Nel quartiere della movida la vita è un inferno? Comune condannato a risarcire il danno ai residenti

Il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e al diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti.

Così ha deciso il Tribunale di Torino nella sentenza n. 1261/2021, pubblicata il 15 marzo 2021. Movida. In molte città, soprattutto le più grandi, da qualche anno si parla di vie, o quartieri, dove si concentra la movida”. Non fa eccezione Torino, città in cui un gruppo di residenti in tale zona ha convenuto in giudizio il Comune , chiedendo al Tribunale di ordinare la cessazione immediata delle immissioni sonore eccessive, ovvero di adottare le misure necessarie per ricondurre tali immissioni entro limiti di normale tollerabilità , con previsione di una penale per ogni giorno di ritardo nell’adempiere a tale ordine, nonché il risarcimento del danno non patrimoniale subito, da liquidarsi in via equitativa. Secondo la prospettazione dei ricorrenti trattasi di giudizio incardinato con il procedimento sommario ex art. 702 bis c.p.c., poi mutato dal giudice in giudizio ordinario a partire dalle Olimpiadi invernali del 2006 il quartiere sarebbe diventato, per volere del Comune, la principale zona di svago, incontro e divertimento notturno , con conseguente superamento, più volte registrato dalle autorità competenti in successive relazioni a partire dal 2013, dei limiti di immissione sonora . Il Comune si è difeso sostenendo di aver posto in essere atti e controlli finalizzati a garantire la pacifica convivenza dei cittadini e il rispetto delle regole. Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario. Il Comune, tra le altre, ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, in favore del Giudice amministrativo. Il Tribunale sul punto ha ripreso la recentissima ordinanza delle Sezioni Unite, n. 21993 del 12 ottobre 2020, che ha deciso nel senso che appartenga alla giurisdizione ordinaria la controversia avente ad oggetto la domanda, proposta da cittadini residenti nelle zone interessate, di condanna della P.A. a provvedere, con tutte le misure adeguate, all'eliminazione o alla riduzione nei limiti della soglia di tollerabilità delle immissioni nocive, oltre che al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti, atteso che l'inosservanza da parte della P.A. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della P.A. al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un facere , tale domanda non investendo scelte ed atti autoritativi della P.A., ma un'attività soggetta al principio del ‘neminem laedere’ . La fondatezza della domanda. Sul punto il Tribunale ha ritenuto che i fatti esposti dai ricorrenti fossero pacifici, non avendo oltretutto il Comune mosso alcuna contestazione specifica alle risultanze della consulenza tecnica. Dalla perizia fonometrica , peraltro, è risultato che il limite differenziale notturno, all’interno delle abitazioni a finestre aperte, fosse sempre superato, e la causa dell’inquinamento acustico è stata identificata in quei comportamenti complessivamente definibili come movida”. Le immissioni rumorose hanno costituito solo parte del problema per i residenti, che hanno altresì lamentato la sporcizia, i danni alle auto, la confusione generata dalla quantità di persone anche di tali situazioni il Tribunale ha ritenuto responsabile il Comune, le cui scelte non hanno come sostenuto dalla difesa del Comune contemperato gli interessi di residenti, da un lato, e commercianti e giovani dall’altro, risultando nei fatti i primi del tutto sacrificati dalle scelte del Comune. Risarcimento si, ordini di facere no. I ricorrenti, oltre al risarcimento del danno, hanno richiesto la condanna del Comune a mettere in atto una serie di misure, tutte rientranti nell’ambito del facere ” il Tribunale non ha accolto tali richieste, motivando che non spetta al Giudice decidere l’assetto del territorio, ma è compito discrezionale dell’Ente Pubblico, a cui il Giudice non può sostituirsi. E’ stato invece riconosciuto il risarcimento del diritto al riposo, al sonno, al tranquillo svolgimento delle normali attività e al godimento dell’habitat domestico e di quartiere, ovvero quel pregiudizio non patrimoniale derivante dallo sconvolgimento dell'ordinario stile di vita” riconosciuto già dalle Sezioni