Dalla Russia senza amore

Scrive su internet firmandosi col nome di un vecchio generale sovietico e, commentando l’attualità locale, usa espressioni colorite. Non è satira ma diffamazione.

La satira parte da un personaggio reale, lo carica di fantasiosi tratti fisionomici e/o psicologici e propone all’attenzione dei lettori, degli ascoltatori o degli spettatori un personaggio volutamente e lealmente inesistente, anche se non ne nasconde gli originali tratti genetici. L’attività satirica fa un uso talmente esasperato, paradossale, surreale dei tratti distintivi della persona reale, da rendere del tutto evidente che il giudizio critico non è rivolto alla persona che è oggetto della rappresentazione, ma alla categoria sociale, culturale, politica, di cui la medesima è ritenuta esponente. Così afferma la Quinta sezione Penale nella sentenza n. 174/12, depositata il 17 gennaio scorso. Il caso. Il protagonista di questa vicenda è, molto probabilmente, un nostalgico di un passato che non torna. Scrive degli articoli firmandosi con il nome di un politico e militare sovietico. Li pubblica su un sito internet che avrebbe lo scopo di dare voce a un vecchio generale russo che esamina la realtà locale con l’occhio del reduce comunista. Da una sorta di specola privilegiata, dunque, commenta ciò che accade. E lo fa senza remore, con tanto di nomi e cognomi. Solo che il registro non è quello del comandante di un esercito imponente. Partono le querele per diffamazione e arrivano le relative condanne, in primo e secondo grado. Al finto generale non rimane che ricorrere in Cassazione. L’autore dello scritto. La prima carta giocata dall’imputato è quella di contestare l’identificazione effettuata dai giudici di merito sulla base di un complesso di indizi che, a suo dire, non sarebbero né gravi, né precisi, né concordanti. I giudici, insomma, non avrebbero dimostrato che dietro il nickname del generale ci fosse veramente lui. Certo, cercare di disconoscere la paternità dello scritto potrebbe sembrare un atto di viltà e, in altre epoche e in un contesto di guerra, avrebbe potuto significare la fucilazione. Nel mondo odierno e reale però, si è tradotto nel semplice riconoscimento della infondatezza della doglianza da parte della Cassazione. Del resto, il motivo di ricorso non critica in realtà la violazione di specifiche regole preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì pretende la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile in sede di verifica della legittimità del percorso giustificativo, quando la struttura razionale della motivazione della sentenza ha una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa ed è saldamente ancorata al quadro probatorio . La diffamazione, i fatti e la verità degli stessi. Una delle accuse rivolte dal finto generale ad una delle persone offese è stata quella di essere un soggetto capace di intrallazzare e di ostacolare una doverosa attività amministrativa, oltre che a nuocere agli altri. L’attacco non è stato diretto, ma il senso era facilmente desumibile dal contesto dell’articolo. I giudici di merito hanno ritenuto che si trattasse di considerazioni sulla cui verità nulla si sa condannando l’imputato. Nel processo però, il finto generale aveva prodotto una serie di documenti a prova dei fatti, effettivamente poco chiari, su cui aveva basato il suo convincimento e reclama il suo diritto di critica. Il Tribunale prima, la Corte d’appello poi, avevano ignorato tali documenti. La Cassazione annulla la sentenza con rinvio visto che le considerazioni secondo cui sulla verità dei fatti nulla si sa, sono basate sulla palese omissione della doverosa analisi e della doverosa valutazione di una prova documentale, formalmente inserita negli atti del processo, nonché sulla censurabile omissione di trarne le razionali conclusioni in favore della tesi difensiva della verità in relazione a questo requisito del corretto esercizio del diritto di cronaca e di critica . La satira e il suo linguaggio. Il finto generale, aveva poi accusato una persona di servilismo. Lo aveva fatto con toni assai coloriti, ricorrendo a metafore sessuali per indicarne la capacità di prostituirsi al potente di turno, senza distinzioni di appartenenza. Ebbene, i giudici di merito avevano ritenuto diffamatoria la condotta, ma l’imputato contesta la capacità offensiva della reputazione delle espressioni utilizzate. A suo dire, si