L’irregolarità fiscale durante il periodo di imposta non è reato

Briatore ha ottenuto la restituzione dello yacht sequestrato qualche tempo fa è solo la falsa dichiarazione dei redditi che integra l’evasione fiscale.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46591/2011 depositata il 15 dicembre, ha precisato che l’irregolarità fiscale durante il periodo di imposta non è reato, è solo la falsa dichiarazione dei redditi, infatti, che integra l’evasione fiscale. Il caso. Briatore veniva indagato nell’ambito di un’inchiesta per evasione dell’IVA sul carburante del suo yacht. Per questo, l’imbarcazione veniva sottoposta a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente artt. 640- quater e 322- ter . Contro tale provvedimento, l’ex Team manager propone ricorso per cassazione. Secondo il ricorrente, le condotte non direttamente ascrivibili ad una delle fattispecie di reato in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto d.lgs. n. 74/2000 , sarebbero penalmente irrilevanti ed il loro disvalore non potrebbe essere recuperato sul piano del diritto penale comune” ipotizzando una truffa . L’aspirante evasore potrebbe ravvedersi. L’accoglimento di questo primo motivo del ricorso, da parte del Collegio, ha rilievo assorbente rispetto alle altre due doglianze. La Corte di legittimità ha ricordato che il legislatore ha abbandonato con il d.lgs. n. 74/2000 la linea repressiva, già sulla fase preparatoria dell’evasione d’imposta, che era prevista dalla precedente disciplina l. n. 516/1982 . In pratica – affermano gli Ermellini, citando le Sezioni Unite - è stata negata autonoma rilevanza penale alle violazioni a monte” della dichiarazione stessa, non ancora produttive di danno reale ed effettivo per l’erario SSUU n. 27/2000 . Il legislatore, infatti, individua la condotta tipica e il momento di rilevanza penale della fattispecie di evasione, nella presentazione della dichiarazione annuale. Anche perché, nel frattempo, il ravvedimento del contribuente potrebbe escludere la punibilità per i reati tributari. Nessuna punizione anticipata. In conclusione, anche nel caso di irregolarità fiscali commesse nel corso del periodo d’imposta, non può recuperarsi l’illiceità penale della condotta preparatoria utilizzando un’ipotesi delittuosa comune contro il patrimonio nel caso specifico la truffa aggravata ai danni dello Stato. Dunque, essendo il fatto penalmente irrilevante, la Corte di Cassazione annulla senza rinvio il decreto di sequestro.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 29 settembre – 15 dicembre 2011, n. 46591 Presidente Sirena – Relatore D’Arrigo Osserva Con ordinanza del 10 dicembre 2010 il g.i.p. del Tribunale di Genova ha disposto il sequestro preventivo sui beni e sul denaro di B.F. , finalizzato alla confisca per equivalente di cui agli artt. 640- quater e 322- ter c.p. fino alla concorrenza di Euro 1.562.415,68. Infatti, allo stesso veniva contestato - in concorso con terzi, anch'essi interessati, sebbene in diversa misura, dal sequestro conservativo - di aver posto in essere artifizi e raggiri al fine di truffare lo Stato, ottenendo l'ingiusto profitto di evadere, in misura corrispondente all'importo del sequestro, l'i.v.a. sul carburante impiegato per un'imbarcazione da diporto denominata omissis ”. Avverso tale provvedimento il B. propone, per il tramite dei suoi legali, ricorso per cassazione, allegando tre motivi. Col primo motivo l'imputato deduce l'erronea applicazione della legge penale, in relazione all'impiego dell'art. 640 c.p. come norma residuale in materia di evasione dell'imposta sul valore aggiunto. Osserva al riguardo che il reato, invece, non sarebbe configurabile neppure in astratto, dal momento che il sistema delle sanzioni penali in materia fiscale esaurirebbe l'intera pretesa punitiva dello Stato in subiecta materia , con la conseguenza che le condotte non direttamente ascrivibili ad una delle fattispecie incriminatrici di cui al d.lgs. n. 74 del 2000 sarebbero penalmente irrilevanti ed il loro disvalore non potrebbe essere recuperato sul piano del diritto penale comune ipotizzando una truffa. Richiama a sostegno la recente sentenza delle Sezioni unite del 28 ottobre 2010, n. 1235/11. Con il secondo motivo il provvedimento impugnato è censurato nella parte in cui omette di individuare i beni da sottoporre a sequestro, demandando al p.m. di provvedervi in fase di attuazione. Anche in questo caso viene indicato un recente arresto di legittimità che, in ossequio del principio di proporzionalità fra il credito garantito ed il patrimonio sequestrato, richiede che l'adempimento estimatorio sia effettuato al momento dell'applicazione della misura cautelare e non già nella fase esecutiva della stessa. Il terzo motivo attiene all'erronea applicazione della normativa fiscale. In particolare, si osserva sul punto che - dovendosi