Unite sentenza n. 2611/17 . Per quanto concerne la misura di tale risarcimento, i ricorrenti avevano parametrato la richiesta risarcitoria ai criteri tabellari del Tribunale di Milano, previsti per la quantificazione del danno biologico, ed in particolare della invalidità temporanea. Tale criterio non è stato ritenuto corretto dal Giudice, data la peculiarità del danno non patrimoniale in esame, del tutto differente, ed è stato utilizzato il criterio equitativo puro” , ex art. 1226 c.c., in base al quale il Tribunale ha riconosciuto ad ogni ricorrente che abbia vissuto nel quartiere ininterrottamente da aprile 2013 al 9 marzo 2020 data del primo c. d. lockdown , ovvero per sette anni, la somma di € 500,00 al mese, ovvero € 42.000 in totale. Per coloro che prima del marzo 2020 si siano trasferiti in altro quartiere la somma è stata riconosciuta per il minor periodo in cui gli stessi abbiano risieduto nel quartiere.

Tribunale di Torino, sez. II Civile, sentenza 11 -15 marzo 2021, n. 1261 Giudice Musa Motivi della decisione 1.La prospettazione dei ricorrenti, in sintesi - Tutti i ricorrenti abitano a T, nel quartiere di S e, in particolare, nel quadrilatero delimitato da via N, corso M, via MC e corso V. Nell’ultimo quindicennio a partire dall’opera di riqualificazione concomitante con le Olimpiadi invernali del 2006 il quartiere è diventato, progressivamente, per via di un consapevole piano strategico del Comune, la principale zona di svago, di incontro e di divertimento notturno della città ciò che, nel linguaggio corrente, si suole chiamare movida. Sono stati aperti sempre nuovi ristoranti, wine e cocktail bar, enoteche, rivendite di street food, minimarket con bevande da asporto, ai quali si sono aggiunti numerosi venditori ambulanti. I dehors hanno gradualmente occupato interi marciapiedi e si sono estesi alle strade. Oggi il quartiere, un deserto diurno, si anima a partire dal tardo pomeriggio, con l’afflusso di una fiumana di persone, che va aumentando nelle ore notturne. Vie e piazze, affollatissime, sono congestionate e impercorribili. I marciapiedi, le soglie dei portoni e le auto parcheggiate sono imbrattati da escrementi, vomito, bottiglie rotte e ogni tipo di rifiuti. I protagonisti della movida urlano, sporcano i muri, fanno esplodere fuochi d’artificio, insultano i passanti, colpiscono le auto che tentano di farsi strada, suonano i campanelli dei palazzi a tutte le ore. Gli schiamazzi degli ubriachi, la musica e ogni genere di trambusto sono continui. La gente si assembra, anche sollecitata dagli appuntamenti diffusi sui social media. Il chiasso di ciascun locale si somma così al rumore di fondo, in un fenomeno d’insieme che va ben oltre le singole fonti di disturbo. Al crescente degrado ha contribuito, a partire dal 2007, la liberalizzazione delle licenze per l’apertura di nuovi esercizi commerciali. Tutto ciò è sempre avvenuto senza alcuna reazione da parte delle forze dell’ordine, che, sebbene sollecitate, non sono intervenute per arginare i comportamenti illeciti o, se già presenti, hanno lasciato fare. Il piano di classificazione acustica della Città assegna ad alcuni isolati del quartiere la classe III aree di tipo misto, con un limite assoluto di immissione rumorosa pari a 50dB A e a pochi altri la classe IV aree di intensa attività umana, con il limite di 55dB A . Nel 2013 l’ARPA e la Polizia Municipale individuarono venti locali dove, soprattutto per gli schiamazzi dei clienti che sostavano per strada, i limiti di immissione sonora erano superati con eccedenze comprese tra 13 e 19,5 dB A le punte massime da 65 a 74 dB A si registravano tra la mezzanotte e le due del mattino. Nel 2014 seguì una nuova rilevazione, con risultati analoghi. Entrambe le relazioni furono inviate al Comune, peraltro già al corrente della situazione per via degli esposti dei residenti, messi in rilievo dalla comunicazione della Questura del 22 dicembre 2016. Nel corso degli anni, i ricorrenti si sono attivati in tutti i modi per sollecitare l’intervento delle Autorità, organizzando, tramite l’associazione Rispettando S, una trentina di incontri, ma ottenendo solo vane promesse. La prima reazione del Comune fu l’ordinanza del Sindaco del 24 luglio 2014 efficace sino al 30 novembre 2014 , che, limitando alle ore 2.00 la vendita di bevande