tratterebbe di una terminologia sorretta da intento satirico e dunque svincolata da forme convenzionali e per la quale non si può applicare il metro consueto di correttezza dell’espressione. La Cassazione respinge l’argomento e spiega che la satira parte da un personaggio reale, lo carica di fantasiosi tratti e propone all’attenzione del pubblico un personaggio volutamente inesistente, anche se non ne nasconde gli originali tratti genetici . L’attività satirica fa un uso talmente paradossale dei tratti distintivi della persona reale, da rendere del tutto evidente che il giudizio critico non è rivolto alla persona, ma alla categoria di cui la medesima è ritenuta esponente. Ed è per questo che essa giustifica un linguaggio simbolico e sarcastico al quale non può applicarsi il generale metro di correttezza dell’espressione. Tuttavia, nel caso specifico manca il requisito della base di realtà su cui costruire il personaggio da deridere. È assente il riferimento a dati storici che giustifichino l’attribuzione al querelante della screditante scelta di vita. La mancanza quindi della rappresentatività della singola persona dimostra come questo non sia un caso di satira, ma un mero attacco personale. Il limite della continenza. Infine l’accusa mossa ad uno dei querelanti di avere un atteggiamento bipolare, data la sua propensione a servire esponenti di qualsiasi schieramento politico, è considerata, anche dai giudici di legittimità, non continente. A tal riguardo la sentenza della Corte ricorda che continenza – secondo la dottrina significa proporzione, misura e continenti sono quei termini che hanno equivalenti e non sono sproporzionati, ai fini del concetto da esprimere, rispetto alla controllata forza emotiva suscitata della polemica, su cui si vuole instaurare un civile rapporto dialogico e dialettico .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 settembre 2011 – 17 gennaio 2012, numero 1740 Presidente Amato – Relatore Bevere Fatto e diritto Con sentenza 23.4.2010, la corte di appello di Torino, in riforma della sentenza 26.5.06 del tribunale di Aosta, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di M.R. in ordine al reato di diffamazione in danno di Me.Lu. , per essere il reato estinto per remissione di querela ha assolto M.R. dal reato di diffamazione in danno di P.C. perché il fatto non costituisce reato lo ha assolto dal reato di diffamazione nella parte relativa all'articolo proveniente da anonimus in danno di C.M. , per non aver commesso il fatto. Ha confermato la dichiarazione di responsabilità del M. , in ordine ai reati di diffamazione,uniti dal vincolo della continuazione, commessi con articoli pubblicati sul sito web omissis con il nickname omissis , in danno del C. il omissis e, in danno di Mi.Pi.Ma. , il omissis ha rideterminato, previo riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante ex art. 595 co. 3 c.p., la pena in Euro 1.000 multa ha ridotto a Euro 1.500 la somma liquidata al C. a titolo di risarcimento del danno ha confermato nel resto l'impugnata sentenza e ha condannato il M. alla rifusione delle spese in favore delle due parti civili. Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi 1. violazione di legge,in riferimento agli artt. 192 e 530 cpp, vizio di motivazione. Questa doglianza riguarda l'identificazione del generale XXXXXX nel M. , effettuata dai giudici di merito sulla base di un complesso di indizi. Il ricorrente effettua un'analitica critica alle valutazioni degli elementi indiziari, ritenendoli non gravi, non precisi, non concordanti. Propone queste critiche, escludendo che esse attengano a valutazioni di merito, bensì all'applicazione errata della norma ex art. 192 co. 2 cpp e al mancato riconoscimento della obiettiva e insuperabile esistenza di dubbi reali, in ordine alla penale responsabilità del M. , che ne avrebbe imposto l'assoluzione, quanto meno ex art. 530 cpv cpp. 2. violazione di legge in riferimento agli artt. 51 e/o 59 c.p. e 21 della Costituzione, vizio di motivazione. In via di premessa osserva che i giudici non hanno considerato la natura del sito dare voce a un vecchio generale russo, che esamina la realtà locale, con l'occhio del reduce comunista e la natura dei messaggi in esso contenuti, il cui linguaggio li colloca nell'ambito della satira politica. Quanto al reato in danno del Mi. , la corte ha ritenuto che il M. ha effettuato un attacco diffamatorio indiretto