Il commercialista reo confesso salva l'imprenditore dall'accusa di evasione fiscale

L'imprenditore non può essere accusato di evasione fiscale, se il commercialista si assume la responsabilità dell'omessa presentazione della dichiarazione e del mancato versamento IVA.

L'imprenditore non può essere accusato di evasione fiscale, se il commercialista si assume la responsabilità dell'omessa presentazione della dichiarazione e del mancato versamento IVA. A stabilirlo è la Terza sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1806 del 20 gennaio scorso. La fattispecie. Il GUP del Tribunale di Genova dichiarava non luogo a procedere nei confronti del legale rappresentante di una s.r.l., accusato di evasione IVA, in quanto il suo commercialista si era assunto tutte le responsabilità per l'omessa presentazione della dichiarazione e per l'omesso versamento dell'imposta. Avverso questa pronuncia la procura genovese ricorreva per cassazione, rilevando che la sentenza di merito fosse affetta da vizio di motivazione. In particolare, per il P.M. appariva del tutto illogico che una persona in buona fede circa la mancata presentazione della dichiarazione annuale per più annualità non avesse consapevolezza quanto meno del mancato versamento dell'imposta dovuta. Confermata l'assoluzione nei confronti dell'imprenditore. La S.C. rigetta il ricorso la pubblica accusa non ha tenuto conto del fatto che il Gup ha preso in considerazione l'importo dell'imposta effettivamente evasa sulla base delle valutazioni compiute dalla Guardia di finanza, con la conseguenza che non può dirsi illogica l'affermazione contenuta nella parte conclusiva della sentenza circa la mancanza di prova del superamento della soglia di punibilità .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 gennaio 2011, n. 1806 Presidente Squassoni - Relatore Marini Rileva Con sentenza 10 novembre 2009 il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Genova ha dichiarato non doversi procedere perchè il fatto non costituisce reato nei confronti del Sig. M., quale legale rappresentante della Edilalbaro Srl , in ordine al reato D.Lgs. 1 marzo 2000, n. 74, ex art. 5, contestato per gli anni 2003-2005. Accertato che la società aveva omesso di presentare le dichiarazioni IVA per i tre anni in contestazione ed omesso di versare la relativa imposta, di importo superiore alla soglia di punibilità fissata dalla legge, il Giudice ha ritenuto che l'assoluta estraneità del sig. M. emerga dalle dichiarazioni del Sig. J., commercialista incaricato dall'imputato di curare la contabilità aziendale, il quale, sentito ex art. 210 c.p.p., ha attribuito al proprio studio professionale la responsabilità dell'omissione tale versione dei fatti troverebbe conforto, secondo il Giudice, in alcune circostanze obiettive, puntualmente indicate a pag. 2 della sentenza. Inoltre, sempre in motivazione si legge che in atti non vi sarebbe per alcuna delle tre annualità prova certa del superamento della soglia di punibilità. Avverso tale decisione ricorre il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Genova. A parere del ricorrente la sentenza impugnata è affetta in primo luogo, da vizio di motivazione apparendo del tutto illogico che una persona in buona fede circa la mancata presentazione della dichiarazione annuale per più annualità non avesse consapevolezza quanto meno del mancato versamento dell'imposta dovuta, il cui ammontare si collocava ogni anno nell'ordine di alcune decine di migliaia di Euro. In secondo luogo, il ricorrente lamenta errata applicazione della legge processuale per avere il Giudice utilizzato in sede di valutazione ex art. 425 c.p.p. quelli che sono i parametri propri del giudizio sulla responsabilità. Osserva Il ricorso del Pubblico Ministero è infondato. Infatti, sotto un primo profilo, il ricorrente non tiene conto del fatto che il Giudice dell'udienza preliminare ha preso in considerazione l'importo dell'imposta effettivamente evasa sulla base delle loro valutazioni compiute dalla Guardia di Finanza, con la conseguenza che non può dirsi illogica l'affermazione contenuta nella parte conclusiva della sentenza circa la mancanza di prova del superamento della soglia di punibilità questa conclusione sarebbe da sola sufficiente per considerare la decisione immune dai vizi logici prospettati dal ricorrente anche con riferimento al secondo profilo di ricorso. Quanto, poi, alla censura di errata applicazione dell'art. 425 c.p.p., la Corte osserva che il ricorrente non ha indicato quale sviluppo probatorio sarebbe possibile e risulterebbe, invece, impropriamente trascurato dal Giudice dell'udienza preliminare, con la conseguenza che il ricorso risulta sul punto caratterizzato da genericità ai sensi dell'art. 581 c.p.p., lett. c e art. 591 c.p.p., lett. c . In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere considerato infondato e conseguentemente respinto. P.Q.M. Rigetta il ricorso del Procuratore Generale.