escludere che la sussistenza di reati fiscali possa desumersi dal cd. giudicato cautelare formatosi, pur nell'ambito del medesimo procedimento, in relazione ad una differente imputazione - sarebbe dovuto essere onere del g.i.p. verificare se vi sia stata davvero evasione dell'i.v.a. e questo scrutinio non avrebbe potuto avere esito diverso da quello negativo, dal momento che l'imbarcazione omissis ” godeva realmente delle condizioni per l'esonero dal pagamento dell'i.v.a Il primo motivo di ricorso è fondato ed il suo accoglimento ha rilievo assorbente rispetto alle ulteriori doglianze. Come correttamente posto in evidenza dal ricorrente, le Sezioni unite di questa Corte 28 ottobre 2010, n. 1235 - rv. 248865 hanno recentemente affrontato il quesito se il sistema delle sanzioni penali in materia fiscale debba essere integrato con le fattispecie di diritto comune, talché le condotte non previste dalle norme speciali potrebbero comunque ricadere nell'ambito di applicazione di quelle generali ovvero se esso costituisca un sistema autonomo ed esclusivo, con la conseguente irrilevanza penale dei fatti non espressamente tipizzati dalle disposizioni fiscali, sebbene astrattamente riconducigli a fattispecie incriminatrici di diritto comune. Al riguardo la citata sentenza ha rilevato innanzitutto come il legislatore, in occasione della riforma introdotta con il d.lgs. n. 74 del 2000, con una scelta di radicale alternatività rispetto al pregresso modello di legislazione penale tributaria, ha inteso abbandonare il modello del cd. reato prodromico caratteristico della precedente disciplina di cui al d.l. 10 luglio 1982, n. 429, conv. l. 7 agosto 1982, n. 516 , che anticipava la linea d'intervento repressivo già sulla fase preparatoria dell'evasione d'imposta, in favore del fecalizzazione del disvalore sul momento dell'effettiva offesa degli interessi dell'erario. Questa strategia, come si legge nella relazione ministeriale, ha impuntato la reazione punitiva sulla dichiarazione annuale, quale atto che realizza, dal lato del contribuente, il presupposto obiettivo e definitivo dell'evasione di contro, è stata negata autonoma rilevanza penale alle violazioni a monte della dichiarazione stessa, non ancora produttive di danno reale ed effettivo per l'erario v. pure Sez. Un. 25 ottobre 2000 n. 27 - rv. 217031 Corte cost. 27 febbraio 2002, n. 49 . Ai fini della questione che ci interessa, assume particolare rilievo l'art. 6 d.lgs. n. 74 del 2000, che esclude la punibilità a titolo di tentativo dei delitti in materia di dichiarazione di tipo commissivo artt. 2, 3 e 4 d.lgs. cit . La disposizione mira ad evitare che le violazioni preparatorie , già autonomamente represse nel vecchio sistema, possano essere ritenute tuttora penalmente rilevanti ex se a titolo di delitto tentato, quali atti idonei preordinati in modo non equivoco ad una falsa dichiarazione. La ratio risiede nell'intenzione di stimolare, nell'interesse dell'erario, la resipiscenza del contribuente scoperto nel corso del periodo d'imposta. Sulla base di tale rilievo, le Sezioni unite hanno concluso che la negazione di un rapporto di specialità tra la fattispecie penale tributaria e quella comune di truffa aggravata ai danni dello Stato si porrebbe in palese contrasto con la linea di politica criminale e con la stessa ratio che ha ispirato il legislatore nel dettare le linee portanti della riforma introdotta con il d.lgs. n. 74 del 2000. Ciò in quanto, se il legislatore individua nella presentazione della dichiarazione annuale la condotta tipica e il momento di rilevanza penale della fattispecie di evasione, espressamente escludendo che la soglia di punibilità possa essere anticipata , ai sensi dell'art. 56 c.p., anche nel caso di accertamento di irregolarità fiscali compiute nel corso del periodo d'imposta, non può recuperarsi l'illiceità penale della condotta preparatoria utilizzando un'ipotesi delittuosa comune contro il patrimonio, quale la truffa aggravata ai danni dello Stato eventualmente anche sub specie di tentativo . A ragionare diversamente, si finirebbe con lo stravolgere il sistema di repressione penale dell'evasione fiscale, consapevolmente disegnato dalla riforma del 2000 su basi radicalmente diverse. In favore della esclusività del sistema penale fiscale depone anche la disciplina del condono fiscale di cui all'art. 8 - commi 6, lett. c e 12 - della legge 27 dicembre 2002, n. 289 legge finanziaria 2003 . Il ravvedimento del contribuente comporta l'esclusione della punibilità per i reati tributari di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 e l'integrazione dei redditi e degli imponibili non determina obbligo di denunzia all'autorità giudiziaria, in quanto non costituisce notizia di reato. Emergono quindi due elementi che attestano come il legislatore abbia inteso escludere il concorso con il delitto di truffa ai