Assume da sola delle pillole per abortire: è reato

Per l’interruzione volontaria della gravidanza è sempre necessario l’intervento di una struttura socio sanitaria.

L’ignoranza circa le modalità per l’interruzione volontaria della gravidanza previste dalla legge 194 costituisce ignoranza della legge penale. La donna che assume una medicina capace di farle raggiungere il risultato perseguito di abortire al di fuori del rispetto di dette modalità è punibile anche quando non abbia la consapevolezza di compiere un’azione illegittima. Questo è il principio affermato dalla Quinta sezione Penale della Corte di Cassazione nella sentenza numero 44107/11 depositata il 29 novembre scorso. Il caso. Maggio 2007. Una donna all’ottava settimana di gravidanza si reca all’ospedale. Ha delle perdite ematiche e racconta di aver preso delle pillole di Cytotec. Si tratta di un gastro-protettore da assumere quando si ha l’ulcera. Il Cytotec, però, causa anche forti contrazioni uterine ed è spesso utilizzato per provocare l’aborto. La donna viene dunque condannata dal Tribunale a 40 giorni di reclusione per il reato di interruzione volontaria di gravidanza. L’interruzione volontaria della gravidanza deve essere praticata con le modalità indicate dalla legge. La donna ammette la sua intenzione di provocare l’aborto e di aver assunto il Cytotec come pillola equivalente alla RU 486. Ha ritenuto per errore che non vi fosse alcun protocollo da rispettare. La legge 194 è però chiara al riguardo e per casi come questo prevede l’intervento necessario di una struttura socio sanitaria che offra un percorso psicologico e medico obbligatorio per la persona che intenda abortire. La Corte d’appello conferma la condanna e la donna propone ricorso in Cassazione. A suo dire, la mancata conoscenza dell’obbligo di rispettare un determinato protocollo costituisce un errore su una legge diversa dalla legge penale e ha cagionato un errore sul fatto che costituisce reato. La punibilità è dunque da escludersi. I giudici di merito, invece, sostengono che la non conoscenza delle modalità previste dalla legge 194 costituisce ignoranza della legge penale e non può dunque essere esclusa la responsabilità. Il dolo non necessita della consapevolezza di compiere un’azione illegittima. La Suprema Corte, ribadendo la correttezza dell’interpretazione adottata dal Tribunale e dalla Corte d’appello, ricorda che la coscienza dell’antigiuridicità o dell’antisocialità della condotta non è una componente del dolo, per la cui sussistenza è necessario soltanto che l’agente abbia la coscienza e volontà di commettere una determinata azione. D’altra parte, essendo la conoscenza della legge penale presunta dall’art. 5 cod. penumero , quando l’agente abbia posto in essere coscientemente e con volontà libera un fatto vietato dalla legge penale, il dolo deve essere ritenuto sussistente, senza che sia necessaria la consapevolezza della contrarietà alla legge penale sia nel senso di contrarietà con i fini della comunità organizzata . Per la donna è prevista la sanzione della multa. La sentenza impugnata è però da rinviarsi ad altra sezione della Corte d’appello limitatamente al secondo motivo del ricorso, quello che lamenta un errore nella individuazione del trattamento sanzionatorio. La legge 194 infatti, in casi come questo, prevede che la donna sia punita con una multa fino a 51,65 euro. La pena detentiva si applica solo quando, al di fuori dei casi previsti, la gravidanza è interrotta oltre i 90 giorni.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 settembre – 29 novembre 2011, n. 44107 Presidente Colonnese – Relatore Vessichelli Fatto e diritto Propone ricorso per cassazione D.M. avverso la sentenza della Corte di appello di Milano in data 7 aprile 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado di condanna per il reato di interruzione volontaria della gravidanza commesso il omissis . La detta interruzione era avvenuta, secondo quanto ritenuto accertato dai giudici del merito, all'ottava settimana di gravidanza attraverso la assunzione di un farmaco Cytotex destinato alla cura dell'ulcera ma capace di provocare l'aborto come effetto secondario. L'accertamento del fatto era avvenuto