Domanda con firma falsa. Responsabile l'amministratrice, anche se ha autorizzato la contraffazione

Reati edilizi caduti in prescrizione, ma la condanna per la firma contraffatta viene confermata. Non è decisivo il fatto che l'accusata sia stata consapevole e accondiscendente.

Domanda di condono edilizio con firma falsa? Neanche l’autorizzazione da parte del firmatario all’apposizione di una signature fittizia può rendere tale condotta non punibile. Resta acclarato il reato – come chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 41417/2011, sezione Terza Penale, depositata ieri –, ne consegue, logicamente, la condanna. Domanda ‘taroccata’. La prima contestazione, mossa all’amministratrice di una società a responsabilità limitata, è quella relativa a diversi reati edilizi. Che, però, cadono in prescrizione. Salvezza in extremis ? Non completamente. Perché alla donna viene comunque contestata la firma falsa apposta alla domanda di condono edilizio. Con un risultato condanna, con tanto di confisca e demolizione. Tutto ciò, però, non solo in primo grado. Perché anche in Appello la condanna veniva ribadita, nonostante l’amministratrice avesse sostenuto che la domanda di condono era stata firmata dal dominus della società, però previa sua autorizzazione. Responsabilità di rimbalzo. La tesi sostenuta dall’amministratrice, però, viene riproposta, come extrema ratio , anche in Cassazione. A sostenere il ricorso un elemento l’autorizzazione data dalla donna a firmare per suo conto la domanda di condono. Ricostruzione, questa, confermata anche dal presunto dominus della società, sentito come teste. Su questo punto, però, anche i giudici di Cassazione si mostrano inflessibili, chiarendo di condividere le motivazioni assunte in Appello. Nello specifico, se l’imputata ha autorizzato ad attestare falsamente, nella domanda di condono edilizio la data di ultimazione dei lavori , ella comunque risponde del falso ideologico . E, a questo proposito, anche il richiamo alla giurisprudenza non lascia spazio a dubbi. Conclusivamente, per i giudici di piazza Cavour, resta la responsabilità dell’amministratrice per aver accettato che a suo nome e con la sua firma apocrifa venisse presentata la domanda con la falsa attestazione in ordine alla data di ultimazione dei lavori, all’evidente fine di beneficiare del condono edilizio . Di conseguenza, il ricorso deve essere rigettato, e la condanna decisa in Appello deve essere confermata.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 settembre – 14 novembre 2011, n. 41417 Presidente Squassoni – Relatore Amoroso Svolgimento del processo 1. Il Tribunale monocratico di Velletri del 09/02/2010, nel dichiarare non dover i procedere m i confronti di C. R. in ordine ai reati edilizi a lei ascritti ai capi 1 , 2 , 3 , della rubrica, relative a violazioni della normativa urbanistica, essendo essi estinti per prescrizione. dichiarava la C. colpevole del reato a lei ascritto al capo 4 , ossia per il delitto di cui all'art. 483 c.p., commesso in Pomezia il 23.3.04. Per l’effetto, la condannava alla pena di mesi 4 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Dichiarava la falsità della domanda di condono edilizio a firma apparente dell'imputata e ne ordinava la confisca e la distruzione. 2. La C. appellava avverso la sentenza del Tribunale di Velletri. Nei motivi di gravame si sosteneva che la domanda di permesso in sanatoria era stata compilata dal teste A. e sottoscritta da costui con la firma della imputata, previa autorizzazione in ragione della consuetudine fiduciaria con la C. in sostanza, la imputata non aveva alcuna cognizione del fatto che l'A. aveva effettuato lavori asseritamente abusivi dopo il 31 marzo 2003. Con sentenza n. 983/11 emessa dalla Corte di Appello di Roma Sezione III Penale, in data 14 febbraio 2011, depositata in data 7 marzo 2011, veniva confermata la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Velletri. Osservava la Corte territoriale che la tesi difensiva - quand'anche volesse darsi per ammesso che la sottoscrizione della imputata era un falso grafico consentito dalla imputata stessa - non poteva valere a rendere non punibile tale condotta, in quanto le dichiarazioni rese in autocertificazione sono