Comunanza di intenti con il fratello mafioso? Non basta per rimanere dietro le sbarre

La sola comunanza di intenti con il fratello mafioso non è sufficiente all'applicazione della custodia cautelare in carcere.

La fattispecie. Spaccio di droga, in particolare cocaina, nel territorio di Catania e il fratello di un esponente di spicco della criminalità organizzata locale finisce in carcere. Se per l’accusa di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti art. 73 d.p.r. n. 309/90 il Tribunale del riesame annullava l’ordinanza di custodia cautelare, questa misura veniva confermata in relazione al reato associativo. In carcere per un colloquio con il fratello. Il grave compendio indiziario a carico dell’imputato per il reato associativo emergeva da un colloquio intercorso in carcere fra lui e suo fratello. Per questo motivo, l’imputato presenta ricorso per cassazione deducendo mancata e insufficiente motivazione. Nello specifico, durante il colloquio tra i due fratelli, era emerso che l’indagato aveva confidato al fratello di godere di un certo rispetto all’interno del carcere e di volersi mettere a disposizione del gruppo, una volta scarcerato. Per la difesa, però, risultano assolutamente mancanti gli elementi costitutivi dell’associazione, quali l’ affectio societatis ed il dolo di partecipazione . La comunanza di intenti non è sufficiente. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3324/2012 depositata il 26 gennaio, accoglie il ricorso e precisa che, nel caso di specie, il colloquio tra i due è certamente significativo di una comunanza di intenti e di condivisione della filosofia mafiosa, nonché di una volontà di adesione futura, nel momento dell’emergenza seguita all’arresto dei sodali, piuttosto che dimostrativo di un’appartenenza risalente . In conclusione, dal colloquio non emerge una attiva partecipazione del ricorrente all’associazione criminale, ma soltanto una volontà futura di parteciparvi.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 21 dicembre 2011 – 26 gennaio 2012, n. 3324 Presidente Siotto – Relatore Caprioglio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 22.4.2011, il Tribunale di Catania, investito ex art. 309 cod. procomma pen., annullava l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa a carico di T.C. cl. , dal gip presso il Tribunale di Catania, in relazione al reato sub B - violazione art. 73 dpr 309790- e la confermava in relazione al reato associativo, di cui al capo A. L'attività investigativa aveva segnato un successo con il sequestro di kg. 30 di cocaina, il 15.10.2008, a seguito del quale erano stati attivati servizi di controllo sia telefonico che sul territorio catanese, in particolare sulla via Mulino a Vento, luogo di spaccio, che portava all'arresto in flagranza di numerosi spacciatori. Le indagini consentivano di fare luce su una struttura piramidale che faceva capo a Tr.Ca. , cl. ed a C.S. , così come aveva rappresentato il collaboratore P.V. , che aveva riferito che uno/due chili di cocaina a settimana veniva fornita da Tr.Ca. cl. al gruppo di sua appartenenza, a credito, al prezzo di favore di 50.000 Euro al chilo che i due gestivano la piazza di via omissis , disponendo di decine di giovanotti che diffondevano lo stupefacente presso terzi. Veniva ricordato che T.C. , odierno indagato, era stato arrestato il 17.4.2009, proprio in via omissis per detenzione illecita di cocaina ed il grave compendio indiziario a suo carico per il reato associativo emergeva da un colloquio intercorso in carcere fra lui ed il fratello G. , in data 24 aprile successivo, allorquando disse che lo avevano mandato in via omissis che era la migliore piazza di omissis in altro passaggio, l'indagato confidava al fratello di godere di un certo rispetto all'interno del carcere ed il fratello lo aveva rassicurato sul fatto che avrebbe mandato i denari a tutte le famiglie, verosimilmente degli arrestati, che aveva elencato. E ancora il fratello G. diceva a C. che avrebbe dovuto uscire subito dal carcere, perché aveva bisogno di lui, essendo stati tutti arrestati lo esortava a capire se in carcere qualcuno avesse avuto bisogno di aiuto, cosicché si sarebbe prodigato per farglielo avere. I giudici della cautela ritenevano quindi che l'episodio per cui il T. venne arrestato il 17.4.2009 si doveva inserire in una diversa e più ampia partecipazione al delitto associativo. 