Indebita compensazione Iva: sequestrabili i beni personali dei soci

In caso di indebita compensazione Iva, sono penalmente responsabili non solo l'amministratore, ma tutti i soci, ai quali possono essere sequestrati beni personali.

In caso di indebita compensazione Iva, sono penalmente responsabili non solo l'amministratore, ma tutti i soci, ai quali possono essere sequestrati beni personali. Queste le conclusioni espresse dalla Terza sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 662 depositata lo scorso 13 gennaio. La fattispecie. Una s.r.l. veniva accusata di aver utilizzato un credito IVA fittizio di oltre 500mila euro al fine di non versare l'imposta dovuta, provvedendo poi a occultare la documentazione contabile. Su richiesta del P.M., il GIP emetteva nei confronti degli indagati decreto di sequestro preventivo avente ad oggetto beni immobili e partecipazioni societarie dell'imprenditore e dei soci. Contro tale misura gli indagati proponevano ricorso, respinto dalla S.C Sull'indebita compensazione. Al riguardo, i giudici di legittimità chiariscono che il reato previsto dall'art. 10-quater indebita compensazione , D.Lgs. n. 74/2000, viene commesso in via principale dagli amministratori, quali responsabili del rispetto degli oneri tributari. Ciò, tuttavia, non impedisce che alla commissione del reato concorrano altri soci o altre persone, la cui corresponsabilità può trovare fondamento in condotte consapevoli che rispondano ai requisiti fissati in via generale dall'art. 110 c.p Stretta della Cassazione sul sequestro di beni personali di soci e amministratori. Gli ermellini ribadiscono che l'autorità giudiziaria può sottoporre a vincolo i beni personali delle persone indagate, non essendo stato dimostrato, nel caso in esame, che i vantaggi fiscali dell'operazione illecita fossero circoscritti a un beneficio esclusivo per la società. Da ciò deriva la conferma della sussistenza del fumus di reato a carico dei singoli indagati, tant'è che il Collegio conclude affermando che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, entro i limiti dell'ammontare complessivo e senza procedere a duplicazioni.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 1° dicembre 2010 - 13 gennaio 2011, numero 662 Presidente Squassoni - Relatore Marini Rileva La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo procede nei confronti dei ricorrenti per i reati previsti dagli 10 del d.lgs. numero 74 del 2000, fatti commessi - quanto alle posizioni e , nel periodo d'imposta 2007-2008 e fino al mese di marzo 2009 in relazione all'attività svolta dalla società T., avente sede legale inizialmente in Milano e quindi trasferita in stato estero Costa d'Avorio , nonché sede operativa in Bergamo. L'ipotesi di accusa è di avere originato un fittizio credito IVA ammontante ad oltre 500.000,00 euro successivamente utilizzato al fine di non versare l'imposta dovuta, provvedendo poi a occultare la documentazione contabile - quanto alla posizione , nel periodo d'imposta 2007-2007 in relazione all'attività svolta dalla S. Srl, avente sede in provincia di Milano e sede operativa in Bergamo, società strettamente collegata alla T Ritenuto sussistere un grave quadro indiziario e applicabile l'istituto della confisca per equivalente , e del sequestro ad essa funzionale, su richiesta del Pubblico Ministero formulata ex art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, numero 244, in data 23 Marzo 2010 il G.i.p. ha emesso nei confronti degli indagati un decreto di sequestro preventivo avente ad oggetto beni immobili e partecipazioni societarie. Il G.i.p. ha ritenuto di poter prendere in considerazione al fine della determinazione del provvedimento cautelare non solo il prezzo, ma anche il profitto di reato contestato. Avverso tale decreto gli indagati hanno proposto separate istanza di riesame, che il Tribunale ha esaminato congiuntamente e deciso con l'ordinanza qui impugnata. Il Tribunale ha respinto tutte le censure prospettate dagli indagati e confermato