Violenze sulla moglie, episodi diradati nel tempo. Motivazione più piena per condannare il marito

Sotto esame un arco di quasi venti anni. La condanna confermata in Appello viene rimessa in discussione. Perché la condotta vessatoria deve essere abituale e pochi isolati episodi non possono essere ritenuti sufficienti.

Tre episodi di violenza fisica in un arco temporale di diciannove anni. Oltre a ciò, dieci presunti episodi di violenza sessuale. Contesto? Quello coniugale. Bastano per l’accusa di maltrattamenti in famiglia? Teoricamente sì, ma ciò che conta davvero – chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 46196/2011, sezione Terza Penale, depositata il 13 dicembre – è una ricostruzione dei fatti affidabile, non basata solo sulle parole della persona offesa – la moglie, in questo caso –, utile, quindi, ad acclarare una condotta vessatoria abituale. Rottura e denuncia. Il rapporto tra moglie e marito, protrattosi per anni e impreziosito anche dalla nascita di due figli, si interrompe bruscamente, con tanto di separazione. Ma lo strascico principale è la denuncia della donna, che dichiara di aver subito maltrattamenti e violenza sessuale ripetutamente durante la vita coniugale. La convivenza, tra le mura domestiche, sarebbe stata assai difficile La posizione dell’uomo è grave. Difatti, sia in primo che in secondo grado, viene condannato per maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, lesioni e minacce . La pena? Quasi cinque anni di reclusione. Episodico. Proprio l’arco temporale preso in considerazione dai giudici è l’elemento centrale del ricorso per cassazione presentato dall’uomo. In questa ottica, secondo l’uomo, gli episodi di violenza denunciati – tutti da verificare, comunque – sono isolati e intervallati in un ampio arco di venti anni , quindi non utili a integrare il reato di maltrattamenti. Eppoi, non vi è stata una posizione di prevaricante supremazia, né la volontà di sottoporre a sofferenze il soggetto passivo e, comunque, la presunta parte lesa ha mostrato un carattere forte e deciso, autoritario e dominante . A questo quadro, poi, viene aggiunto un ulteriore elemento la valutazione dei rapporti tra i due coniugi. Che, nell’arco temporale preso in considerazione – caratterizzato, secondo l’accusa, anche da violenza sessuale –, avevano anche programmato una gravidanza. Tutto ciò testimonia, secondo il ricorrente, la non sussistenza del reato di maltrattamenti, o, quantomeno, la non approfondita valutazione compiuta in Appello. Dov’è la motivazione? Di fronte ad una vicenda comunque delicata, i giudici della Cassazione considerano legittime le contestazioni mosse dall’uomo, e, quindi, legittimo il ricorso. A finire nel mirino è la sentenza pronunciata in secondo grado. Essa presenta, secondo i giudici di piazza Cavour, una motivazione totalmente carente o comunque meramente apparente rispetto a continuazione e abitualità negli episodi di violenza denunciati dalla donna. Più in particolare, in Appello viene affermata l’esistenza di un sistema di vita familiare da incubo, ma mancano elementi concreti a sostegno di questa tesi, ovvero una condotta consistente in aggressioni fisiche e vessazioni o manifestazioni di disprezzo abitualmente lesiva della integrità fisica e del patrimonio morale della persona offesa . E ciò è decisivo perché non possono essere sufficienti alcuni limitati episodi . La lacuna motivazione è, quindi, il nodo gordiano della vicenda. E su questo punto toccherà alla Corte d’Appello approfondire meglio i fatti per valutare appieno se all’uomo possa essere attribuito il reato di maltrattamenti.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 ottobre – 13 dicembre 2011, n. 46196 Presidente Mannino – Relatore Franco Svolgimento del processo Con la sentenza in epigrafe la corte d'appello di Catanzaro confermò la sentenza 14 maggio 2010 del tribunale di Rosarno, che aveva dichiarato P. G. colpevole dei reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, lesioni, minacce commessi in danno della propria moglie, poi separata, V. R., e lo aveva condannato alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione. L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo 1 erronea applicazione degli artt. 572, 609 bis , 612, 582, nonché 157 c.p. Lamenta che la corte d'appello ha erroneamente qualificato episodi isolati ed intervallati in un ampio arco di 20 anni come integranti il reato di maltrattamenti in famiglia, che invece si sarebbe prescritto insieme ai reati di lesioni. La persona offesa, invero, ha in realtà descritto solo due episodi di violenza oltre quello della lavanderia del 2009 e cioè uno nel 1991 ed un altro nel 2000. I due episodi non sono avvinti dalla continuazione, manca l'abitualità, la continuazione cessa nel 2000, sicché il reato sarebbe prescritto perché la stessa persona