«Lei non sa chi sono io»: l’arroganza è reato

La sola attitudine della condotta ad intimorire è sufficiente per configurare il reato di minaccia. Punita l’arroganza l’espressione Lei non sa chi sono io te la farò pagare configura un reato.

Il caso. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11621/2012 depositata il 26 marzo, ha affermato che l’espressione Lei non sa chi sono io te la farò pagare configura un reato e ha accolto la richiesta del procuratore che chiedeva la condanna per ingiurie e minacce dell’imputato. Lei non sa chi sono io ? È una minaccia. La S.C., infatti, al contrario di quanto disposto dal giudice del merito, ritiene minacciosa l’espressione Lei non sa chi sono io te la farò pagare . L’espressione - chiarisce la Corte di Cassazione - va letta in combinato disposto con la promessa di una vendetta che può essere percepita dall’ascoltatore più plausibile, proprio perché chi la pronuncia lascia intendere di essere in una posizione in cui può nuocere. La sola propsettazione del pericolo di un male ingiusto è reato. In pratica, gli Ermellini precisano che nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima e non è necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente, ma è sufficiente – conclude la Cassazione - la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante l’indeterminatezza del male minacciato purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 gennaio – 26 marzo 2012, n. 11621 Presidente Marasca – Relatore Savani In fatto e diritto Con la sentenza in epigrafe il Giudice di pace di Salerno ha assolto G.A. dai delitti lui ascritti, di ingiurie e minacce nei confronti di C.L. , commessi, in ipotesi accusatoria, il 13 gennaio 2006, ritenendo l'inidoneità offensiva delle espressioni asseritamente minacciose e l'esimente della provocazione per quel che riguarda le ingiurie. Propone ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Salerno, il quale deduce violazione di legge sostanziale e processuale. In particolare lamenta il P.G. che il giudice di merito non abbia indicato in cosa sarebbe consistito il fatto ingiusto che, nell'occasione per cui si procede, avrebbe potuto legittimamente scatenare la reazione ingiuriosa da parte dell'imputato nei confronti della p.c., irrilevanti essendo per il ricorrente situazioni pregresse di conflittualità e di ostilità, che apparirebbero più che altro aver determinato un risentimento latente irrilevante ai fini dell'esimente , piuttosto che uno stato di ira che, seppur non contestuale, dovrebbe mantenere quei caratteri di immediatezza che lo distinguerebbero da moventi diversi, quali un covato rancore. Si duole poi il ricorrente che il Giudice di pace, per giustificare la propria decisione, si sia riferito ad una querela che non risulterebbe mai essere stata acquisita legalmente, né indicata fra gli atti utilizzabili per la decisione. In merito alle minacce deduce che, seppur l'espressione lei non sa chi sono io si possa considerare non minacciosa, tuttavia il Giudice di pace avrebbe errato nel considerare non minacciose le restanti espressioni di cui al capo di imputazione, con particolare riguardo a quella te la farò pagare che avrebbe un'oggettiva idoneità a creare turbamento nel destinatario ed avrebbe rilevanza indipendentemente dal timore che in concreto possa aver determinato nella persona offesa. Ha depositato il G. più memorie con cui contrasta diffusamente le argomentazioni del Procuratore generale e lamenta nei suoi riguardi una sorta di persecuzione giudiziaria. Ha poi chiesto il rinvio dell'odierna udienza per un impedimento personale. Rileva in primo luogo il Collegio che, con la regolare notifica dell'avviso di udienza al difensore abilitato al patrocinio avanti le giurisdizioni superiori, si è validamente costituito il rapporto processuale, non essendo prevista per il giudizio di legittimità la partecipazione personale delle parti private, con la conseguenza che non può aver rilievo in questa sede il personale impedimento del prevenuto. Nel merito il ricorso del Procuratore generale appare fondato. Invero, il Giudice di pace ha dato per accertata resistenza di un fatto ingiusto attribuibile alla C. o la ragionevolezza dell'ipotesi in capo all'agente del ricorrere del fatto ingiusto in base al solo contenuto di una querela che il G. aveva presentato contro la C. lo stesso giorno 13 gennaio 2006 del fatto per cui si procede. Ma non spiega come ritenga accertato nella sua materialità il fatto ingiusto, un comportamento che sia riconducibile alla p.o., mentre si basa solo sulla querela depositata in allegato ad una memoria di parte, dando per scontato che la presentazione di quella querela possa dimostrare l'esistenza di pregresse situazioni di conflittualità tra la C. ed il GR. , del quale non chiarisce i rapporti con la CI. che ne qualificassero l'intervento nelle vicende pregresse e giustificassero un suo personale stato d'ira proprio il giorno del fatto in aula. La sentenza impugnata, inoltre, non chiarisce come ritenga accertato il requisito dell'immediatezza della reazione, posto che non indica in che termini, anche temporali, si fossero verificati i pretesi atti illeciti della C. , e non è quindi dato comprendere se la pretesa reazione del prevenuto fosse stata immediata, nel senso che il ritardo nella reazione potesse esser dipeso unicamente dalla natura e dalle esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l'offesa, e non fosse piuttosto un'azione determinata da risentimento o rancore, pulsioni ben diverse dall'ira. Quanto all'imputazione di minacce ritiene il Collegio che l'espressione di cui alla rubrica debba essere valutata nel suo complesso e che il giudice di merito non si sia soffermato adeguatamente a considerare il contesto in cui si inseriva, escludendone ogni idoneità minatoria, laddove l'espressione andava, e andrà valutata dal giudice del rinvio nel concreto ambito nel quale era stata pronunciata, in un contesto cioè di alta tensione verbale, da persona che utilizzando l'espressione che l’avrebbe fatta pagare alla C. essendone capace non sai chi sono io colorava e riempiva di contenuti minacciosi la frase pronunciata, perché nulla ne circoscriveva il significato all'adozione di iniziative lecite, e la supposizione in quel senso del giudice non è collegata a concreti agganci alla realtà di quel momento. Al proposito questa Corte ha ritenuto Sez. 5, sent. n. 31693 del 7/6/2001, Rv. 219851, ric. Tretter che nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall'autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest'ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante l'indeterminatezza del male minacciato purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente. La sentenza impugnata andrà quindi annullata con rinvio al giudice di merito per un nuovo esame che rivaluti le risultanze processuali secondo le indicazioni sopra evidenziate e provveda sulle spese sostenute in questo grado dalla parte civile. P.Q.M. La Corte - Rigetta l'istanza di rinvio non essendo necessaria la presenza dell'imputato nel procedimento di legittimità - Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Giudice di pace di Salerno spese di parte civile al definitivo.