Molestie su infermiera e addetta alle pulizie, medico condannato anche senza querela

Lunga vicenda giudiziaria elemento centrale la procedibilità d’ufficio se l’imputato è un pubblico ufficiale. Non è indispensabile l’abuso durante l’espletamento delle funzioni, ma la connessione con l’attività nei confronti di persone in rapporto di dipendenza.

Procedibilità d’ufficio o querela necessaria? Per l’accusa di molestia sessuale a carico del medico, l’azione penale è obbligatoria – anche se la vittima, per timore, preferisce tacere –, perché il reato è legato, inevitabilmente, alle sue funzioni, nonostante fosse stato commesso non durante l’espletamento degli incarichi affidatigli. Ciò che conta – chiarisce la Cassazione, con sentenza n. 46951, Quarta sezione Penale, depositata oggi – è la connessione, anche generica, dell’abuso con l’attività esercitata nei confronti di persone in rapporti di dipendenza . Medico sotto accusa. A finire sul banco degli imputati è il medico responsabile di un’unità operativa di un’Azienda sanitaria locale. Le accuse? Molestie sessuali nei confronti di una infermiera e di una addetta alla pulizia del reparto. Le due donne, però, preferiscono tacere, per timore di ripercussioni sul lavoro. Eppure, la vicenda giudiziaria ha comunque uno sviluppo, peraltro assai complicato. In rapida successione condanna in primo grado per avere commesso atti sessuali, quale pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni , con risarcimento dei danni nei confronti delle due donne e della struttura sanitaria non doversi procedere in secondo grado per difetto di querela , perché l’imputato allorquando commise i fatti, non si trovava nell’esercizio delle proprie funzioni annullamento deciso dalla Corte di Cassazione nuova pronuncia in secondo grado, con conferma della condanna decisa originariamente in primo grado e, ora, nuovo capitolo in Cassazione Il nodo procedibilità. Proprio la prima pronuncia della Cassazione costituisce la svolta dell’intera vicenda. Perché viene chiarito, alla luce della normativa più attuale, che la procedibilità d’ufficio è stata stabilita in ragione dell’autorità connessa alle funzioni esercitate ed all’influenza, al vincolo, alla dipendenza, se non al condizionamento od al timore che ne può derivare . Il riferimento alla vicenda in questione è calzante l’imputato era direttore di un reparto, mentre le due vittime erano l’una un’infermiera e l’altra un’addetta alle pulizie del medesimo reparto, e, quindi, persone soggette alla sua autorità ed al suo controllo, tanto è vero che non sporsero querela . Evidentemente, i giudici di piazza Cavour hanno sottolineato l’ampliamento del concetto di perseguibilità d’ufficio, con relativa lettura della connessione alla figura del pubblico ufficiale. Nessuna dipendenza? Ora, a distanza di tempo, si ritorna nuovamente in Cassazione, su ricorso del medico sotto accusa, che contesta, ovviamente, la nuova pronuncia d’appello, che lo ha visto condannato. Nodo gordiano è, anche in questa visione, la figura del pubblico ufficiale. Secondo i legali del medico – che mettono in discussione anche la ricostruzione dei fatti –, l’interpretazione data dalla Cassazione non è applicabile alla specifica vicenda, perché l’uomo ha compiuto tipici atti a sorpresa, estranei a qualsiasi ipotesi di abuso funzionale, tanto che le donne lo avevano allontanato fermamente, senza alcun timore reverenziale , quindi nessuna connessione tra il fatto e la qualifica di pubblico ufficiale e tanto meno con l’abuso delle funzioni, tanto più che egli ha colto le donne alle spalle, il che significa che non ha voluto affatto valersi della sua condizione . Principio d’autorità. Per la posizione del medico, però, anche questa seconda pronuncia della Cassazione è nettamente negativa, con conferma della condanna. Viene, difatti, pienamente condiviso il principio fissato illo tempore la procedibilità d’ufficio è stata stabilita in ragione dell’autorità connessa alle funzioni esercitate , con evidente riferimento al vincolo, alla dipendenza, al condizionamento od al timore che ne può derivare , come nel caso, ad esempio, di un’infermiera rispetto al medico responsabile del reparto. L’orizzonte, comunque, è anche più ampio. Difatti, i giudici della Cassazione chiariscono che la procedibilità d’ufficio non presuppone l’abuso durante l’espletamento delle funzioni demandate al pubblico ufficiale sotto l’aspetto strettamente tecnico-specialistico, ma la connessione, anche generica, di tale abuso con l’attività esercita nei confronti di chi sia in rapporti di dipendenza .