Datore di lavoro non responsabile per la caduta dall’impalcatura appena montata

Il capocantiere non vigila perché assente per malattia, ma l’imprenditore non risponde dell’infortunio avvenuto sul cantiere.

Il caso. All’origine del processo penale affrontato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44650/2011 depositata il 1° dicembre l’ennesimo incidente sul lavoro un lavoratore dell’edilizia, appena montata un’impalcatura rovina a terra da un’altezza di 185 centimetri a causa dello spazio vuoto che esisteva tra l’impalcatura e la parete dell’edificio, riportando lesioni personali dalle quali derivava l’indebolimento permanente dell’organo della deambulazione. Per quel fatto venivano tratti a giudizio il legale rappresentante della ditta edile quale datore di lavoro , il capocantiere e il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione la cui posizione veniva, però, stralciata avendo preferito patteggiare la pena, tenuto conto che era intervenuto anche il risarcimento del danno. Assolti in primo grado perché il ponteggio era stato montato il giorno dell’incidente. In primo grado il Tribunale di Asti aveva assolto con la formula per non aver commesso il fatto il datore di lavoro e il capocantiere tenendo conto che il ponteggio dal quale il lavoratore era caduto procurandosi le lesioni era stato montato dallo stesso proprio il giorno dell’incidente e che, sempre quel giorno, il capocantiere non era stato presente in cantiere per motivi di salute. Ma il datore è responsabile anche se l’impalcatura era alta meno di 2 metri? Sennonché, il pubblico ministero propone ricorso immediato per cassazione avverso quella sentenza, con esclusivo riferimento alla posizione del datore di lavoro lamentando una violazione della disposizioni penalistiche in materia di colpa e degli obblighi in materia di sicurezza del datore di lavoro. Ed infatti, secondo quel pubblico ministero, sebbene l’altezza del ponteggio non era tale da rendere applicabili le norme antinfortunistiche specifiche per il lavoro in quota, il Tribunale avrebbe dovuto ritenere nel caso di specie residua[re a carico del datore di lavoro] un profilo di colpa generica atteso che l’altezza dell’impalcato, di poco inferiore ai due metri rendeva la situazione concreta estremamente pericolosa per l’incolumità degli addetti, tenuto conto della eccessiva distanza tra asse e parete dell’edificio . Ecco perché, secondo il pubblico ministero, il datore di lavoro aveva l’obbligo di rimuovere i fattori di rischio presenti in cantiere impartendo le disposizioni necessarie e, quindi, avrebbe dovuto essere ritenuto responsabile anche tenendo conto che il capocantiere non era presente e che il coordinatore della sicurezza non è in posizione alternativa rispetto allo stesso datore di lavoro . Il piano per la sicurezza predisposto dal datore di lavoro era adeguato. La Suprema Corte, con la sentenza del 1° dicembre 2011, n. 44650 della Quarta sezione ritiene, però, il ricorso infondato e lo rigetta. Per la Corte di Cassazione, infatti, il Tribunale ha correttamente motivato la propria sentenza con un conferente percorso logico argomentativo . E ciò ha fatto anche con particolare riferimento alla adeguatezza del piano per la sicurezza predisposto dal datore di lavoro per quel cantiere. Nulla da eccepire, quindi, per la Suprema Corte in ordine all’avvenuta esclusione da parte del Tribunale dell’applicabilità delle regole cautelari specifiche pure contestate nel capo di imputazione proprio perché il lavoratore non stava operando ad alta quota. Ed ancora, del tutto logicamente motivata era anche quella sentenza nella parte in cui ha escluso la possibilità di ravvisare una colpa generica – pure ipotizzabile in astratto – del datore di lavoro fondata su ciò che l’imputato aveva predisposto un piano di sicurezza contenente specifiche indicazioni sul montaggio del ponteggio, che il dipendente [infortunato] aveva una formazione specialistica . Inoltre quel Tribunale aveva anche motivato in ordine all’assenza di rimproverabiltà del datore di lavoro valorizzando la circostanza che il ponteggio era stato montato poco prima che si verificasse l’incidente ed in presenza di altri soggetti deputati al controllo circa il rispetto delle prescrizioni di sicurezza . Ne deriva che, essendo la sentenza logicamente motivata, non è possibile contrapporre in sede di legittimità una ricostruzione alternativa della dinamica della vicenda oggetto di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 20 ottobre – 1° dicembre 2011, n. 44650 Presidente Marzano – Relatore Montagni Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Asti con sentenza del 10.02.2011 assolveva T.G. e T.E. del reato di lesioni colpose loro ascritto, per non aver commesso il fatto. T.E. , quale legale rappresentante della ditta Eredi T. srl, T.G. , nella veste di capocantiere e T.A. , nella sua qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, erano stati tratti a giudizio per rispondere del reato di lesioni colpose, in danno di B.R. ciò in quanto il predetto dipendente era caduto a terra dall'impalcato, di altezza pari a cm. 185, che era stato allestito dalla richiamata impresa per l'esecuzione di lavori edili, procurandosi lesioni dalle quali residuava un indebolimento dell'organo della deambulazione. 