ad opera dei medici dell'Ospedale di XXXXXXX presso il quale la donna si era recata denunciando perdite ematiche e la recente assunzione di pillole per abortire. Era stata inflitta alla donna, imputata e condannata per il reato di cui all'art. 19 commi 1 e 2 l. n. 194 del 1978, la pena, poi condizionalmente sospesa, di 40 giorni di reclusione. Deduce la violazione dell'art. 47 cp La ricorrente aveva assunto il Cytotec quale pillola equivalente a quella propriamente abortiva la RU486 ritenendo, per mero errore, che non vi fosse un protocollo da rispettare peraltro all'epoca dei fatti nemmeno approvato e la ignoranza di tale protocollo non poteva ritenersi - come invece ritenuto dal giudice-errore inescusabile ricadente su parte di norma penale , bensì errore sul fatto, come previsto dall'art. 47 cp. errore capace cioè di alterare il processo volitivo e comunque non destinato a formare oggetto di onere probatorio dell'imputato 2 la violazione dell'art. 19 l. cit. quanto alla individuazione del trattamento sanzionatorio, previsto dalla legge, per la donna, nella forma solo pecuniaria. Il ricorso è fondato nei termini che si indicheranno. Invero il primo motivo è destituito di fondamento. Alla imputata è stato contestato il reato di cui all'art. 19 commi 1 e 2 I. n. 194 del 1978, fattispecie che prevede la sanzione penale per chi cagiona la interruzione volontaria della gravidanza senza la osservanza delle modalità indicate dagli art. 5 e 8 quelle cioè relative al necessario previo intervento della struttura socio sanitaria nel tracciare il percorso dapprima psicologico e poi medico che la donna che intenda abortire è tenuta a seguire. Nel caso di specie è stato accertato che la imputata ha assunto al di fuori del rispetto delle dette modalità una medicina capace di farle raggiungere il risultato perseguito di abortire. La Corte d'appello ha dunque giustamente replicato al motivo di appello con il quale la difesa aveva sostenuto la convinzione della imputata sulla liceità della propria condotta ha cioè osservato che la ignoranza delle modalità, previste dalla legge in contestazione art. 19 l. n. 194 del 1978 , per la realizzazione legittima di una condotta volontariamente abortiva non può che costituire ignoranza della legge penale, ai sensi dell'art. 5 cp, in linea di principio incapace di escludere la responsabilità. Si è osservato anche, in proposito, da parte della giurisprudenza di questa Corte che la coscienza dell'antigiuridicità o dell'antisocialità della condotta non è una componente del dolo, per la cui sussistenza è necessario soltanto che l'agente abbia la coscienza e volontà di commettere una determinata azione. D'altra parte, essendo la conoscenza della legge penale presunta dall'art. 5 cod. pen., quando l'agente abbia posto in essere coscientemente e con volontà libera un fatto vietato dalla legge penale, il dolo deve essere ritenuto sussistente, senza che sia necessaria la consapevolezza dell'agente di compiere un'azione illegittima o antisociale sia nel senso di consapevolezza della contrarietà alla legge penale sia nel senso di contrarietà con i fini della comunità organizzata Rv. 236432 . Del tutto improprio appare dunque il richiamo della difesa all'art. 47 cp, norma che regola il caso dell'errore sulla legge diversa da quella penale, tale potendosi considerare non quella in contestazione ma solo quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente in una norma penale o da questa non richiamata anche implicitamente vedi in tal senso rv 169820 . Fondato è invece il secondo motivo. L'art. 19 comma 2 l. cit. prevede per la donna che provochi la interruzione volontaria della propria gravidanza la pena solo pecuniaria, della multa fino a lire centomila che, ragguagliata all'Euro è pari a 51,65 Euro. Tenuto conto che il giudice del merito, nell'irrogare erroneamente la pena detentiva, ha manifestato un giudizio di congruità di pena individuata in misura vicina al minimo edittale, questa Corte, applicando il medesimo criterio, individua all'esposto principio di diritto, valutando in concreto anche la opportunità della concessione dei benefici di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo esame sul punto.