tutelate dalla normativa penale sul falso sostanziale del contenuto della auto-attestazione, sicché l'imputata, sottoscrivendo o accettando che altri ne falsificasse” la sottoscrizione, aveva comunque l'obbligo di accertarsi prima che quanto dichiarato come fidefaciente corrispondesse al vero, chedendo gli opportuni ragguagli al dominus ” della vicenda. E questi ragguagli” le avrebbero fatto comprendere che lo A. aveva, dopo il 31 marzo 2003, effettuato lavori che, dando luogo ad un aumento della cubatura dell'immobile in modifica di quanto realizzato in precedenza, non solo necessitavano di permesso a costruire e non di DIA, ma che erano stati effettuati, appunto, dopo il 31 marzo 2003, in contrasto con la autocertificazione da lei sottoscritta o fatto sottoscrivere a suo nome. 3. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con due motivi. Motivi della decisione 1. Con il ricorso, articolato in due motivi, la ricorrente deduce che autorizzò a firmare per suo conto la domanda di condono S. A., dominus della società Edil Jarcav s.r.l., di cui la C. rivestiva solo formalmente il ruolo di amministratrice. Ciò poteva desumersi - sostiene la ricorrente - dalle esplicite dichiarazioni dello stesso A. sentito come teste. La Corte di Appello invece non avrebbe tenuto nel dovuto conto la ricostruzione fornita dall'A., che era attendibile e che avrebbe dovuto condurre a ritenere la ricorrente estranea alla falsificazione contestatale. 2. Il ricorso è infondato. Innanzitutto privo di fondamento è il primo motivo di ricorso. Contrariamente a quanto afferma la difesa della ricorrente la corte d'appello non ritiene affatto provato che il falso sia stato materialmente commesso dal teste A. e non già per dall'imputata. La corte territoriale invece argomenta considerando la non concludenza di tale tesi difensiva ciò che è perfettamente coerente nel senso che se l'imputata ha autorizzato !’A. ad attestare falsamente, nella domanda di condono edilizio, la data di ultimazione dei lavori risponde comunque del falso ideologico materialmente posto in essere dal teste A., la cui posizione di possibile indagato è stata rimessa alla valutazione della locale procura della Repubblica. In altre parole la ricostruzione articolata dalla difesa della ricorrente - e che la corte d'appello prende in considerazione in via meramente ipotetica per affermare che comunque essa non condurrebbe ali'assoluzione dell'imputata per non aver commesso il fatto - potrebbe semmai escludere il falso materiale, perché ci sarebbe il consenso della stessa ricorrente a che il teste A. falsificasse la sua firma apposta alla domanda di condono con l’attestazione falsa di ultimazione dei lavori abusivi alla data del 31 marzo 2003. Però in proposito questa Corte Cass., sez. V, 10 marzo 2009 17 aprile 2009, n. 16328 ha affermato che ai fini della sussistenza del reato di falso in scrittura privata, il consenso o l'acquiescenza della persona di cui sia falsificata la firma, non svolge alcun rilievo, in quanto la tutela penale ha per oggetto non solo l’interesse della persona offesa, apparente firmataria del documento, ma anche la fede pubblica. Il quale è compromessa nel momento in cui l'agente faccia uso della scrittura contrattuale per procurare a sé un vantaggio o per arrecare ad altri un danno. Ma comunque - come ha correttamente ritenuto la corte d'appello - rimarrebbe il falso ideologico di cui la ricorrente sarebbe m ogni caso responsabile per aver accettato che l'A. sottoscrivesse a suo nome e con la sua firma apocrifa la domanda di condono con la falsa attestazione in ordine alla data di ultimazione dei lavori all'evidente fine di beneficiare del condono edilizio. Non sussiste quindi la denunciata contraddittorietà di motivazione. 3. Il secondo motivo e inammissibile perché attiene ad una circostanza di fatto. quale è la ultimazione dei lavori abusivi in data successiva al 31 marzo 2003. Trattasi di censura dì merito inammissibile in sede di legittimità avendo la corte d'appello motivato sul punto sufficientemente ed in termini non contraddittori. 4. Il ricorso va quindi nel suo complesso rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Per Questi motivi La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.