e come tale più subdolo. Nel contesto dell'articolo,le manovre sono presentate come dimostrative della capacità del Mi. di intrallazzare e di ostacolare, tramite altri,una doverosa attività amministrativa, oltre che nuocere ad altri il consiglio regionale precedente . Secondo il ricorrente, il riferimento alla radiazione del querelante dall'albo dei giornalisti valdostano, alla mancata decisione sulla sua richiesta di sospensione, al provvedimento interlocutorio impugnato dalla procura generale di Torino del consiglio nazionale dei giornalisti che ha allontanato la decisione riguarda fatti veri. Le altre vicende e gli altri giudizi riguardano condotte di soggetti diversi, che, come i consiglieri nazionali dell'ordine dei giornalisti, non hanno presentato querela. I giudici di merito hanno escluso, trascurando i documenti prodottala verità dei fatti e affermano che si tratta di considerazioni sulla cui verità nulla si sa . Le opinioni del generale XXXXXX non sono valutabili con il metro della verità del fatto, se non come esistenza di elementi reali dai quali traggono origine e spunto, in quanto la giurisprudenza della S.C. sostiene che le considerazioni, al pari delle opinioni e delle critiche, non possono essere vincolate dal limite della verità, essendo la continenza verbale il solo metro di valutazione della condotta, per l'applicazione dell'esimente del diritto di critica. Tale requisito è sicuramente sussistente. Quanto alla posizione del C. , secondo il ricorrente i termini utilizzati, con cui ha affermato che il querelante faceva bocchini e pompini a uomini di potere”, contengono il riferimento alla tendenza e alla capacità di prostituirsi al potente di turno. Si tratta di una terminologia, sorretta da intento satirico, per la cui realizzazione sono state ritenute utilizzabili anche espressioni pesanti e velenose c.app. Milano sez. II civ.,10.6.09, numero 2156/09 . È stato anche affermato dalla giurisprudenza che l'evidente inverosimiglianza dei fatti, espressi in forma satirica, esclude la loro capacità di offendere la reputazione, poiché offrono icasticamente un'interpretazione esasperata della realtà, al fine di renderla più agevolmente intelligibile sez. V, numero 2128 del 2000, id.numero 13563 del 22.12.1998 . La satira giunge a livelli surreali grazie alla prevalenza di manifestazioni iconografiche, in ordine alle quali gli strumenti consueti espressivi, legati alla cultura ufficiale, appaiono inadeguati. Sul piano della continenza, quindi, il linguaggio simbolico e paradossale della satira è svincolato da forme convenzionali, onde non si può applicare il metro consueto di correttezza dell'espressione. Ciò appare sufficiente per riconoscere l'esimente ex art. 51 cp o quanto meno ex art. 59 cp,alla luce dell'art. 530 co. 2 e 3 cpp. Secondo un consolidato orientamento interpretativo il dubbio sull'esistenza di un'esimente impone il proscioglimento. Il ricorso merita parziale accoglimento, limitatamente al reato di diffamazione in danno di Mi.Pi.Ma. . La corte di appello, in via di premessa, rileva la carica diffamatoria delle affermazioni del M. , relative alla capacità del Mi. di incidere negativamente, attraverso altre persone, sul legittimo svolgimento dell'attività amministrativa, svolta dal consiglio dell'ordine dei giornalisti nei suoi confronti. Osserva inoltre che, al di là della non correttezza delle espressioni, non è stata raggiunta la prova della verità dei fatti, confermando la conclusione sul punto del primo giudice, laddove dice trattarsi di considerazioni, sulla cui verità nulla si sa . In tal modo,conferma anche l'omissione di esame e valutazione della prova documentale, prodotta dal M. , nel corso del giudizio di primo grado, all'udienza del 26.5.06 foglio 69 , dalla quale emergono i seguenti fatti, così ricostruiti nel documento numero 5. Con delibera numero 1647 del 15.12.1997 il Consiglio dell’Ordine della Val D'Aosta respinge la richiesta di iscrizione di Mi.Pi.Ma. nel registro dei praticanti per mancanza di elementi necessari per lo svolgimento di un effettivo praticantato giornalistico. Il Consiglio Nazionale, con delibera 17/18 giugno 1999, accoglie il reclamo del Mi. . Il pubblico ministero, presso il tribunale di Torino, su segnalazione del procuratore generale, presentaci 9.10.1999, reclamo al tribunale di Torino, avendo acquisito elementi dimostrativi della falsità e della inconsistenza della