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 27 ottobre – 20 dicembre 2011, numero 46951 Presidente Brusco – Relatore Bianchi Ritenuto in fatto 1. P. G. veniva condannalo dal Tribunale di Ancona alla pena di un anno e sei mesi di reclusione in ordine al ritenuto reato di cui all'artt. 609 bis ultimo comma cod. penumero in reazione all'art. 609 septies cod.penumero per avere, quale medico responsabile di un'unità operativa dell'A.S.L. di Ancona,. e pertanto pubblico ufficiale, commesso con violenza e nell'esercizio delle proprie funzioni atti sessuali in una occasione nei confronti di una addetta alla pulizia del reparto L. S. , e, in altra occasione, nei confronti di una infermiera M. Z. i fatti si erano verificati tra marzo 1997 e agosto 1999 ritenuta la continuazione tra i due reati, con la concessione delle attenuanti generiche e di quella di cui all'art. 609 bis c.p., comma 3, la pena veniva determinata in un anno e sei mesi di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale della pena veniva altresì condannato al risarcimento del danni nei confronti delle due donne e dell'A.S.L. di Ancona, costituitesi parti civili. 2.Su appello dell'imputato la Corte d'appello di Ancona dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato per difetto di querela, revocando le statuizioni civili e adottando le conseguenti statuizioni in ordine alle spese. Detta corte esaminava tutti i motivi proposti dall'imputato in ordine alla ritenuta responsabilità e li riteneva tutti infondati, confermando pertanto la sentenza di primo grado quanto all'avvenuto compimento da parte del G. di atti di natura sessuale nei confronti delle due donne, abbracciandole da dietro e palpandole sul seno e in zone intime contro la loro volontà tuttavia secondo la Corte era inapplicabile l'art. 609 septies c.p., che consente la procedibilità di ufficio nell'ipotesi che il fatto sia commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni ciò in quanto il G., allorquando commise i fatti, non si trovava nell'esercizio delle proprie funzioni, nel senso che non vi era contestualità tra dette funzioni e gli episodi contestati, non stava effettuando visite o accertamenti medici, né stava redigendo certificazioni, o comunque non stava svolgendo alcuna attività tecnica e/o amministrativa nell'ambito del servizio pubblico affidatogli. Né, secondo la Corte territoriale, poteva ritenersi la sussistenza della connessione con il delitto di atti osceni 'in luogo pubblico o esposto ai pubblico dal momento che tale reato non era stato contestato e neppure menzionato dal punto di vista fattuale. 3.Proponevano ricorso per cassazione il Procuratore Generale di Ancona e le parti civili, sostenendo, tra l'altro che il reato era stato commesso nell'esercizio delle funzioni, dovendosi tale presupposto ravvisare in una connessione anche occasionale tra esse e l'azione delittuosa. 4. La Corte di Cassazione, sezione III, riteneva fondato il ricorso ed annullava la sentenza impugnata. La Corte rilevava con le modifiche del 1999 il legislatore aveva ritenuto perseguibile di ufficio il reato in questione non più soltanto perché il fatto è commesso sic et simpliciter da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, come era per l'abrogato art. 542 cod. penumero , ma allorché il reato, secondo il disposto dell'art. 609 septies c.p., era commesso nell'esercizio delle funzioni. Osservava che la procedibilità d'ufficio è stata evidentemente stabilita in ragione dell'autorità connessa alle funzioni esercitate ed all'influenza, al vincolo, alla dipendenza, se non ,al condizionamento od al timore che ne può derivare e l'imputato era il direttore di un reparto, mentre le due 'vittime erano l'una un'infermiera e l'altra un'addetta alle pulizie del medesimo reparto, e quindi persone soggette alla sua autorità ed al suo controllo, tanto è vero che non sporsero querela. Precisava che, comunque. l'art. 609 septies c.p.p., comma 3, numero 5 nello stabilire la procedibilità d'ufficio non presuppone l'abuso durante l'espletamento delle funzioni demandate al pubblico ufficiale sotto l'aspetto strettamente tecnico-specialistico, ma la connessione anche generica di tale abuso con l'attività esercitata nei confronti di chi sia in rapporti di dipendenze infatti, la terminologia nell'esercizio delle proprie funzioni” deve intendersi limitativa non nel senso inteso con l'impugnata sentenza, ma in quello che, senza tale restrizione si procederebbe d'ufficio anche nel caso in cui la qualità di pubblico ufficiale non fosse rivelata alla vittima, o comunque ella non ne avesse cognizione, ed il reo non abbia approfittato di condizioni obiettive dovute alla sua qualità. In altri termini, la specificazione di cui sopra equivale all'abuso di autorità” di Cui all'art. 609 bis c.p. violenza sessuale solo che in quel caso l'abuso può essere commesso da chi abbia un qualsiasi potere di influenza, mentre nel caso in esame esso è dovuto all'esercizio delle pubbliche funzioni genericamente esercitate nel contesto di commissione del reato”. 