Da valutare concretamente non solo le condizioni economiche, ma anche quelle familiari

Errore, innanzitutto, sulla possibilità di applicazione del pro quota. Necessario pagare l’intera somma. Inaccettabile il generico riferimento ai parametri di normalità per stabilire che l’adempimento è sostenibile.

Procedimento chiuso in Appello con condanna, e con annesso debito da pagare. Peso sopportabile? Prima di rispondere a questa domanda – e quindi decidere sulla richiesta di remissione –, è necessario valutare concretamente le condizioni economiche e familiari della persona che ha presentato la domanda Cassazione, sentenza numero 2670/2012, Prima sezione Penale, depositata oggi . E, allo stesso tempo, prestare maggiore attenzione alla concretezza della possibilità di provvedere pro quota Rateizzabile? Nodo della vicenda è la valutazione sulla possibilità di sostenere il debito. Ma, in questa ottica, punto oscuro ulteriore è la possibilità di provvedere pro quota . Difatti, per il Magistrato di sorveglianza, che respingeva la richiesta di remissione, non sono evidenziabili disagiate condizioni economiche , e, di conseguenza, la situazione economica della persona non è tale da non consentirgli di far fronte al pagamento rateale del debito . Di conseguenza, richiesta respinta. Bilancio domestico. I due elementi, ovvero rateizzabilità e sostenibilità economica, sono centrali anche nel ricorso presentato per cassazione dal debitore”. Quest’ultimo contesta, innanzitutto, l’attestazione della possibilità di un pagamento pro quota , per poi dedurne che l’errato presupposto ha indotto il magistrato di sorveglianza a ritenere che il ricorrente, tenuto conto dell’ammontare del debito, non versi in condizioni economiche disagiate, con riferimento ai parametri di normalità . Andando ancora più nel dettaglio, l’uomo ricorda che la somma dovuta è pari a oltre 40mila euro, e non ad un 1/23 di detta cifra , quindi il pagamento, sulla base della situazione reddituale e del carico familiare, comporterebbe un serio considerevole squilibrio del suo bilancio domestico, tale da pregiudicare il soddisfacimento delle elementari esigenze di vita . Nessuna normalità. Primo nodo da sciogliere è quello della rateizzabilità, e su questo punto i giudici della Cassazione sgomberano il campo in questo caso il pagamento pro quota , da parte del singolo condannato, non è consentito, dunque il ricorrente è tenuto al pagamento dell’intera somma iscritta a suo carico come obbligato in solido con i coimputati . Di conseguenza, la valutazione sulla condizione economica del ricorrente è da rivedere completamente A questo proposito, carenza evidente, secondo i giudici, è anche, anzi soprattutto, la mancata indicazione delle reali condizioni economiche e familiari del richiedente , sostituita da una apodittica affermazione della loro sussumibilità nell’ambito di parametri di normalità tali da consentire l’adempimento del debito . Sarebbe servito, piuttosto, un concreto raffronto tra la entità effettiva del debito e la situazione del condannato richiedente , definita, invece, solo attraverso formulazione stereotipata . Per questo motivo, il ricorso viene accolto, e la questione rimessa nuovamente al Magistrato di sorveglianza, che avrà il compito di approfondire e chiarire le tematiche richiamate in Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 18 ottobre 2011 – 23 gennaio 2012, numero 2670 Presidente Bardovagni – Relatore Carta Rileva in fatto 1.- Con ordinanza 16 settembre 2010 il Magistrato di sorveglianza di Brescia respingeva la richiesta di L. M. volta ad ottenere la remissione del debito in relazione alla somma iscritta al numero 881/2009 Mod. 3/SG della corte di appello di Brescia in conseguenza della sentenza pronunciata in data 8.3.2005 da quella corte. Riteneva il magistrato non sussistente il presupposto delle disagiate condizioni economiche dell’istante perché dalla documentazione acquisita in atti emergeva che, tenuto conto dell’ammontare del debito, la situazione economica dell’interessato non era tale da non consentirgli di far fronte al pagamento rateale del debito pro quota . 2.- Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato personalmente deducendo 1 Inosservanza o erronea applicazione degli articoli 535 c.p.p., 205 DPR numero 115/2002, 67 legge numero 69 del 2009 e 2 c.p Sostiene il ricorrente che, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza impugnata, il pagamento pro quota del debito per spese processuali non è previsto nel suo caso dato che al momento del passaggio in giudicato della sentenza alla quale si riferisce il debito l’art. 535, comma 2, c.p.p. prevedeva espressamente per i condannati per lo stesso reato o per reati connessi l’obbligo solidale al pagamento delle spese di giustizia. Infatti, solo dopo l’entrata in vigore della legge 18.6.2009 numero 69 e per le sentenze passate in giudicato successivamente è stato abolito dall’art. 67 di detta legge il preesistente vincolo di solidarietà e, con apposita modifica dell’art. 205, comma 1, del DPR numero 115/2002 le spese processuali sono recuperate pro quota nei confronti di ciascun condannato. 2 Inosservanza e/o erronea applicazione dell’articolo 6 del DPR numero 115/2002 mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza delle disagiate condizioni economiche dell’istante. L’errato presupposto della possibilità del pagamento pro quota delle spese processuali ha indotto il magistrato di sorveglianza a ritenere che il ricorrente, tenuto conto dell’ammontare del debito, non versi in condizioni economiche disagiate con riferimento ai parametri di normalità In realtà il debito del ricorrente è pari all’intera somma di euro 45.913,12 e non ad 1/23 di detta cifra per cui, sulla base della situazione reddituale e del carico familiare risultanti in atti, il pagamento comporterebbe per il ricorrente un serio e considerevole squilibrio del suio bilancio domestico, tale da pregiudicare il soddisfacimento delle elementari esigenze di vita con compromissione del corretto reinserimento sociale. 3.- Il Procuratore Generale presso la Corte dott. Antonio Mura, con atto depositato il 2 marzo 2011, chiede che la Corte annulli con rinvio l’ordinanza impugnata. Osserva in diritto 1.-Il ricorso è fondato. 2.- In primo luogo sulla base del principio tempus regit actum che regola la successione tempo delle disposizioni di natura procedurale, quali sono anche quelle in materia di recupero delle spese processuali, nel caso di specie il pagamento pro quota . da parte del singolo condannato ipotizzato dal magistrato di sorveglianza non è consentito, dunque il ricorrente è tenuto al pagamento dell’intera somma iscritta a suo carico come obbligato in solido con i coimputati. 3.- Ne consegue che la valutazione circa la non disagiata condizione economica del condannato, esplicitamente riferita alla possibilità del pagamento rateale della quota di debito di spettanza è viziata. Invero, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte il requisito delle disagiate condizioni economiche, richiesto ai fini della remissione del debito sia dall’abrogato articolo 56 della legge 26 luglio 1975, numero 354, sia dal vigente articolo 6 del D P R 30 maggio 2002, numero 115, è integrato non solo quando il soggetto si trovi in stato di indigenza, ma anche quando l’adempimento del debito comporti un serio e considerevole squilibrio del suo bilancio domestico, tale da precludere il soddisfacimento di elementari esigenze vitali e compromettere quindi il recupero e il reinserimento sociale Cass. Sez. I sent. 14.5.2003, numero 25143, Chiscoci, Rv. 224564 Cass. Sez. I, sent. 24.1.2006, numero 14541, Mangione, Rv. 233939 . La verifica della sussistenza della condizione di disagio economico come sopra delineata va, poi, effettuata tenendo conto della comparazione tra l’effettiva situazione economica del richiedente e l’entità del debito di cui è domandata la remissione Cass. Sez. I, sent. 15.1.2009, numero 3737, Loiacono, Rv. 242534 . Nel caso di specie l’ordinanza, oltre a fondare la decisione di reiezione sul presupposto, erroneo, dell’obbligo solo pro quota in capo al condannato neppure indica quali siano le reali condizioni economiche e familiari del richiedente, limitandosi ad una apodittica affermazione della loro sussumibilità nell’ambito di parametri di normalità tali da consentire l’adempimento del debito. La mancanza di un concreto raffronto tra la entità effettiva del debito, neppure menzionata nell’ordinanza, e la situazione economica del condannato richiedente, definita solo attraverso formulazione stereotipata, non consentendo di individuare i termini del ragionamento seguito dal magistrato e, di conseguenza, - anche a prescindere dall’erroneo presupposto di cui si è detto di verificare la loro correttezza, impongono l’annullamento con invio dell’ordinanza. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al magistrato di sorveglianza di Brescia.