documentazione su cui il Consiglio Nazionale aveva fondato la decisione Gli accertamenti di p.g. inducono a ritenere che la decisione sia fondata su allegazioni inconsistenti, indimostrate e, quando non positivamente smentite, inaffidabili, che non avrebbero potuto essere recepite acriticamente p. 5 del ricorso, docomma 2 . Chiede quindi l'annullamento, la revoca e comunque la dichiarazione di inefficacia della delibera impugnata. Dopo sentenza del tribunale e della corte di appello, che negano la competenza della procura a impugnare la delibera, la questione è sottoposta all'esame della corte di cassazione, che, con sentenza 29.10.01, riconosce la competenza e stabilisce che la sentenza della corte di appello va cassata con rinvio alla corte di merito. Nel frattempo, il consiglio dell'ordine dei giornalisti della Val D'Aosta, acquisita il 10.4.2000 la documentazione utilizzata dal p.m. nella sua impugnazione, instaura procedimento disciplinare, che si conclude con delibera 16.3.2001 di radiazione del Mi. dall'albo dei giornalisti professionisti per aver con la propria condotta gravemente compromesso la dignità professionale, rendendo incompatibile con la dignità stessa la sua permanenza nell'albo stesso p. 7 docomma 5 . Il Consiglio Nazionale, su ricorso del Mi. , in via preliminare, decide con delibera 1.4.05 a la verifica della reale esistenza delle condizioni che indussero il Consiglio Nazionale ad accogliere il ricorso del Mi. , disponendo la sua iscrizione nell'albo dei praticanti, ai fini di un'eventuale revoca del provvedimento b di ritenere assorbiti sia la delibera di radiazione, sia il ricorso dell'interessato, che dovranno trovare compendio nel procedimento in itinere p .9 docomma 5 . In effetti il Consiglio Nazionale ha sospeso l'esame del ricorso avverso la delibera di radiazione, pronunciata nell'ambito del procedimento disciplinare, in attesa di effettuare il riesame di una propria decisione, su cui ormai è stata chiamata a decidere l'autorità giudiziaria, a seguito del ricorso del p.m. di Torino. Un giudizio interlocutorio che si traduce oggettivamente nel blocco della procedura disciplinare nei confronti del Mi. , che continua a protrarre la sua iscrizione nell'albo, la cui legittimità è stata messa in dubbio nel corso di anteriori procedure amministrative. Va, a questo punto rilevato che la ragionevole ipotesi dell'autore, secondo cui tale anomala situazione giuridica non abbia origine e svolgimento spontanei, ma sia stata determinata da interventi dell'interessato e dalle persone da lui nominate che non hanno giudiziariamente reagito , non può ragionevolmente essere considerata priva del fondamento di verità. Pertanto, le considerazioni della corte di appello - confermative di quelle della sentenza di primo grado – secondo cui sulla verità dei fatti nulla si sa , sono basate sulla palese omissione della doverosa analisi e della doverosa valutazione di una prova documentale, formalmente inserita negli atti del processo, nonché sulla censurabile omissione di trame le razionali conclusioni in favore della tesi difensiva della verità in relazione e questo requisito del corretto esercizio del diritto di cronaca e di critica. Sul punto, la sentenza impugnata va quindi annullata con rinvio a una diversa sezione della corte di appello di Torino, per un nuovo esame sugli altri requisiti dell'invocata esimente dell'esercizio del diritto di critica. Sono invece prive di fondamento le altre doglianze del M. . Quanto alla ricostruzione e alla valutazione degli elementi indiziari,su cui è basata l'identificazione dell'autore dei saggi, va rilevato che il ricorrente, pur denunziando formalmente una violazione di legge in riferimento ai principi di valutazione della prova, ex art. 192 co. 2 cpp, non critica in realtà la violazione di specifiche regole preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì pretende la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile in sede di verifica della legittimità del percorso giustificativo della decisione, quando - come nel caso in esame - la struttura razionale della motivazione della sentenza ha una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa ed è saldamente ancorata al quadro probatorio. Le critiche formulate dal ricorrente sono quindi del tutto inammissibili, in quanto dirette sulle valutazioni fattuali e logico-argomentative, svolte dalla corte di merito con assoluta