offesa dice che dopo il 2004 non ci sono stati episodi di violenza. Conseguentemente non c'è procedibilità d'ufficio per il reato di violenza sessuale per tardività della querela. Non vi è stata una posizione di prevaricante suprema dell'imputato né la volontà di sottoporre a sofferenze il soggetto passivo. La giurisprudenza poi esclude il reato di maltrattamenti in presenza come è avvenuto nella specie di un carattere forte e deciso della presunta parte lesa. Anche i presunti episodi di violenza sessuale nel caso in esame rientrerebbero semmai nei maltrattamenti. La corte d'appello ha omesso di valutare la circostanza che dopo le presunte violenze i coniugi avevano pianificato una gravidanza volontaria. Non è stato precisato come si sarebbe consumata la presunta violenza nei singoli episodi. In realtà la donna non ha mai subito violenza fisica o minaccia. Il reato inoltre sarebbe prescritto. L'episodio della lavanderia del 2009 va qualificato come un normale litigio tra coniugi con reciprocità di aggressioni e con provocazione. Non vi è continuazione o abitualità con gli episodi verificatisi ben 10 anni prima. 2 erronea applicazione dell'art. 506 cod. proc. pen. perché la corte d'appello non ha motivato sulle doglianze della difesa circa la conduzione della deposizione della persona offesa, caratterizzata da una serie continua e invasiva di domande suggestive da parte della presidente, che hanno compromesso la spontaneità ed attendibilità della parte offesa. Né il pianto della teste, della cui spontaneità si può dubitare, può giustificare una sentenza di condanna. La corte ha anche omesso di valutare le doglianze della difesa sul mendacio della donna circa il mutuo, le radiografie, il rapporto tra padre e figlio. 3 mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla credibilità della persona offesa. In particolare è contraddittoria la valutazione dell'apporto portato dal figlio F Vi è carenza di motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata non spiega perché la donna sarebbe attendibile e in cui non ha preso in esame e valutato gli specifici motivi di appello. La sentenza impugnata ha poi omesso di analizzare la personalità dei due coniugi e non ha tenuto conto del fatto che dalla testimonianze non è emerso uno stato di soccombenza della donna, ma anzi un carattere forte, autoritario e dominante della stessa. La corte ha sorvolato sul tema della infedeltà della moglie. 4 mancata motivazione sulla quantificazione della pena. Motivi della decisione Il ricorso è fondato. La sentenza impugnata, infatti, presenta una motivazione totalmente carente o comunque meramente apparente sulla continuazione e sul carattere di abitualità fra gli episodi di violenza e di lesioni verificatisi nel 1991 e nel 2000 e l'episodio di violenza avvenuto nella lavanderia nel 2009. La motivazione infatti si incentra quasi esclusivamente sull'episodio del 14 gennaio 2009, mentre per tutto il resto dei comportamenti contestati con il capo di imputazione, ed in particolare sui maltrattamenti continuati ed abituali che si sarebbero verificati per oltre diciannove anni dal 1991 in poi, la motivazione è in sostanza inesistente. La corte si è limitata, infatti, a parlare delle lesioni patite dalla V. nel 2000 causative di frattura all'arto sinistro , di circa una decina di episodi di violenza sessuale avvenuti fra il 2000 ed il 2003, e genericamente di numerosi episodi non meglio specificati di cui fu vittima la persona offesa nel corso della sua vita coniugale. La motivazione sulla sussistenza di maltrattamenti che sarebbero continuati ininterrottamente secondo il giudice di primo grado – dal 1991 al 2009 con carattere di abitualità, quindi, si risolve nell'affermazione pag. 10 che la donna non aveva riferito solo due episodi di violenza nel 1991 e nel 2000, bensì un sistema di vita famigliare e di rapporti con l'imputato costellato nel tempo di percosse, di offese, di apparente normalità a condizione che la V. si comportasse come il marito esattamente esigeva, di episodi di vere e proprie lesioni, di ripetuti costringimenti sessuali, di ingiurie, di strattonamenti, di disprezzo e di umiliazioni inflitte . di impedimenti ad uscire da casa esercitando la violenza in prossimità della separazione del l'anno 2008 . Si tratta però di una motivazione meramente apparente perché non è stato in nessun modo specificato in che cosa concretamente sarebbero consistiti questi episodi solo genericamente indicati e soprattutto quando gli stessi si sarebbero verificati, circostanze queste necessarie sia per la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia sia comunque per la configurabilità di un unico reato di maltrattamenti continuato dal 1991 al 2009. Va invero ricordato che Come è ampiamente noto, perché sussista il reato di maltrattamenti in famiglia occorre che sia