5. La Corte d'appello di Perugia, provvedendo in sede di rinvio, confermava la sentenza di condanna emessa dal Tribunale. 6. Avverso tale sentenza hanno presentato separati ricorsi per cassazione difensori dell'imputato. 6.1 L'avv.to L. M. con un primo motivo deduce la violazione dell'art. 627 numero 3 cod. proc. penumero . La Corte di appello ha ritenuto che la Corte di Cassazione, nell'annullare la precedente sentenza di merito, abbia, sia pur esorbitando dai confini di un giudizio di legittimità, stabilito positivamente che il dott. G. aveva agito nell'esercizio di pubbliche funzioni ed ha ritenuto di essere vincolata da tale statuizione. Secondo il ricorrente ciò è frutto di un’errata lettura della sentenza di .annullamento che non ha affatto esorbitato dai limiti che le sono propri di fissare il principio di diritto e non ha stabilito la procedibilità di ufficio nel caso specifico, concretamente accertato, ma solo con riferimento alla contestazione in ogni caso sostiene che se fosse vero ch'e la Corte di Cassazione avesse esorbitato dai confini del giudizio di legittimità, l' obiter pronunciato non vincolerebbe il giudice di merito. Con il secondo motivo sostiene che spettava dunque alla Corte di appello verificare se, con riferimento alla situazione del caso di specie, il pubblico ufficiale aveva o meno compiuto il reato nell'esercizio delle sue funzioni e che il principio fissato dalla Cassazione era quello che tale presupposto ricorre quando il delitto è commesso nello svolgimento delle attività proprie del pubblico ufficiale o con abuso dell'attività connessa a tali funzioni, su coloro che sono in posizione di dipendenza effettiva o di fatto nelle due ipotesi considerato l'imputato ha compiuto dei tipici atti a sorpresa, abbracciando da dietro le due donne, atti che erano estranei a qualsiasi ipotesi di abuso funzionale tanto che le donne lo avevano allontanato fermamente, senza alcun timore reverenziale. La riforma intervenuta nel 1996 aveva precisato la necessità che l’atto fosse compiuto nell'esercizio delle funzioni e non solo dal pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio . Nessuna connessione vi è, secondo il difensore, tra il fatto e la qualifica di pubblico ufficiale e tanto meno con l'abuso delle funzioni, tanto più che l'imputato ha colto le donne di spalle il che significa che non ha voluto affatto valersi della sua condizione. 6.2 L'avvocato R. L. si duole della mancata considerazione da parte della corte di Perugia dei motivi di appello presentati contro la sentenza di primo grado. La stessa Corte di Perugia ha adombrato la possibilità che sulle questioni di merito fosse sceso il giudicato per non essere stata dal medesimo imputato impugnata la prima sentenza di appello, quella che ha ritenuto il difetto di procedibilità,, ma è evidente l'erroneità di un tale assunto atteso che, avendo la Corte di Cassazione annullato per intero la sentenza di appello, il giudice di rinvio doveva esaminare tutte le questioni. Questioni che invece la nuova sentenza ha preso in esame solo con riferimento agli aspetti sviluppati dalla difesa nella discussione orale, in particolare il ricorrente si duole che non vi sia motivazione alcuna sulla questione attinente la data della presunta violenza sulla S. che la donna ha collocato in una giornata fredda e quando era ormai buio, mentre la difesa aveva dimostrato come nel giorno e nell'orario indicato non era freddo e non poteva essere già buio sulle attendibilità delle persone offese, congiuntamente esaminata sulla scarsa credibilità della S. laddove aveva dichiarato di non aver presentato querela per timore di perdere il posto, mentre invece era già cessato ogni rapporto lavorativo prima della scadenza del termine per presentare querela. Con riferimento alla Z., manca ogni riferimento alle prime dichiarazioni rese dalla donna al pm nelle quali ritrattava le accuse originariamente mosse offrendo una lettura dei rapporti con l'imputato di grande confidenza, dalla medesima autorizzata, tanto da ritenersi responsabile del fatto. Manca la risposta sui motivi di appello sviluppati alle pagine 9/11, 11/12, 20/22. Considerato in diritto 1. I ricorsi non meritano accoglimento dal momento che le questioni che essi pongono risultano, nonostante le abili argomentazioni dialettiche dei difensori, infondate. 