La deposizione della vittima basta a inchiodare lo stupratore

Il poliziotto minaccia una prostituta per ottenere prestazioni sessuali gratuite incastrato dalla deposizione della vittima, che può essere assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2358/2112 depositata il 20 gennaio, ha precisato che, se da un controllo accurato risulta credibile la deposizione della vittima, questa può essere assunta da sola come fonte di prova. Il caso. Un agente scelto, appartenente alla Polizia di Stato, costringeva una prostituta – immigrata irregolare e minorenne - a compiere atti sessuali, prospettandole, in caso di rifiuto, l’espulsione dal territorio dello Stato italiano. Quindi, i giudici di merito, in primo e secondo grado, condannavano l’agente a 3 anni di reclusione proprio perché, abusando della qualità e dei poteri inerenti alla sua funzione, aveva commesso il reato di violenza sessuale art. 609 bis c.p. , concussione art. 317 c.p. e atti osceni in luogo pubblico art. 527 c.p. . L’agente presenta ricorso per cassazione facendo leva sulla presunta errata valutazione probatoria. Come prova basta la deposizione della persona offesa La Corte Suprema, però, non ritiene fondati i motivi di ricorso e, in merito alla valutazione probatoria contestata, afferma che la deposizione della persona offesa dal reato, anche se quest'ultima non è equiparabile al testimone estraneo, può tuttavia essere da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa . se, da un controllo rigoroso, risulta credibile. Gli Ermellini sottolineano che, nella fattispecie, tale indagine risulta correttamente effettuata, poiché i giudici del merito hanno sottoposto ad un controllo rigoroso le dichiarazioni accusatorie provenienti dalla persona offesa. Esclusa anche l’attenuante della minore gravità. Nella specie, viene altresì esclusa l'applicazione della circostanza attenuante della minore gravità , visto l’elevato grado di coartazione esercitata sulla vittima e il dimostrato successivo tentativo di ripetizione della condotta criminosa, sventato, peraltro, dall'intervento deciso di una persona che si trovava in macchina con la donna. La Corte di Cassazione, quindi, fa seguire, al rigetto del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 ottobre 2011 – 20 gennaio 2012, n. 2358 Presidente Mannino – Relatore Fiale Ritenuto in fatto La Corte di appello di Roma, con sentenza del 21.10.2010, confermava la sentenza 21.2.2007 del G.I.P. del Tribunale di quella città, che - in esito a giudizio celebrato con il rito abbreviato - aveva affermato la responsabilità penale di B.A. in ordine ai reati di cui - all'art. 609 bis cod. pen., [perché, abusando della qualità e dei poteri inerenti alla sua funzione di agente scelto appartenente alla Polizia di Stato e con minaccia consistita nel prospettare alla M P. immigrata irregolare minorenne, che esercitava la prostituzione lungo la via di portarla in Questura al fine di provvedere alla sua espulsione dal territorio dello Stato, costringeva la stessa a compiere atti sessuali, e segnatamente a praticargli la masturbazione - in omissis - all'art. 317 cod. pen. [perché otteneva indebitamente la prestazione sessuale anzidetta abusando della qualità e dei poteri inerenti alla sua funzione di agente scelto appartenente alla Polizia di Stato] - all'art. 527 cod. pen. [perché, nel porre in essere la condotta anzidetta, compiva atti osceni in luogo pubblico, a bordo della sua autovettura parcheggiata sulla pubblica via] e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., lo aveva condannato alla pena principale complessiva di anni tre di reclusione ed alle pene accessorie di legge. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del B. , il quale ha eccepito - l'incongruo riconoscimento di credibilità alle accuse, intrinsecamente contrastanti, formulate dalla P. — l'erronea esclusione della ravvisabilità di un caso di minore gravitò”, ai sensi del 3 comma dell'art. 609 bis cod. pen Considerato in diritto Il ricorso deve essere rigettato, perché le doglianze in esso svolte sono infondate. 1. Quanto ai denunciati vizi della motivazione in punto di affermazione della responsabilità, deve premettersi che - il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile, tanto più ove i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal primo e con congrui riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità [vedi Cass. Sez. III, 28.11.2002, Hoxha Sez. II, 5.12.1997, n. 11220 Sez. III, 23.4.1994, Scauri Sez. I, 4.2.1994, Albergamo. Sotto il vigore del precedente codice di rito vedi Cass., Sez. I 19.10.1988, Quattrocchi e 18.4.1985, Madonna] - il vizio di motivazione non si concretizza allorquando il giudice di appello, pur facendo proprie le considerazioni svolte da quello di primo grado, abbia compiutamente esaminato le censure rivolte dall'appellante alla sentenza impugnata, in quanto le due sentenze di merito ben possono avere i medesimi contenuti eh giudizio e l'obbligo motivazionale può ritenersi soddisfatto con il completo esimie delle argomentazioni proposte dall'appellante. 