mai state contestate violazioni della normativa antinfortunistica. Con l'ultimo motivo viene contestata la legittimazione di C.G. , T C. e M C. a costituirsi come parti civili, non risultando formali proprietari dei lotti di terreno oggetto dello sconfinamento, circostanza peraltro provata in base alla perizia del geom. N. , ma non presa in esame dai giudici di appello. 2.2. Anche il ricorso proposto nell'interesse di S.F. contiene, al primo motivo, l'eccezione di nullità della sentenza di primo grado perché fondata sull'informativa dei Carabinieri illegittimamente acquisita al fascicolo del dibattimento. Con riferimento ai reati di cui ai capi B e C si censura la decisione per avere ritenuto responsabile l'imputato solo in considerazione della sua posizione all'interno della società e si rileva come lo stesso non avesse funzioni di direttore tecnico, ma solo di responsabile dei servizi di prevenzione e protezione, sicché non aveva la responsabilità del cantiere, per cui non gli si poteva imputare la scelta di operare lo sconfinamento dell'attività estrattiva, circostanze queste desumibili da alcune testimonianze del tutto trascurate dai giudici, come quella resa da A. il quale ha dichiarato che l'attività di estrazione era gestita da S.A. , padre dell'imputato. Nel ricorso si contesta anche la sussistenza del reato di cui all'art. 437 c.p. capo A , rilevando la mancanza dell'elemento soggettivo del dolo, dal momento che all'imputato le violazioni in materia antinfortunistica sarebbero state contestate solo con il sequestro preventivo per cui non sarebbe configurabile una omissione dolosa atteso che non è ipotizzabile una consapevolezza delle irregolarità compiute. Infine, anche S. contesta la legittimazione di C.G. , T C. e M C. a costituirsi come parti civili, replicando le motivazioni svolte nel ricorso della coimputata. Considerato in diritto 3. Preliminarmente si rileva che anche i residui reati contestati agli imputati ai capi a , b e c sono prescritti. Infatti, nella specie si applica il termine prescrizionale di sette anni e mezzo previsto dagli artt. 157 - 161 c.p.p., come modificati dalla legge n. 251/2005, sicché tenuto conto che i reati risultano consumati fino al 2.12.2003 essi devono ritenersi estinti per prescrizione alla data del 2.6.2011. Il Collegio non ritiene di dover esaminare il motivo con cui entrambi i ricorrenti hanno eccepito, con il primo motivo contenuto nei loro rispettivi ricorsi, la nullità della sentenza di primo grado infatti, qualora risulti una causa di estinzione del reato, la sussistenza di una nullità di ordine generale non è rilevabile nel giudizio di legittimità, perché l'inevitabile rinvio al giudice del merito è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva Sez. un., 28 novembre 2001, n. 1021, Cremonese . Ne consegue che, ai sensi dell'art. 129 comma 1 c.p.p., la sentenza impugnata deve essere annullata non potendosi procedere nei confronti degli imputati per la suddetta causa di estinzione del reato. 4. Tuttavia, poiché con la sentenza impugnata gli imputati sono stati anche condannati al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili la dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione impone comunque la decisione dei ricorsi ai soli effetti delle disposizioni e dei capi che concernono gli interessi civili, ai sensi dell'art. 578 c.p.p 4.1. Il primo motivo, comune ad entrambi i ricorsi, è infondato, in quanto la stessa sentenza impugnata ha specificamente escluso di avere utilizzato T informativa contestata ai fini della valutazione sulla responsabilità degli imputati peraltro, si deve rilevare che nessuno dei ricorrenti ha dedotto alcunché in ordine al rilievo che detta informativa avrebbe avuto sulla decisione dei giudici di merito. 4.2. Infondati sono anche i motivi con cui gli imputati contestano la loro ritenuta responsabilità per i reati di cui ai capi b e c si tratta, infatti, di censure che attengono, prevalentemente, alla motivazione della sentenza, ma che non indicano contraddizioni o illogicità manifeste rispetto alle argomentazioni contenute nella decisione impugnata, sicché le critiche si limitano a proporre una lettura diversa e alternativa degli elementi di prova rispetto a quella che hanno fatto i giudici, finendo così per dedurre motivi non consentiti in sede di legittimità. D'altra parte, la Corte d'appello ha confermato la responsabilità penale in ordine allo sconfinamento e alla successiva attività di estrazione del materiale inerte artt. 624, 625 n. 2, 632 e 635 c.p. di cui ai capi b e c sulla base di una corretta applicazione delle norme penali e di una coerente motivazione, avendo messo in evidenza come la scelta di estendere la cava oltre i confini dei terreni di cui la Sigeco aveva la disponibilità giuridica in forza della specifica autorizzazione è ascrivibile all'Impiota, in qualità di amministratore unico, e al S. , quale direttore tecnico, rilevando come non siano emersi elementi che possano far ritenere che tale scelta sia stata adottata all'insaputa dell’amministratore della società e del direttore tecnico. 4.3. Infondati sono anche i motivi con cui gli imputati contestano la sussistenza del reato di cui al capo a . L'I. ha dedotto l'erronea applicazione dell'art. 437 c.p., sostenendo che il responsabile dei servizi di prevenzione e protezione in materia di infortuni sul lavoro fosse il solo coimputato S. , ma non ha prodotto, né indicato alcuna delega da cui desumere tale situazione organizzativa interna alla società, per cui correttamente i giudici di merito l'hanno ritenuta responsabile del reato in oggetto nella sua qualità di amministratore unico, come tale responsabile di dare attuazione alle misure di sicurezza e antinfortunistiche di cui è stata accertata la mancanza all'interno dello stabilimento. Inoltre, entrambi gli imputati contestano la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 437 c.p., ma senza considerare che sul punto la sentenza d'appello ha offerto loro una risposta completa, evidenziando come il reato sia punibile a titolo di dolo generico, che richiede la semplice coscienza e volontà di non adempiere all'obbligo giuridico di collocare gli impianti destinati a prevenire gli infortuni. Nella specie, il dolo è stato desunto sulla base di una situazione di effettivo e oggettivo pericolo riscontrato nella cava, situazione conosciuta dagli imputati proprio a causa della mancanza delle più elementari cautele contro gli infortuni. Si tratta di una motivazione coerente, che ha desunto l'esistenza dell'elemento soggettivo da dati concreti e che non merita le critiche contenute nei ricorsi. 4.3. Infine, sono da ritenere generici i motivi con cui i due imputati tornano a contestare la legittimazione dei soggetti costituitisi come parti civili, in quanto non tengono minimamente conto della motivazione con cui la Corte territoriale ha respinto le identiche doglianze proposte in sede di appello. 4.4. In conclusione, le statuizioni riguardanti gli interessi civili devono essere confermate. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.