1.1 Il Tribunale rilevava che era intervenuto il risarcimento del danno e che la posizione dell'imputata T.A. era stata stralciata, a seguito di richiesta di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. avanzata dalla prevenuta. Il primo giudice considerava che il sinistro si era verificato il giorno stesso in cui il ponteggio era stato installato dalla parte offesa e da un altro dipendente della ditta e rilevava che T.G. , capocantiere, il giorno dell'incidente non si era recato sul posto, essendo impedito per ragioni di salute. 2. Avverso la richiamata sentenza del Tribunale di Asti ha proposto ricorso immediato per cassazione il pubblico ministero presso il medesimo Tribunale, con riferimento alla posizione di T.E. , deducendo l'inosservanza della legge penale, in relazione alle disposizioni in materia di colpa ed agli obblighi gravanti sul datore di lavoro in materia di sicurezza. L'esponente osserva che l'altezza dell'impalcato dal quale è caduto l'infortunato sembra rendere non direttamente applicabili le norme antinfortunistiche specificamente dettate per i lavori in quota non di meno, rileva che - in considerazione degli obblighi cautelari imposti dall'art. 2087, cod. civ. al datore di lavoro - nel caso di specie residua a carico di T.E. un profilo di colpa generica, atteso che l'altezza dell'implacato, di poco inferiore ai due metri cm. 185 , rendeva la situazione concreta estremamente pericolosa per l'incolumità degli addetti, tenuto conto della eccessiva distanza tra asse e parete dell'edificio da 50 a 70 centimetri . Il pubblico ministero ritiene, pertanto, che il datore di lavoro avesse l'obbligo di rimuovere i fattori di rischio presenti in cantiere, dando disposizioni affinché l'impalcato aderisse alla parete del fabbricato, evitando interstizi pericolosi per gli operai B. era rovinato a terra a causa dello spazio vuoto che separava l'impalcato dalla parete dell'edificio . Il ricorrente osserva, con riguardo alla riferibilità del richiamato profilo di colpa al prevenuto, che il capo cantiere, nel caso, non era in condizione di svolgere il proprio compito e che, conseguentemente, è il datore di lavoro che subentra nei relativi compiti. E rileva che la presenza di A T. , quale coordinatore della esecuzione dei lavori, non esclude la responsabilità del datore di lavoro ciò in quanto il predetto coordinatore non è in posizione alternativa, rispetto al datore di lavoro. Il deducente osserva, inoltre, che il ponteggio era stato montato prima che si verificasse l'incidente, di talché T.E. aveva la concreta possibilità di intervenire per rimuovere i predetti fattori di rischio. Il ricorrente considera, infine, che il datore di lavoro non poteva fare legittimamente affidamento sulla osservanza da parte del dipendente delle regole cautelari, pure essendo il B. operaio altamente specializzato, poiché il datore è specificamente tenuto alla attività di controllo e vigilanza sull'operato dei dipendenti. 3. La difesa dell'imputato ha depositato memoria. Considerato in diritto 4. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito esposte. 4.1 Deve rilevarsi che le valutazioni effettuate dal Tribunale di Asti, in ordine i alla adeguatezza del piano per la sicurezza predisposto T.E. rispetto alla tipologia del cantiere di che trattasi, come pure con riguardo alla assenza di profili di colpa in concreto ascrivibili al predetto imputato, appaiono supportate da un conferente percorso logico argomentativo. Il Tribunale ha in primo luogo evidenziato che l'impalcato era stato posizionato in modo inidoneo allo scopo, segnatamene per la presenza di interstizi tra le assi ed il muro ed ha conferentemente rilevato che le norme cautelari individuate nel capo di imputazione non potevano trovare applicazione, nel caso di specie, trattandosi di disposizioni riguardanti lo svolgimento di attività lavorativa ad un quota posta ad altezza superiore a due metri, laddove l'Impalcato che occupa misurava cm. 185 di altezza. Soffermandosi specificamente sulla posizione di T.E. , il Tribunale ha poi considerato, in relazione ai profili di colpa generica, pure ipotizzabili a carico di T.E. , che l'imputato aveva predisposto un piano di sicurezza contenente specifiche indicazioni sul montaggio del ponteggio che il dipendente B. aveva una formazione specialistica che E. aveva nominato come capo cantiere il fratello G. e che la sorella A. era stata nominata coordinatore della esecuzione dei lavori. Sulla scorta di tali rilievi il Tribunale ha affermato che sul concreto adempimento delle prescrizioni di sicurezza doveva vigilare A T. e che non erano rinvenibili profili di colpa ascrivibili ad E T. , in ragione del fatto che il ponteggio era stato montato poco prima che si verificasse l'incidente ed in presenza di altri soggetti deputati al controllo circa il rispetto delle prescrizioni di sicurezza. 5. Orbene, gli apprezzamenti effettuati dal Tribunale di Asti, in relazione alla concreta declinazione degli obblighi di controllo e vigilanza sull'operato dei Spendenti gravanti sul datore di lavoro, in relazione allo specifico organigramma aziendale della Eredi Tirone s.r.l., non paiono censurabili in sede di legittimità giacché si tratta di vantazioni prive di fratture logiche e rispondenti ad una complessiva valutazione del compendio probatorio, effettuata dal giudice di merito alla quale non è dato contrapporre, in sede di gravame di legittimità, una costruzione alternativa della vicenda, afferente alla specificazione degli obblighi impeditivi riguardanti i destinatari delle norme antinfortunistiche. 6. Si impone, pertanto, il rigetto del ricorso. P.Q.M. Rigetta il ricorso.