fedeltà alle risultanze processuali e alla loro razionale interpretazione. Quanto alla invocata sussistenza del diritto di critica, esercitata nella forma della satira nei confronti di C.M. , va rilevata l'infondatezza della richiesta del ricorrente. Le modalità di questo modo di esprimere la critica risentono della sua origine letteraria di scandaloso esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, che, con la sua ironia, il suo intento scherzoso animus iocandi , la sua sincera non veridicità finalizzata alla dissacrazione delle persone di alto rilievo in un determinato contesto sociale, rientra - secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale e culturale - nella scriminante dell'esercizio di un diritto, ex art. 21 della Costituzione e art. 51 del codice penale. La satira parte da un personaggio reale, lo carica di fantasiosi tratti fisionomici e/o psicologici e propone all'attenzione dei lettori, degli ascoltatori o degli spettatori un personaggio volutamente e lealmente inesistente, anche se non ne nasconde gli originali tratti genetici. L'attività satirica fa un uso talmente esasperato, paradossale, surreale dei tratti distintivi della persona reale, da rendere del tutto evidente che il giudizio critico non è rivolto alla persona che è oggetto della rappresentazione, ma alla categoria sociale,culturale, politica, di cui la medesima è ritenuta esponente. Secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, la rappresentazione surreale che è propria della satira giustifica un linguaggio simbolico e sarcastico, svincolato da forme convenzionali, nel cui ambito non può applicarsi il generale metro di correttezza dell'espressione, fermo restando il doveroso rispetto della dignità della persona. Nel caso del querelante, manca il requisito della base di realtà su cui costruire il personaggio da deridere, caricandolo di paradossali e grottesche alterazioni delle sue qualità di amorale arrampicatore sociale. Il C. - come razionalmente rileva la corte di merito - è inquadrato nella categoria umana e sociale dei personaggio servile, opportunista, pronto a barattare dignità con profitto di ogni genere. Manca però qualsiasi riferimento a dati storici che giustifichino, in maniera certa o in maniera approssimativa, l'attribuzione al querelante di questa screditante scelta di vita, e diano lo spunto per inquadrarlo nella categoria degli amorali arrampicatori sociali. La critica esasperata nel contenuto e nella forma non risulta indirizzata contro un bersaglio il modus vivendi di questo tipo di soggetti , giustificativo della dissacrazione dell'immediato bersaglio, costituito da una singola persona, ritenuta rappresentativa questo genere dei componenti della società. Questa assenza della rappresentatività della singola persona, la rende unica destinataria, unico bersaglio di una critica che si rivela ingiustificata sotto tutti i profili. L'aggressione al singolo non è strumentale rispetto a una critica sociale, ma è fine a se stessa, scadendo in un'ordinaria serie di offese alla dignità della persona. Non si tratta di satira di costume - di cui va comunque valutata la misura del suo distacco dalle forme convenzionali -, ma di critica personale che è spinta al di là dei legittimi limiti sociali e giuridici. Inoltre la condotta attribuita al C. , improntata al bipolarismo un giorno soddisfa l'uno, un giorno soddisfa l'altro esponente di entrambi gli schieramenti è espressa con una forma spregiativa che assolutamente non può essere considerata continente. Continenza - secondo la dottrina - significa proporzione, misura e continenti sono quei termini che non hanno equivalenti e non sono sproporzionati, ai fini del concetto da esprimere, rispetto alla controllata forza emotiva suscitata della polemica, su cui si vuole instaurare un civile rapporto dialogico e dialettico. È di tutta evidenza che l'immagine e i termini usati dal M. sono sproporzionati rispetto a un livello di polemica compatibile con un civile rapporto critico con il C. e sono sicuramente sostituibili con equivalenti espressioni critiche meno traumatizzanti. Pertanto, va rigettato il ricorso del M. avverso questo punto della sentenza di condanna, confermata dalla corte di appello. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla diffamazione in danno di Mi. , con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Torino per nuovo esame. Rigetta nel resto.