alcooliche all’esterno dei locali e alle ore 3.00 la vendita al loro interno ignorò che proprio in quelle fasce orarie era concentrato, come aveva rilevato l’ARPA, il picco delle immissioni rumorose. In tal modo, il Comune palesò la propria scelta quella di privilegiare gli interessi del commercio rispetto al diritto alla salute e al riposo dei residenti. Costoro non riescono a dormire e soffrono di stanchezza cronica. Non possono leggere, conversare, guardare la TV, ricevere ospiti a causa delle difficoltà di accesso alla zona e, in genere, dedicarsi alle attività di un’esistenza normale. Vivono con le finestre chiuse anche d’estate. Non possono neppure contare, in caso di emergenza, sull’accesso delle ambulanze e dei mezzi del Vigili del Fuoco, che non potrebbero farsi largo nel blocco compatto dell’immensa folla. L’ARPA tornò a monitorare la zona nel 2016, redigendo poi la relazione del 18 gennaio 2017. Risultò, tra l’altro, che il clima acustico era talmente compromesso da determinare, nelle ore critiche comprese tra le undici di notte e le tre del mattino, anche il superamento del valore di attenzione stabilito per la classe V aree prevalentemente industriali , il massimo consentito dalla legge. Di nuovo, emerse che la rumorosità era determinata principalmente dal vociare e dagli schiamazzi delle persone. Il Comune, invitato a predisporre un piano di risanamento acustico, restò inerte sino ai fatti di piazza SC del 3 giugno 2017. Il Sindaco intervenne allora con due ordinanze la n. 46 del 7 giugno 2017 vietò la vendita delle bevande alcooliche, a partire dalle ore 3.00 se consumate all’interno dei locali e dalle ore 2.00 se acquistate per l’asporto la n. 60 del 6 luglio 2017 vietò la somministrazione e la vendita di alimenti e bevande dalle ore 1.30 nei giorni da lunedì a giovedì, dalle ore 2.00 del venerdì e dalle ore 3.00 di sabato, domenica e giorni festivi nei dehors e all’esterno dei locali. Tali provvedimenti restarono in vigore soltanto sino al 30 luglio 2017. Una nuova relazione dell’ARPA, redatta il 22 gennaio 2018, confermò che la lieve e parziale riduzione dei livelli sonori seguita alle due ultime ordinanze non aveva sortito l’effetto di ricondurre i valori registrati entro i limiti previsti dalla legge. Un’indagine tecnica eseguita su incarico dei ricorrenti ha misurato, con riferimento alla situazione attuale, non soltanto la rumorosità ambientale in termini assoluti, ma anche il livello differenziale rispetto al rumore di fondo, evidenziando, per ciascuna delle abitazioni, il persistente superamento del valore di attenzione notturno per la classe V e cioè, come si è detto, per le zone a prevalenza industriale. I ricorrenti richiamano, a questo punto, i diritti costituzionali alla salute, all’inviolabilità del domicilio, al godimento della proprietà. Citano l’art. 8 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio” . Riportano le linee guida sul rumore notturno pubblicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che, illustrando le conseguenze dell’esposizione al rumore, fissano in 40dB la soglia da rispettare durante le ore destinate al sonno, aggiungendo che, in ogni caso, neppure per brevi periodi possono essere superati i 55dB. Rammentano che la direttiva 2002/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 giugno 2002 è stata recepita dall’Italia, da ultimo con il d.lgs. n. 42 del 17 febbraio 2017. La legge n. 447 del 1995 legge quadro sull’inquinamento acustico attribuisce alla competenza dei Comuni la classificazione in zone del loro territorio, l’adozione di piani di risanamento e il controllo del rispetto della normativa all’atto del rilascio di licenze e autorizzazioni all’esercizio di attività produttive. La legge regionale n. 52 del 20 ottobre 2000 ha confermato tali competenze dei Comuni. Dopo aver passato in rassegna la normativa in tema di rumori, i ricorrenti osservano ancora che il Comune è tenuto a rispettare, come ogni proprietario di un fondo, l’art. 844 del codice civile, che vieta le immissioni, nei fondi vicini, di rumori che superino la normale tollerabilità. La responsabilità si estende alle immissioni provocate da terzi e i ricorrenti meritano tutti questa tutela, perché sono o proprietari delle abitazioni in cui risiedono o detentori qualificati. Sussiste la