sia l'esistenza del fumus di reato sia la fondatezza dei presupposti del sequestro individuati dal G.i.p. sia la legittimità del sequestro di beni riconducibili alla persona degli indagati. Con unico atto di impugnazione i Sigg. e propongono personalmente avverso l'Ordinanza del Tribunale di Bergamo un ricorso articolato su plurimi motivi che possono sintetizzarsi come segue 1. per la sola posizione violazione dell'art. 10-quater del d.lgs. numero 74 del 2000 che è stato erroneamente contestato al ricorrente a titolo di concorso il reato in parola, infatti, si perfeziona con la presentazione del mod.F23 e deve essere considerato reato istantaneo ad effetti permanenti, così che esso è attribuibile al solo amministratore della società, che in qual momento era il Sig. nessun addebito può essere mosso al Sig. , mero socio, risultando del tutto illegittimo che il concorso di costui nel reato venga desunto da una condotta agevolatrice successiva l'occultamento delle scritture contabili 2. per la sola posizione , violazione dell'art. 10 del d.lgs. numero 74 del 2000, che è reato di mero pericolo, non è tra quelli che consentono la confisca per equivalente. Inoltre, con riferimento alle posizioni e è errata l'affermazione contenuta in ordinanza pag. 10 secondo cui il sequestro per equivalente può colpire anche beni che non siano in rapporto diretto con il reato o i reati contestati 3. per le posizioni e violazione di legge per errata applicazione dell'art. 216 Legge Fallimentare, essendo stata la soc. T. dichiarata fallita con sentenza 2 Novembre 2009 dal Tribunale di Milano. Posto che i reati tributari sarebbero stati in ogni caso commessi dagli indagati nella veste di amministratori e senza alcun vantaggio personale, lo Stato può assumere la veste di creditore nella procedura concorsuale e non procedere ad azioni autonome a tutela del proprio credito 4. per la posizione , violazione di legge con riferimento agli 1, comma 143 della legge numero 244/2007 in quanto il Tribunale ha errato nel prendere in esame la comunicazione IVA del febbraio 2008, che è documento non rilevante ai fini della determinazione del credito o debito d'imposta, ed ha errato nel ritenere comunque che il credito IVA maturato nell'anno d'imposta 2007 fosse fittizio. Inoltre, erroneamente è stato disposto il sequestro nei confronti dei beni del legale rappresentante della società invece che nei confronti dei beni della società stessa, mancando del tutto la prova che il ricorrente abbia partecipato alla divisione degli utili o del prezzo del reato in assenza di correità, infatti, l'aggressione ai beni personali opererebbe come moltiplicatore delle garanzie per l'Erario in violazione dei principi fissati anche dalla giurisprudenza Cedu. Osserva 1. Rileva preliminarmente la Corte, con riferimento al secondo motivo di ricorso, che il sequestro preventivo in esame può essere disposto unicamente per il reato previsto dall'art. 10 della medesima legge conseguenze pregiudizievoli per lo Stato che fondino una pretesa tutelabile a mezzo della misura cautelare. Tuttavia, tale conclusione non comporta il venire meno dei presupposti legittimanti il sequestro disposto nei confronti del Sig. , che trova fondamento nella ulteriore contestazione del citato art. 10-quater. 2. Il ricorso risulta, poi, infondato nella parte in cui col primo motivo prospetta l'impossibilità di applicare ai reati in esame l'istituto del concorso di persone ex art. 110 c.p. Una volta esclusa la fondatezza dell'interpretazione del dato normativo prospettata dai ricorrenti, la Corte non può non rilevare che la motivazione dell'ordinanza impugnata risulta sul punto priva di manifesta illogicità e non meritevole di censure in sede di legittimità. Il provvedimento impugnato, infatti, dà conto delle circostanze in cui i reati sarebbero maturati e dei presupposti di esistenza del fumus di reato in capo ai destinatari del sequestro. Sul punto la Corte rileva che al Sig. non viene addebitato la sola condotta successiva di occultamento delle scritture contabili, bensì una sua posizione all'interno della società al momento della commissione delle condotte ex art. 10-quater che qualifica e attribuisce significato alla sua successiva attivazione per l'occultamento della documentazione contabile funzionale al perfezionamento del disegno criminoso. E', dunque, dalla complessiva condotta del ricorrente che l'ordinanza impugnata deduce il concorso del Sig. nel reato, e tale prospettazione non pare alla Corte manifestamente illogica. Il relativo motivo di ricorso va, dunque, dichiarato privo di fondamento. 