2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione la difesa dell'indagato per dedurre, con unico motivo, erronea applicazione e/o interpretazione dell'art. 74 dpr 309/90, nonché mancanza e insufficiente motivazione. Non sussisterebbero i gravi indizi del reato di cui all'art. 74 dpr 309/90, poiché non vi è alcun riscontro oggettivo all'intervenuto acquisto o vendita per conto dell'associazione, né prova di contatti con altri soggetti dell'associazione in merito al sodalizio, agli incassi, alla tenuta di una cassa comune, ovvero di consapevolezza di apporto di un contributo alla societas sceleris . Non sussisterebbe neppure prova di cessioni per conto terzi al di fuori di quella per cui T. venne arrestato in flagranza, - occasione in cui operò per mero interesse personale per ricavare un profitto per il proprio consumo - avendo attirato l'attenzione degli investigatori a causa dell'ingombrante fratello, G. . Non solo, ma secondo la difesa è proprio dal colloquio intercettato in carcere con questi che si evince come il C. non conoscesse affiliati della presunta associazione, non sapesse come avveniva la gestione del denaro e subisse i rimproveri del fratello, quanto al fatto di essere ricaduto nel vizio della tossicodipendenza. Viene quindi rilevato il vizio di motivazione, avendo il Tribunale preso le mosse da un unico episodio, disancorato da logiche associative per trame un'illogica conclusione quanto alla di lui partecipazione alla societas , laddove risultano assolutamente mancanti gli elementi costitutivi dell'associazione, quali l' affectio societatis ed il dolo di partecipazione. Una condotta con carattere episodico e che risponda a movente del tutto autonomo non può configurarsi come condotta di partecipazione al reato associativo, ragione per cui il modus operandi del T. , non poteva rivestire gli estremi del contributo causale rilevante. Viene ricordata quindi la differenza tra indizio e circostanza priva di valore indiziario, viene sottolineato come la gravità dell'indizio vada correlata alla specificità e cioè alla capacità di attribuire il fatto concreto al soggetto sottoposto ad indagine, rimarcando come nel caso di specie manchi la specificità dell'indizio e tale deficit non consenta di suffragare il postulato dell'appartenenza del T. alla presunta associazione ex art. 74 dpr 309/90. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e deve essere accolto. L'indagato è risultato sicuramente coinvolto in un'attività di cessione di stupefacente nella zona più calda di Catania, per quanto riguarda il narcotraffico, ma gli elementi indiziari che lo vedono coinvolto ad un livello più alto, fino al punto da farlo ritenere parte di un sodalizio criminoso, facente capo all'omonimo parente, sono stati affidati al contenuto di un colloquio intercorso con il fratello G. , avvenuto in carcere, nel corso del quale l'indagato avrebbe manifestato il suo compiacimento per la deferenza riconosciutagli dagli altri detenuti, avrebbe manifestato tutta la sua volontà di mettersi a disposizione del gruppo, una volta scarcerato, avrebbe ricevuto l'invito a verificare chi in carcere avesse delle necessità per poi trasmettere all'esterno il messaggio e cosi consentire al fratello G. di farvi fronte, in una logica di soccorso e asservimento. Tale conversazione è stata valutata dal tribunale in termini di partecipazione dell'indagato agli scopi della organizzazione, nonché di adesione ai programmi della struttura criminale, ma la portata dimostrativa del contributo si appalesa non così netta per quanto riguarda la partecipazione ad una struttura che ebbe ad operare negli anni 2007/2009. Il colloquio di natura intima, poiché intercorso con il fratello da poco scarcerato, è certamente significativo di una comunanza di intenti e di condivisione della filosofia mafiosa, nonché di una volontà di adesione futura, nel momento dell'emergenza seguita all'arresto dei sodali, piuttosto che dimostrativo di un'appartenenza risalente, tanto più che il giovane T. risultava - per sua stessa ammissione - essere stato mandato come galoppino il 17.4.2009, a spacciare nella via omissis all'insaputa del fratello G. , a cui la notizia venne data nell'occasione del colloquio in carcere. Non è un caso che il tribunale abbia ritenuto il fatto di spaccio isolato ed abbia ritenuto insussistenti gli indizi per un'attività di diffusione dello stupefacente, in epoca compresa tra il 2007 ed il 17.4.2009. L'ordinanza impugnata risulta quindi carente, come correttamente osservato dalla difesa, quanto al carattere di stabile collegamento del T. con gli altri componenti del gruppo criminale, quanto al coinvolgimento del medesimo nei fatti illeciti dell'associazione essendo stata esclusa la sua partecipazione a fatti di diffusione di sostanza stupefacente in epoca pregressa rispetto all'episodio per cui fu arrestato , quanto al suo contributo rilevante alla vita dell'associazione, in epoca risalente rispetto al 2009, quindi al ruolo stabile e continuativo svolto, prima del suo ingresso in carcere. Va quindi annullata, con rinvio per nuovo esame, su questi specifici profili, al Tribunale di Catania. Va trasmessa a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell'istituto penitenziario, ai sensi dell'art. 94 comma 1 ter, disposiz. att. cpp. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al tribunale di Catania. Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell'istituto penitenziario. ai sensi dell'art. 94 comma ter , disposiz. att. c.p.p