giurisdizione del Tribunale ordinario, perché la domanda non investe scelte e atti autoritativi, ma, oltre al risarcimento dei danni, attività soggette al rispetto del principio del neminem laedere. I ricorrenti propongono varie misure, all’adozione delle quali il Comune potrebbe essere condannato la predisposizione di un adeguato servizio di vigilanza, la revoca delle licenze e il divieto di rilasciarne di nuove, la fissazione alla mezzanotte dell’orario di chiusura degli esercizi commerciali, l’abolizione di tutti i dehors. Infine, il Comune deve essere condannato al risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti dalle immissioni rumorose illecite, indipendentemente dalla prova di un pregiudizio alla salute. La compromissione del riposo, della serenità, dell’equilibrio mentale, della vivibilità dell’abitazione sono tutti beni messi a repentaglio dal comportamento, quanto meno omissivo, del Comune. Prendendo a riferimento la prima relazione dell’ARPA, è dal 2013 che i ricorrenti subiscono gli effetti della movida. Essi propongono l’applicazione analogica dei criteri tabellari del tribunale di Milano per la liquidazione del danno biologico, secondo i seguenti passaggi invalidità temporanea nella misura del cinquanta per cento cinque notti a settimana, per il totale di duecentosessanta giorni all’anno età media, quarant’anni euro 12.480,00 per ciascun anno ed euro 62.400,00 per i cinque anni trascorsi dal 2013 applicazione dello stesso criterio per gli anni a seguire. Tutto ciò esposto, i ricorrenti assumono le conclusioni trascritte in epigrafe. 2. Le difese del Comune, in sintesi - Il quartiere di S, in seguito al mutamento di fisionomia dell’intera città, prima industriale e poi anche turistica e commerciale, ha visto, anche per la liberalizzazione delle licenze voluta dalla legge Bersani, l’apertura di nuovi locali ed è diventato centro di aggregazione di avventori che, oltre a frequentare ristoranti e bar, affollano strade e vicoli. Sin dal 2010, però, il Comune ha posto in essere atti e controlli finalizzati a garantire la pacifica convivenza dei cittadini e il rispetto delle regole. In particolare -sono stati sanzionati tutti gli esercenti che non rispettavano i limiti acustici o che non avevano adottato le prescrizioni imposte -l’ARPA ha costantemente monitorato la situazione, redigendo relazioni con cadenza annuale -l’art. 52 del regolamento di polizia amministrativa del 29 giugno 2009, abrogato il 29 luglio 2013, già imponeva una serie di obblighi stringenti ai gestori dei locali essi dovevano adottare tutte le cautele e gli accorgimenti necessari per evitare che l’aggregazione di un gran numero di persone provocasse disturbi, disagi, pericoli, turbamenti nel libero utilizzo degli spazi pubblici, accumulo di sporcizia in caso di violazione della norma o di persistente degrado, gli orari di apertura sarebbero stati ridotti e i titoli autorizzativi sospesi o revocati -la deliberazione del 31 maggio 2013, espressamente destinata a regolamentare la zona di S, ha vietato l’apertura di nuovi esercizi e il trasferimento nel quartiere di quelli già attivi in altre aree della città -il regolamento di polizia urbana è stato integrato con l’art. 44 bis, intitolato tutela della convivenza civile”. Una volta affermato che le attività commerciali devono svolgersi in modo da evitare assembramenti tali da arrecare disturbo al riposo, da ostacolare la fruibilità degli spazi pubblici, da compromettere l’igiene e il decoro della città, vengono indicate le modalità più idonee per assolvere al precetto e previste le sanzioni -l’ordinanza n. 3653 del 23 luglio 2013, in vigore sino al 31 ottobre 2013, ha vietato la vendita per l’asporto di bevande contenute in bottiglie di vetro e lattine chiuse e, in generale, il loro consumo e la loro detenzione in luogo pubblico -l’ordinanza n. 2888 del 24 luglio 2014 ha vietato il consumo di bevande alcooliche dalle ore 2.00, se esterna ai locali, e dalle ore 3.00, se interna -la deliberazione della Giunta comunale del 30 settembre 2014, onde evitare che gli avventori di esercizi di ridotte dimensioni consumassero i prodotti necessariamente per strada, ha ammesso il trasferimento di attività già in esercizio solo se dotate, nella nuova sede, di superfici non inferiori a cinquanta metri quadrati -l’ordinanza