2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, in tema di valutazione probatoria, la deposizione della persona offesa dal reato, anche se quest'ultima non è equiparabile al testimone estraneo, può tuttavia essere da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa vedi, tra le costanti decisioni in tal senso, Cass. Sez. III 12.10.2006, n. 34110 10.8.2005, n. 30422 e 29.1.2004, n. 3348 Sez. IV, 9.4.2004, n. 16860 . Un'indagine siffatta, nella fattispecie in esame, risulta correttamente effettuata, poiché i giudici del merito hanno sottoposto ad un controllo rigoroso le dichiarazioni accusatorie provenienti da M P. e coerentemente hanno riconosciuto credibilità alle stesse - formulate in circostanze che ne evidenziavano la assoluta genuinità e da persona che avrebbe avuto un interesse decisamente contrario alla formulazione di accuse nei confronti di un agente di P.S. - tenendo conto anche - di quanto accertato dal personale di P.G. chiamato ad intervenire in occasione di un tentativo, successivamente posto in essere dal B., rivolto ad usufruire di ulteriori prestazioni sessuali gratuite della ragazza ponendo in essere i medesimi comportamenti coercitivi già utilizzati in occasione dei fatti oggetto del presente giudizio - della assoluta inconsistenza e pretestuosità delle prospettazioni addotte dall'imputato a giustificazione del proprio comportamento. Nell'anzidetto contesto probatorio la Corte territoriale non ha mancato di valutare le obiezioni formulate dalla difesa, con particolare riferimento all'addotta inattendibilità della parte lesa ed alla prospettata inidoneità coercitiva della minaccia di espulsione, poiché un provvedimento siffatto non si sarebbe più potuto adottare nei confronti di una cittadina dopo l'ingresso del suo Paese nell'Unione Europea. Tali eccezioni risultano contrastate dal puntuale esame della testimonianza resa dalla P. in sede di incidente probatorio, effettuato nella sentenza di primo grado, ove si spiega come le specificazioni relative alla successione temporale degli eventi intervenute in quella sede siano ben lontane dall'inficiare il nucleo essenziale della ricostruzione dei fatti. L'idoneità della minaccia, poi, va correlata a tutti gli eventuali provvedimenti sanzionatoli che poteva ritenere applicabili nei suoi confronti una minorenne la quale esercitava in strada la prostituzione dopo un ingresso clandestino nel nostro Paese. Le argomentazioni svolte dai giudici del merito non trovano alcuna smentita nelle prospettazioni difensive svolte nel ricorso, laddove la Corte territoriale è razionalmente pervenuta ad un'affermazione di colpevolezza sulla base di un apparato argomentativo della cui logicità non è dato dubitare. 3. La circostanza attenuante, prevista dal terzo comma dell'art. 609 bis cod. pen. nei casi di minore gravità”, deve considerarsi applicabile in quelle fattispecie in cui - avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle circostanze dell'azione - sia possibile ritenere che la libertà sessuale personale della vittima bene-interesse tutelato dalla norma incriminatrice sia stata compressa in maniera non grave. Si impone, pertanto, una valutazione globale del fatto riferita a tutte le modalità che hanno caratterizzato la condotta criminosa, ove assumono rilievo il grado di coartazione esercitato sulla vittima e le condizioni fisiche e mentali di questa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'età, l'entità della compressione della libertà sessuale ed il danno arrecato alla vittima anche in termini psichici vedi Cass., Sez. III 7.2.2007, n. 5002 15.12.2003, n. 47730 16.5.2000, n. 5646 . Nella specie la Corte di merito ha escluso l'applicazione della norma più favorevole previo opportuno e logico apprezzamento - delle peculiari modalità della condotta criminosa elevato grado di coartazione esercitata sulla vittima - della pervicacia dimostrata dall'agente nel successivo tentativo di ripetizione della condotta criminosa sventato per l'intervento deciso di una persona che si trovava in macchina con la donna . Trattasi di una valutazione, assolutamente legittima, di elementi negativi particolarmente rilevanti, correttamente correlata alla condotta complessiva dell'imputato. 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Copia del dispositivo della presente sentenza deve essere trasmessa all'Amministrazione di appartenenza del dipendente pubblico a norma dell'art. 70 del d.lgs. n. 150/2009. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Corte dispone inoltre che copia del dispositivo della presente sentenza sia trasmessa all'Amministrazione di appartenenza del dipendente pubblico, a norma dell'art. 70 del d.lgs. n. 150/2009.