3. Quanto ai limiti di sequestrabilità dei beni personali degli amministratori e dei concorrenti nel reato tributario invocati dai ricorrenti, la Corte osserva che la giurisprudenza in tema di sequestro preventivo citata alle pag. 5 e 6 del ricorso non tiene conto della diversa natura del sequestro preventivo previsto dal codice di rito e rispetto a quella del sequestro che ex sentenza numero 6288 del 2010, Morotti e altri , e ciò anche congiuntamente al sequestro che abbia ad oggetto i beni della persona giuridica amministrata o diretta dagli indagati per tutte, Sezione Sesta penale, sentenza numero 26611 del 2009, Betteo, rv 244254 . Osserva la Corte a tale proposito che i ricorrenti non hanno in alcun modo fornito elementi decisivi per affermare i vantaggi del reato fiscale siano stati finalizzati alla sole società le somme dovute e non versate possono essere state dirottate, seguendo l'ipotesi di accusa, verso disponibilità non ufficiali e la reale destinazione delle somme sarà uno degli oggetti di indagine, con la conseguenza che non vi sono allo stato ragioni per ritenere illogica o incoerente l'affermazione di sussistenza del fumus di reato a carico dei singoli indagati anche sotto tale profilo sulla confiscabilità ex art. 322-ter c.p. delle somme di denaro sottratte al pagamento dell'IVA, si rinvia alla sentenza di questa Sezione numero 25890 del 2010, Molon, rv 248058 . Il ricorso erra, altresì, allorché prospetta la mancanza di autonomia dei reati tributari rispetto alle successive violazioni della legge fallimentare. Va considerato che lo strumento previsto dall'art. 1 comma 143 della legge numero 244 del 2007, non è riducibile alle forme di responsabilità societaria previste dagli ordinari strumenti concorsuali e dalle fattispecie di bancarotta, con la conseguenza che la asserita e non dimostrata in questa sede mancata insinuazione dello Stato al passivo della società fallita non impedisce in nessun caso all'autorità giudiziaria di procedere al sequestro per equivalente nei confronti degli amministratori della società e dei concorrenti nel reato qualora ne sussistano i presupposti. 4. Venendo così al quarto motivo di ricorso, la Corte rileva che il quadro indiziario prospettato dai giudici di merito non si riconnette esclusivamente alla comunicazione Iva presentata nel febbraio 2008, ma trova fondamento nella formazione di un credito d'imposta che la società avrebbe falsamente maturato nel corso dell'anno 2007 e quindi impropriamente utilizzato nel corso dell'anno 2008. La fondatezza di tale ipotesi sarà oggetto del giudizio di merito, spettando in questa fase alla Corte esclusivamente il controllo sulla coerenza e logicità della motivazione dell'ordinanza impugnata nella parte in cui ritiene sussistere il fumus di reato e ritiene che il quadro complessivo delle indagini giustifichi l'esistenza di uno sviamento delle somme al di fuori dei canali societari. A tal proposito deve ricordarsi che con decisione della Quinta Sezione Penale di questa Corte numero 10810 del 2010, Perrottelli, rv 246364, in linea con la giurisprudenza maggioritaria, si è affermato il principio che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, ovviamente entro i limiti dell'ammontare complessivo e senza procedere a duplicazioni. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere respinto e i ricorrenti condannati, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.