sindacale n. 46 del 6 giugno 2016 ha vietato la vendita per asporto di bevande alcooliche dalle ore 20.00 alle ore 3.00 e il divieto di somministrazione dalle ore 3.00 alle ore 6.00 -l’ordinanza sindacale n. 60 del 6 luglio 2017 ha posto, per il periodo dall’8 al 30 luglio, ulteriori divieti modulati, secondo i giorni della settimana, tra le ore 1.30 e le ore 6.00 per le aree cittadine investite da flussi rilevanti di persone tra l’altro, la sospensione dell’attività nei dehors e della vendita di prodotti alimentari da consumare all’esterno dei locali -la deliberazione del 3 maggio 2018 della Giunta Comunale ha proposto al Consiglio Comunale l’approvazione dell’art. 44 ter del regolamento di polizia urbana, secondo il quale le limitazioni orarie non sono più disciplinate periodicamente, ma vengono regolamentate in modo ordinario. Il rispetto dei provvedimenti di volta in volta adottati è stato oggetto di rigidi controlli molti locali sono stati sanzionati, altri sono stati chiusi o il loro orario di esercizio è stato ridotto. La Polizia Municipale, agendo di concerto con la Guardia di Finanza e la Polizia di Stato, ha costantemente pattugliato il quartiere, per garantire il transito delle auto, contestare infrazioni agli avventori chiassosi o ubriachi o molesti, controllare i locali pubblici e sgomberare gli stalli di sosta destinati ai residenti. Il servizio di pulizia dell’AMIAT è stato inoltre anticipato alle tre del mattino, allo scopo di allontanare chi fosse ancora presente in strada. Il Comune ha sempre agito ispirandosi alle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione che presiedono all’esercizio delle sue funzioni il fenomeno della malamovida” è stato contenuto nel rispetto dell’ordinamento e dei valori coinvolti. Si è agito per salvaguardare sia il riposo dei residenti sia la libertà di riunione e il diritto dei giovani al divertimento. La chiusura dei locali a mezzanotte inciderebbe su posizioni giuridiche estranee alla dinamica processuale e comporterebbe la soppressione o la limitazione di altri diritti costituzionalmente protetti. Non è stata posta in atto alcuna strategia di pianificazione del territorio rivolta a eleggere il quartiere di S a sede della movida torinese. Al contrario, il Comune è da tempo impegnato nella riapertura delle arcate dei Murazzi, che da sempre costituiscono, in città, il luogo aggregativo per eccellenza. Il principale elemento attrattivo di S è costituito dagli esercizi commerciali, che sono aumentati, secondo un fenomeno del tutto spontaneo, non per scelte del Comune, ma per via delle liberalizzazioni delle licenze seguite alla legge Bersani. Il contenimento dei riflessi negativi di questa situazione attiene all’ordine e alla sicurezza pubblica, alla tutela dei quali sono deputate Autorità diverse dal Comune, che comunque, si è attivato nei limiti delle sue competenze. Dopo aver illustrato il contenuto degli atti amministrativi e i controlli svolti per assicurarne il rispetto, il Comune eccepisce, in primo luogo, il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario in favore del Giudice amministrativo. Infatti, non si tratta di una mera ipotesi di responsabilità extracontrattuale della Pubblica Amministrazione ciò che chiedono i ricorrenti è il sindacato sull’omesso esercizio di poteri autoritativi. Il Comune eccepisce altresì la propria carenza di legittimazione passiva, dal momento che il principale elemento di disturbo proviene dagli esercizi commerciali e dal comportamento abnorme degli avventori e di coloro che, in genere, popolano le strade della movida. Ciò comporta anche l’inesistenza di qualunque nesso causale riconducibile al Comune, mancando ogni suo contributo agli eventi ricreativi che sono fonte di disturbo. Il ricorso, inoltre, confonde e sovrappone gli aspetti attinenti al diritto dominicale di cui all’art. 844 cod. civ. con le attribuzioni pubblicistiche che sono prerogativa del Comune, generando indeterminatezza circa i fatti costitutivi posti a fondamento della domanda, con conseguente nullità dell’atto. Ancora, i ricorrenti che non sono proprietari degli immobili non possono invocare la tutela di cui all’art. 844 cod. civ. sono pertanto, sotto questo profilo, carenti di legittimazione attiva. Riguardo ai danni asseritamente patiti, non è stato allegato alcuno degli elementi richiesti dall’art. 2043 cod. civ. e richiamati dalla Corte di Cassazione, sezioni unite, nella sentenza n. 26972 dell’11 novembre 2008. La sola documentazione eventualmente idonea a dimostrare il danno in re ipsa è il rilievo fonometrico di gennaio/febbraio 2018, che essendo di parte, non è dirimente e che, comunque, è circoscritto a pochi giorni. La parametrazione proposta, poi, generica e riferita a tutti i ricorrenti complessivamente ipotizzando un’età media di quarant’anni non è condivisibile. Il Comune conclude infine in conformità ai propri assunti. 