Abbigliamento e posture osé, sanzionata la prostituta

Nessuna possibilità di rapportare i vincoli fissati dalla legge all’attività, all’ambiente e al contesto. Respinta la tesi della donna, secondo la quale il comportamento non era in contrasto con i valori sociali di riferimento.

Anche una prostituta ha l’obbligo di rispettare i limiti imposti dalla pubblica decenza. Proprio come qualsiasi altra persona. E l’attività esercitata non può rendere flessibili quei limiti. A maggior ragione se determinati atteggiamenti sono tenuti alla luce del giorno e in una strada pubblica. Troppo osè. A venire sanzionati, in questa vicenda – chiusa dalla Cassazione con la sentenza numero 1387, sezione Terza Penale, depositata il 17 gennaio –, sono l’abbigliamento e i comportamenti di una prostituta, beccata in strada in condizioni troppo osé. Più precisamente, le viene contestato di aver offeso la pubblica decenza. L’accusa è legata all’abbigliamento della donna – molto succinto – e alle posture assunte – tali da rendere visibili a terzi parti intime del proprio corpo – per il Giudice di pace la condanna è legittima. Così alla donna viene comminata una ammenda di 800 euro. Todo relativo? La donna, però, non considera legittima la condanna, e così presenta ricorso per cassazione. A proprio favore sostiene una tesi strettamente connessa alla attività svolta a suo avviso, difatti, non è ipotizzabile il reato di atti contrari alla pubblica decenza , perché il comportamento tenuto andava rapportato ai valori sociali di riferimento e relativi alla costumatezza dell’abbigliamento . Elemento centrale, quindi, è una ‘teoria della relatività’ sociale l’abbigliamento e i comportamenti vanno rapportati, secondo la donna, anche al contesto e all’ambiente. Di conseguenza, l’applicazione dei vincoli della pubblica decenza va resa più flessibile. Bene prevalente. Di fronte alla relatività sostenuta dalla donna, deve prevalere, invece, secondo i giudici della Cassazione, l’assolutezza del bene-interesse tutelato giuridicamente. Quindi, nessun margine di manovra per una interpretazione a maglie larghe” della norma sulla pubblica decenza. A maggior ragione in questo caso, soprattutto considerando che, come ricostruito dal Giudice di pace, l’episodio contestato si era verificato in pieno giorno e in una via pubblica quindi, anche le condizioni di tempo e di luogo hanno un peso specifico Per questo, i giudici di piazza Cavour confermano che la condotta contestata alla donna è stata contraria al sentimento di costumatezza, così come inteso tuttora ed attualmente dalla comunità-collettività sociale .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 dicembre 2011 – 17 gennaio 2012, n. 1387 Presidente Petti – Estensore Gentile Svolgimento del processo Il Giudice di Pace di Bologna, con sentenza emessa il 14/10/010, dichiarava L.A.D. colpevole del reato di cui all’art. 726 cp come contestato in atti e la condannava alla pena di € 800,00 di ammenda. L’interessata proponeva ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606, lett. b ed e cpp. In particolare la ricorrente esponeva che non ricorrevano gli elementi costitutivi del reato in esame, trattandosi di comportamento non in contrasto con i valori sociali di riferimento e relativi alla costumatezza dell’abbigliamento. Tanto dedotto, la ricorrente chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata. Il P.G. della Cassazione, nella pubblica udienza del 2/12/011, ha chiesto l’inammissibilità del ricorso. Motivi della decisione Il ricorso è manifestamente infondato. Il Giudice di pace di Bologna ha congruamente motivato tutti i punti fondamentali della decisione. In particolare il giudice di merito, con un esame analitico, puntuale ed esaustivo delle risultanze processuali, ha accertato che L.A.D. che esercitava l’attività di prostituzione – nelle condizioni di tempo e di luogo come individuate in atti – sostava in ora diurna ore 14.20 del 04/06/09 lungo la via pubblica omissis di Bologna, non solo indossando un abbigliamento molto succinto, ma assumendo posture comportamentali tali da rendere visibili a terzi parti intime /o riservate del proprio corpo, quali il pube ed i glutei. Ricorrevano, pertanto, nella fattispecie gli elementi costitutivi, soggettivo ed oggettivo, del reato di cui all’art. 726 cp. Trattavasi, invero, di condotta contraria al sentimento di costumatezza così come inteso tuttora ed attualmente dalla comunità/collettività sociale. Le censure dedotte nel ricorso sono generiche, perché meramente ripetitive di quanto esposto in sede di merito, già valutate esaustivamente dal Giudice di Pace di Bologna. Sono, altresì, infondate perché in contrasto con quanto accertato e congruamente motivato dal giudice di merito. Sono errate in diritto, perché non pertinenti al bene/interesse giuridicamente tutelato dalle norme di cui all’art. 726 cp. Va dichiarato, pertanto, inammissibile il ricorso proposto da L.A.D. con condanna della stessa al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria che si determina in € 1.000,00. P.Q.M. La Corte,dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.