1.1 Rileva in primo luogo il Collegio che il tema della procedibilità è stato correttamente affrontato dalla Corte di appello. È pacifico che, ai sensi dell'art. 672, co. 3, cod. proc. penumero , il giudice di rinvio deve uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, sempre che nella sentenza di annullamento sia rinvenibile, sia pure implicitamente, un qualche principio di diritto, o quanto meno, una questione di diritto decisa. sez. VI 24.6.2003, n 34027 rv 226668 . Nel caso di specie la Corte di Cassazione ha sicuramente formulato un principio di diritto, osservando che la procedibilità d'ufficio, nel nuovo art. 609 septies , è stata stabilita in ragione dell'autorità connessa alle funzioni esercitate ed all'influenza, al vincolo, alla dipendenza, se non al condizionamento od al timore che ne può derivare e precisando che l'art. 609 septies c.p.p., comma 3, numero 5 , nello stabilire la procedibilità d'ufficio non presuppone l'abuso durante l'espletamento delle funzioni demandate al pubblico ufficiale sotto l'aspetto strettamente tecnico-specialistico, ma la connessione anche generica di tale abuso con l'attività esercitata nei confronti di chi sia in rapporti di dipendenza. Può essere che la Corte di Cassazione si sia spinta, sia pure impropriamente, a ritenere che le c in ostan 2 E! di fatto del caso di specie corrispondevano a tale criterio. Ciò è però in questa sede irrilevante, dal momento che il giudice di rinvio non si è limitato a prendere atto pedissequamente delle conclusioni della Corte Suprema, ma ha dimostrato di condividerle con riferimento al caso di specie. Né può sostenersi, perché ciò è incompatibile con il significato letterale delle parole, sopra testualmente riportate, che il principio fissato dalla Cassazione era quello che tale presupposto ricorre quando il delitt01 è commesso nello svolgimento delle attività proprie del pubblico ufficiale o con abuso dell'attività connessa a tali funzioni, o su coloro che sono in posizione di dipendenza effettiva o di fatto. 2. Passando ad esaminare le restanti doglianze, non sono fondate quelle proposte dall'avv.to L. di difetto di motivazione in merito all'accertamento dei fatti, sotto il profilo della mancata considerazione dei motivi di appello formulati dall'imputato nei confronti della sentenza di primo grado. La Corte di Perugia ha infatti compiutamente e correttamente motivato la ritenuta responsabilità. La Corte ha richiamato la prima sentenza di appello, sottolineando che la stessa aveva ritenuto pienamente provata la successione dei fatti così come riferiti dalle due persone offese, qualificate attendibili e non adeguatamente smentite da contrarie emergenze istruttorie ha ricordato che tale sentenza è stata impugnata solo sul punto della perseguibilità a querela e che pertanto i profili di merito della vicenda potevano ritenersi coperti da giudicato. Ha tuttavia rilevato che la sentenza di annullamento della Corte di Cassazione non aveva precisato quali parti della sentenza fossero oggetto di annullamento. Ha ritenuto di dover pertanto motivare anche sulla responsabilità, e ciò ha fatto con particolare attenzione agli ulteriori elementi prospettati dalla difesa in sede di discussione, elementi di cui ha sottolineato la coincidenza con i profili che già erano stati esaminati nella prima sentenza di appello, annullata Ha ricordato che la prima sentenza di appello aveva gi qualificato destituiti di fondamento” tali motivi. Ha ribadito con proprie osservazioni il giudizio di attendibilità delle persone offese. In tale situazione non può davvero eccepirsi il difetto di motivazione, dal momento che la corte perugina, con i ripetuti rinvii alla precedente sentenza, ha dimostrato di condividere e fare proprie le valutazioni già da tale giudice dettagliatamente e puntualmente espresse sulla responsabilità, ulteriormente rafforzandole con proprie considerazioni. 2. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali alla rifusione delle spese in favore delle parti civili, liquidate come al dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi euro 3500,00 in favore di S. L. e Z. M. e in complessivi euro 3000,00 in favore della ASUR Marche 7 oltre, per tutti, accessori come per legge.