3.Il processo, in breve - La causa è stata introdotta con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. All’udienza del 28 giugno 2018 i ricorrenti e il resistente hanno ripreso e argomentato le deduzioni introduttive. Con ordinanza del 12 luglio 2018, ritenendo che le difese svolte dalle parti richiedessero un’istruzione non sommaria, è stato disposto il passaggio al rito ordinario di cognizione, con fissazione dell’udienza ex art. 183 cod. proc. civ. All’udienza del 9 ottobre 2018 sono stati fissati i termini di cui all’art. 183 sesto comma cod. proc. civ. Depositate le relative memorie, all’udienza del 10 gennaio 2019 le parti hanno ulteriormente illustrato le reciproche produzioni e deduzioni. Con ordinanza del 5 febbraio 2019 sono state respinte le istanze di ammissione delle prove orali, osservando che i capitoli dedotti si riferivano o a documenti versati in atti che non richiedevano alcuna conferma o a fatti incontestati o a valutazioni non demandabili ai testi. È stata invece disposta una consulenza tecnica d’ufficio e il 7 marzo 2019 l’incarico di rispondere al quesito è stato affidato all’ingegner B. Depositata la relazione peritale, all’udienza del 13 febbraio 2020 le parti non hanno formulato osservazioni al riguardo. I ricorrenti hanno però insistito nell’istanza di ammissione delle prove orali. Con ordinanza del 21 aprile 2020 è stato preso in esame ciascuno dei capitoli di prova dedotti e si è confermata l’ordinanza del 5 febbraio 2019. Si è quindi fissata udienza di precisazione delle conclusioni. Il 5 novembre 2020, in forma figurata e previo scambio di note scritte, si è svolta l’udienza di precisazione delle conclusioni e la causa è stata trattenuta a decisione. 4.La giurisdizione - La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, nella recentissima ordinanza n. 21993 del 12 ottobre 2020, ha deciso che In tema di immissioni acustiche provenienti da aree pubbliche, appartiene alla giurisdizione ordinaria la domanda, proposta dai cittadini residenti nelle zone interessate, di condanna della Pubblica Amministrazione a provvedere, con tutte le misure adeguate, all’eliminazione o alla riduzione nei limiti della soglia di tollerabilità delle immissioni nocive, oltre che al risarcimento dei danni, patrimoniali o non patrimoniali, patiti, atteso che l’inosservanza, da parte della Pubblica Amministrazione, delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e di prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al Giudice Ordinario non solo per conseguire la condanna della Pubblica Amministrazione al risarcimento dei danni, ma anche per ottenere la condanna a un ‘facere’, tale domanda non investendo scelte e atti amministrativi della Pubblica Amministrazione, ma un’attività soggetta al principio del ‘neminem laedere’”. Nella vicenda in esame, i residenti di piazza B e di via C di N avevano convenuto in giudizio il Comune e l’Autorità Portuale, allegando il disturbo arrecato dalle immissioni rumorose provenienti da alcune discoteche costruite in concessione sul suolo demaniale e dall’affluenza in strada di decine di migliaia di avventori. Gli attori avevano chiesto l’adozione di ogni provvedimento volto alla cessazione delle attività moleste svolte negli esercizi commerciali e nelle limitrofe aree pubbliche. Avevano quindi proposto l’interdizione o la limitazione delle attività inquinanti, nonché la predisposizione di un adeguato servizio di vigilanza e di un sistema di monitoraggio fonometrico continuo, allegando l’inerzia del Comune nell’adozione di un piano di zonizzazione acustica. L’ordinanza richiama decisioni conformi la n. 2338/2018 sulle immissioni rumorose provocate dal traffico sull’autostrada del Brennero la n. 22116/2014 sull’inquinamento acustico derivante dal passaggio dei convogli ferroviari e, ancora, la n. 2052 del 2016 e la n. 11142 del 2017. La controversia oggi in esame appartiene quindi alla giurisdizione ordinaria, perché si chiede, proprio come nel caso delle discoteche di N, l’adozione, da parte del Comune, di tutte le misure adeguate al contenimento della rumorosità nel quartiere. La prima eccezione preliminare formulata dal Comune di T deve dunque essere rigettata. 