accertata una condotta consistente in aggressioni fisiche e vessazioni o manifestazioni di disprezzo abitualmente lesiva della integrità fisica e del patrimonio morale della persona offesa. che, a causa di ciò, versa in una condizione di sofferenza Sez. VI, 12.3.2010, n. 25138, F.S. e che per la sussistenza del reato occorrono elementi idonei a rappresentare un'abitualità della condotta vessatoria dell'imputato , mentre non sono sufficienti alcuni limitati episodi di ingiurie, minacce e percosse nell'arco di circa tre anni . che non rendono di per sé integrato il connotato di abitualità della condotta di sopraffazione richiesta per l'integrazione della fattispecie in esame ed occorre altresì la prova della sussistenza, in capo all'imputato, di una volontà sopraffattrice idonea ad abbracciare le diverse azioni e a ricollegare ad unità i singoli episodi di aggressione alla sfera morale e fisica del soggetto passivo ibidem . Nella specie manca appunto una adeguata e congrua motivazione sulla abitualità della condotta di sopraffazione e sulla volontà sopraffattrice idonea ad abbracciare le diverse azioni ininterrottamente, dal 1991 al 2009. La corte d'appello, del resto, non ha nemmeno adeguatamente tenuto in considerazione e valutato la circostanza astrattamente idonea ad incidere sulla abitualità della con dotta di sopraffazione eccepita dalla difesa che nel 2003 i coniugi avevano pianificato una gravidanza volontaria, che nel 2004 era nata la figlia Emanuela e che nella querela la persona offesa avrebbe affermato che dopo la nascita della bambina non aveva più avuto rapporti sessuali e non vi erano più stati episodi di violenza. La motivazione è carente anche in ordine ai ritenuti dieci episodi di violenza sessuale, in quanto non sono specificate le occasioni in cui questi episodi sarebbero avvenuti, sebbene in quel periodo dal 2000 al 2003 i coniugi avessero avuto altri rapporti sessuali consensuali e non è specificato in che cosa sarebbe ro consistite le minacce e quali sarebbero stati gli atti di costringimento fisico. Soprattutto non è stato spiegato sotto quali profili si sarebbe differenziato il comportamento esteriore della donna in questi episodi rispetto a tutti gli altri e quindi non sono state chiarite le ragioni per le quali potesse ritenersi provato che in quelle occasioni l'imputato avesse avuto consapevolezza di un rifiuto della moglie al rapporto sessuale e quindi avesse dolosamente usato la minaccia o la violenza fisica per vincere la mancanza di consenso. Più in generale la motivazione risulta carente anche in ordine ad una rigorosa valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, perché sono stati considerati decisivi elementi che tali non sono quali la crisi di pianto in dibattimento o la mancanza di pretese civilistiche mentre non sono state adeguatamente esaminate e valutate le specifiche eccezioni sollevate sul punto con l'atto di appello, quali quelle relative alle dichiarazioni del teste A. circa una frase pronunciata dalla V. e denotante un risentimento della donna a carico dell'imputato frase su cui manca una adeguata motivazione anche nella sentenza di primo grado e che contrasterebbe con l'affermazione della sentenza impugnata di una mancanza di risentimento alla valutazione della dichiarazione testimoniale del figlio della coppia F. alle dichiarazioni della donna in ordine al mutuo al rapporto con la bambina al tema della infedeltà ed in generale alla valutazione delle dichiarazioni dei testi della difesa. In sostanza, la corte d'appello si è basata su una acritica accettazione del racconto della donna, senza sottoporlo ad un serio ed effettivo giudizio di attendibilità intrinseca ed estrinseca. La sentenza impugnata deve dunque essere annullata per vizio di motivazione, con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Catanzaro per nuovo esame. Il giudice di rinvio dovrà liberamente esaminare e valutare il materiale probatorio fornito nel processo nella sua totalità e sottoporre ad un nuovo e rigoroso giudizio di attendibilità, intrinseca ed estrinseca, le dichiarazioni della persona offesa, tenendo peraltro conto che dovrà essere fornita congrua, specifica, adeguata e puntuale motivazione sulla eventuale configurabilità di un reato di maltrattamenti in famiglia perdurante dal 1991 al 2009, o anche solo dal 1991 al 2000 o al 2003, e quindi sul carattere di abitualità di una condotta di sopraffazione e su una volontà sopraffattrice sussistente a base di tutte le condotte tenute in tutti i suddetti periodi. Dovrà altresì adeguatamente e congruamente motivare sulla eventuale sussistenza in concreto di episodi di violenza sessuale fra il 2000 ed il 2003. Gli altri motivi restano assorbiti. Per questi motivi La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della corte d'appello di Catanzaro per nuovo giudizio.