danni dello Stato. In primo luogo, diversamente opinando, la non punibilità dei soli reati fiscali esporrebbe il contribuente alla responsabilità penale per truffa ai danni dello Stato, con l'effetto di disincentivare - anziché auspicare - il perseguimento delle finalità a cui l'intervento normativo è rivolto. In secondo luogo, se il fatto continuasse a costituire reato alla stregua della normativa comune , costituirebbe una grave aporia sistematica l'affermazione secondo cui l'integrazione dei redditi non integra gli estremi della notitia criminis e non deve essere trattata come tale. Infine, un ulteriore argomento a sostegno della non applicabilità dell'art. 640-bis c.p. alla materia fiscale si trae dall'art. 7 della Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee oggi dell'Unione Europea del 26 luglio 1995. La norma, nel porre il principio ne bis in idem Europeo la persona che sia stata giudicata con provvedimento definitivo in uno Stato membro non può essere perseguita in un altro Stato membro per gli stessi fatti, purché la pena eventualmente applicata sia stata eseguita, sia in fase di esecuzione o non possa essere più eseguita ai sensi della legislazione dello Stato che ha pronunciato la condanna” , conferma che la tutela degli interessi finanziari comunitari deve essere attuata mediante un sistema sanzionatorio che è esaustivo degli interventi repressivi, non solo all'interno dei confini nazionali, ma anche nella dimensione comunitaria. Sulla base di tali considerazioni, le Sezioni unite hanno quindi concluso che in definitiva, qualsiasi condotta di frode al fisco non può che esaurirsi all'interno del quadro sanzionatorio delineato dalla apposita normativa. [ .] Vi è, dunque, una generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato e della Unione Europea ”. Nella specie, al B. è stato contestato il reato di cui all'art. 640, primo e secondo comma, c.p., perché, in concorso con altri, avrebbe rappresentato falsamente - anche attraverso la realizzazione di una complessa struttura societaria volta a dissimulare l'effettiva destinazione del bene - che l'imbarcazione denominata omissis ” versava nelle condizioni di non imponibilità i.v.a. in relazione alla fornitura del carburante. La condotta naturalistica così descritta non rientra in alcuna delle fattispecie criminose di cui al d.lgs. n. 74 del 2000. L'imputazione, infatti, è strutturata secondo un criterio di tutela anticipata dell'interesse dell'erario, dal momento che l'azione delittuosa è individuata non già nell'evasione dell'imposta in sé, bensì nella creazione di un'apparenza idonea a creare l'inganno circa la sussistenza dei presupposti destinazione esclusivamente commerciale e proprietà extracomunitaria del natante per l'esenzione dal pagamento dell'i.v.a Facendo applicazione dei principi di diritto testé illustrati, il fatto è quindi penalmente irrilevante, non essendo legittimo impiegare una norma incriminatrice di diritto comune per perseguire una condotta certamente lesiva degli interessi fiscali dello Stato e della Comunità Europea, ma estranea alle fattispecie tipiche del sistema penale tributario. Del resto, la lacuna che in tal modo si andrebbe a colmare è solo apparente. Risulta, infatti, che nell'ambito del medesimo procedimento al B. siano stati contestati anche i reati propriamente fiscali e nell'atto impugnato la contestazione della truffa è posta a fondamento di un provvedimento cautelare di sequestro preventivo in funzione della confisca cd. per equivalente . L'art. 1, comma 143 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 Legge finanziaria 2008 , dispone che nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10- bis , 10- ter , 10- quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all'articolo 322-ter del codice penale”. Conseguentemente è possibile la confisca per equivalente, con conseguente legittimità del sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., delle somme di denaro sottratte a. pagamento dell’i.v.a. dovuta, che costituiscono il profitto del reato Sez. 3^, 26 maggio 2010, n. 25890 – rv. 248058 . Anzi, proprio questa novella legislativa dimostra ulteriormente che il sistema sanzionatorio in materia fiscale ha una spiccata specialità che lo caratterizza come un sistema chiuso e autosufficiente, all’interno del quale si esauriscono tutti i profili degli interventi repressivi, in quanto detta tutte le sanzioni penali e gli strumenti processuali necessari a reprimere le condotte lesive o potenzialmente lesive dell’interesse erariale alla corretta percezione delle entrate fiscali. Per tali motivi il provvedimento impugnato deve essere annullato senza rinvio. P.Q.M. Annulla senza rinvio il decreto di sequestro del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova n. 4501/2010 R.G. g.i.p Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 c.p.p