5.La nullità del ricorso - Nell’atto introduttivo, come si è sintetizzato nel primo paragrafo, sono ampiamente descritti i fatti costitutivi posti a fondamento della domanda ed è altresì illustrata la loro correlazione con le scelte del Comune, attuate non solo attraverso una serie di atti amministrativi puntualmente richiamati e ritenuti di facciata, ma con la rinuncia a controlli adeguati e all’adozione di un piano di risanamento acustico. Dal punto di vista giuridico, i ricorrenti assumono che il diritto fondamentale alla salute, garantito da numerose norme di rango costituzionale, comunitario e internazionale, è stato leso dai comportamenti commissivi e omissivi del Comune. Si tratta dunque di altrettanti atti illeciti riconducibili alla norma generale di cui all’art. 2043 cod. civ. I ricorrenti invocano anche l’art. 844 cod. civ., assumendo l’intollerabilità delle emissioni rumorose provenienti dai fondi del resistente e cioè dalle strade e dalle piazze di S. La domanda relativa alle misure che il Comune dovrebbe porre in atto per ricondurre la situazione del quartiere alla normalità è in effetti generica, ma nel corpo del ricorso sono proposte alcune delle iniziative che i residenti ritengono adeguate. Si deve quindi concludere che il ricorso non manca di determinatezza e di specificità, ma che, al contrario, contiene in sé tutti gli elementi necessari e sufficienti per consentire al Comune una difesa completa e puntuale, come è in effetti avvenuto. 6. La legittimazione attiva di alcuni ricorrenti - Coloro che, tra i ricorrenti, non sono altresì proprietari degli immobili raggiunti dalle immissioni rumorose sarebbero privi, secondo il Comune, della legittimazione a proporre la domanda reale ex art. 844 cod. civ. Tale norma è però suscettibile di interpretazione estensiva, nel senso che legittimato all’azione è anche il titolare di un diritto personale di godimento sul fondo. In punto legittimazione attiva, il Comune non ha sollevato altre eccezioni in particolare, non ha negato che i ricorrenti risiedano tutti nel quartiere di S, così come delimitato, topograficamente, nell’incipit dell’atto introduttivo. 7. La legittimazione passiva del Comune - Il Comune è convenuto in giudizio per aver intrapreso una politica sbagliata di gestione del territorio, per aver adottato provvedimenti privi di efficacia contenitiva dei rumori e per aver omesso di vigilare sul quartiere di S la legittimazione passiva, dunque, sussiste, e non va confusa con la fondatezza, nel merito, dei titoli di responsabilità dedotti dai ricorrenti. 8. La situazione nel quartiere in particolare, la perizia fonometrica - I fatti esposti nel primo paragrafo sono, nella sostanza, pacifici. Il Comune non contesta la descrizione, offerta dai ricorrenti e corredata da fotografie, filmati e articoli giornalistici, di quanto da anni accade a S e non propone una propria narrazione alternativa. Sugli aspetti di disagio diversi dal rumore è dunque sufficiente richiamare la rappresentazione fattuale proposta dai residenti. La consulenza tecnica dell’ingegner B, resasi necessaria perché il Comune ha evidenziato l’insufficienza delle relazioni dell’ARPA e della perizia fonometrica prodotta dai ricorrenti, ha completato il quadro con la misurazione dei rumori nei singoli alloggi. Rispetto alle risultanze della consulenza tecnica, il Comune non ha mosso, nella sostanza, alcuna contestazione, né all’udienza del 13 febbraio 2020 né, a parte un breve accenno, negli atti conclusivi al contrario, ha tratto dalle conclusioni dell’ingegner B, come si vedrà, argomenti per sostenere la propria estraneità agli accadimenti lamentati nel ricorso. Il consulente tecnico è partito dalle periodiche relazioni dell’ARPA. Il Comune, nel corso della causa, ha segnalato che tali relazioni scontano due limiti la loro collocazione