Se telefonando: i tabulati telefonici incastrano l'ex moglie gelosa

La ex moglie accusa un’altra donna della fine del suo matrimonio e la tempesta con continue chiamate da diverse utenze. La testimonianza delle parti lese e i tabulati telefonici sono sufficienti ad individuare l’autrice delle molestie.

Nonostante l’alternanza delle utenze chiamate e dei soggetti venuti alla risposta, il reato si può considerare unitario essendo unico il fine di molestia ed unico il nucleo familiare cui le telefonate erano destinate. Così afferma la Prima sezione Penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 2126/12, depositata il 19 gennaio scorso. Il caso. Una donna si separa dal marito. Per lei è difficile accettare la realtà e farsene una ragione. Ha bisogno di trovare un motivo o più semplicemente qualcuno a cui addebitare il fallimento del proprio matrimonio, in questo caso una rivale in amore. La donna passa quindi all’azione e chiama colei che ritiene essere la causa di tutti i mali e sua madre per accusarle e minacciarle. Il giorno dopo, altre telefonate, questa volta mute, partono dall’utenza di un amico della donna, sempre all’indirizzo dell’amante. Scattano allora le querele per ingiuria e minacce che successivamente vengono ritirate. Prosegue, però, il procedimento per molestie a carico della donna e dell’amico intestatario dell’utenza telefonica e il Tribunale infligge le relative condanne a 200 euro di ammenda. I due propongono ricorso in Cassazione chiedendo l’assoluzione per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato. L’individuazione del molestatore. Secondo gli imputati, l’accusa si fonda solo sulle parole delle parti lese che, in un caso, dicono di aver riconosciuto la persona che aveva effettuato la chiamata dalla voce. Le telefonate sono partite da due distinte utenze e quindi, a detta della difesa, il reato contestato non può essere configurato come unitario reato di molestia. Inoltre, incerta sarebbe l’attribuibilità agli imputati delle telefonate mute. Il reato è unitario anche se le utenze utilizzate e le persone raggiunte sono diverse. La Suprema Corte però, ritiene il ricorso infondato in quanto la condanna si fonda non solo sulla testimonianza delle parti lese già sufficiente se, come nel caso, soggettivamente ed oggettivamente credibile , ma anche sul riscontro costituito dai tabulati telefonici . Inoltre, il reato è unitario nonostante l’alternanza delle utenze chiamate e dei soggetti venuti alla risposta in quanto è unico il fine di molestia ed unico il nucleo familiare cui le telefonate erano destinate. Infine, pare infondato ogni dubbio sull’attribuibilità delle chiamate moleste.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 6 dicembre 2011 – 19 gennaio 2012, n. 2126 Presidente Giordano – Relatore Rombolà Osserva Con sentenza 20/12/10 il Tribunale di Cosenza condannava C.R. e Co.Pi. , con le circostanze attenuanti generiche, alla pena di 200 Euro di ammenda ciascuno per il reato, rispettivamente ascritto in omissis in danno di P.R. e M.A.M. la prima, in omissis in danno di P.R. il secondo , di molestia telefonica di cui all'art. 660 cp. Dichiarava n.d.p. per remissione di querela nei confronti di C.R. per i concorrenti reati di ingiuria e di minaccia nei confronti della P. e di minaccia nei confronti della M. . Si era trattato di alcune telefonate ricevute lo stesso giorno dalla P. e dalla madre M. da parte della farmacista C. dall'utenza della farmacia il primo squillo, cui la P. non rispondeva riconosciuta dal timbro della voce, che, a quanto pare, addebitava alla P. la separazione dal marito. Il giorno successivo la stessa P. riceveva numerosissime ventiquattro telefonate mute dall'utenza del Co. , persona legata da rapporti di sicura conoscenza con la C. . Appellava la difesa degli imputati trattandosi di condanna a sola pena dell'ammenda, l'impugnazione era qualificata dalla Corte di Appello come ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 593.3. cpp , chiedendo la loro assoluzione per non avere commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato, quanto meno ai sensi dell'art. 530.2. cpp premesso che non vi erano prove certe a carico degli imputati e che l'accusa fondava solo sulla parola delle parti lese, quanto alla C. si osservava a parte la remissione di querela per le ingiurie e le minacce, ritenuta significativa di resipiscenza da parte delle querelanti come le telefonate fossero in realtà due e non tre quindi con difetto di correlazione tra accusa e sentenza e come esse riguardassero due distinte utenze telefoniche e due distinte persone, con conseguente impossibilità di configurare il reato contestato come un unitario reato di molestia incerta, inoltre, la loro stessa addebitabilità alla persona dell'imputata allo stesso modo era incerta l'attribuibilità al Co. delle telefonate mute ricevute dalla P. il giorno dopo. Quindi le dette conclusioni assolutorie. Alla pubblica udienza fissata per la discussione il PG concludeva per la dichiarazione di inammisibilità del ricorso. Nessuno compariva per i ricorrenti. Il ricorso è infondato e va respinto. Esso infatti si limita ad articolare censure di fatto non a caso essendo stato concepito e formulato come appello , tendendo a sovrapporre le proprie valutazioni a quelle correttamente e congruamente svolte dalla sentenza di merito. Questa, invece, non merita alcuna censura né in fatto né in diritto la condanna fonda non solo sulla testimonianza delle parti lese già sufficiente se, come nel caso, soggettivamente ed oggettivamente credibile , ma anche sul riscontro costituito dai tabulati telefonici. Giuridicamente stravagante considerare la remissione di querela come resipiscenza ovvero ravvedimento, pentimento, rinsavimento . Nessuna discrasia tra imputazione contestata e sentenza, posto che la prima delle tre telefonate attribuite alla C. , anche se venne evitata la risposta proprio perché riconosciuta l'utenza , proveniva con certezza dalla sua farmacia. Unitario il reato, nonostante l'alternanza delle utenze chiamate e dei soggetti venuti alla risposta, unico essendo il fine di molestia ed unico il nucleo familiare madre e figlia cui le telefonate erano destinate. Infondati, per quanto già detto, i dubbi sull'attribuibilità delle chiamate moleste alla C. giusta le testimonianze delle pp.oo. ed i tabulati e, il giorno successivo giusta i tabulati e le considerazioni di ordine logico , al Co. . Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del processo art. 616 cpp . P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.