in momenti specifici, attraverso fotografie istantanee di una realtà che non è rappresentata nella sua interezza la misurazione della sola rumorosità esterna. L’ARPA ha dato conto dei suoi accertamenti nelle relazioni del 1° luglio 2013, del 7 luglio 2014, del 10 gennaio 2017, del 23 gennaio 2018 e del 30 novembre 2018, ponendo sempre in rilievo, con qualche variazione poco significativa, le stesse criticità. Si può dunque desumere che il fenomeno acustico non si sia modificato negli intervalli tra una misurazione e l’altra sarebbe infatti contrario alla logica e al senso comune ritenere che gli interventi tecnici abbiano colto, casualmente, nell’arco temporale di sei anni, i soli momenti di superamento dei limiti. Quanto alla relazione dell’ARPA sul periodo ottobre 2018/ottobre 2019 non presente in atti , il consulente, pur prospettandone l’acquisizione, ha aggiunto che la ripetitività e la stabilità del fenomeno acustico lasciavano intendere che il periodo ottobre 2018 – ottobre 2019 sia o possa essere del tutto simile e di analogo impatto acustico a quello del periodo 2013- settembre 2018.” L’ulteriore deduzione è che, se le misurazioni disponibili fotografano una situazione lineare e non puntiforme, allora, nel periodo di tempo considerato a partire dal 1° luglio 2013 , i riflessi di ciò che accadeva in strada hanno prodotto, all’interno delle case, situazioni di inquinamento non difformi da quelle proposte nelle perizie dei ricorrenti documenti dal n. 39 al n. 66 e nella consulenza d’ufficio. Ciò ha indotto l’ingegner B a concludere che l’area di S nel periodo notturno degli anni dal 2013 al 2018 è stata interessata da un clima acustico particolarmente critico nonostante i provvedimenti adottati dal Comune tale criticità si configurava come fenomeno acustico ripetitivo in tutto l’arco temporale degli anni dal 2013 al 2018 senza interruzione di continuità, se non nei periodi più freddi dell’anno e nel mese di agosto, durante i quali si attenuava tale criticità pur permanendo superamenti costanti e significativi dei limiti assoluti di immissione notturni dettati dalla classificazione acustica del territorio.” E’ anche da osservare che, necessariamente, i rilievi del consulente, volti a misurare il rumore ambientale e il rumore residuo, si sono limitati a determinati giorni, nell’arco di tempo, peraltro piuttosto ampio, tra il 31 maggio e il 13 ottobre 2019. Ma, dato che quella in esame è una situazione che lo stesso ingegner B ha definito, come si è visto, stabile” e continua”, poiché le attività nel quartiere sono sempre le stesse, non vi è ragione di ritenere che le misurazioni effettuate siano poco significative e che non sia lecito trarne conclusioni riferibili all’intero periodo. L’ingegner B, riguardo a due specifici ricorrenti, ha annotato che -MB non abita più con MD in via S, essendosene trasferita il 10 febbraio 2017 circostanza menzionata anche nella comparsa conclusionale dei ricorrenti, per indicare che il risarcimento dovrebbe essere limitato al periodo 2013-2017 -FG ha venduto il suo appartamento e dunque non è stato possibile eseguire alcun rilievo. Per completezza riguardo alle singole posizioni e sebbene il tema non attenga alle misurazioni fonometriche la parte ricorrente fa pure notare che - KP risiede in via S dal 17 giugno 2015, così come scritto nella comparsa conclusionale per affermare che il risarcimento dovrebbe essere contenuto in trentadue mesi -EG ha concesso in locazione il suo appartamento a partire da gennaio 2019, sicché le spetta un risarcimento pari a nove mesi. Le singole rilevazioni sono riportate nelle schede di misura” pagine da 206 a 253 della relazione B , alle quali si rinvia. Non pare infatti necessaria, a fronte della sostanziale adesione del Comune ai dati raccolti, un’analisi dettagliata. Il consulente, nella risposta conclusiva ai quesiti sottopostigli, ha scritto che i rilievi fonometrici dimostrano e confermano che il limite differenziale notturno, all’interno delle abitazioni degli attori a finestre aperte, risulta sempre superato. Tale superamento è ratificato dalla tre condizioni di valutazione adottate per valorizzare il differenziale la statistica relativa alle classi di superamento del differenziale in funzione della condizione di valutazione, elaborata dal CTU, dimostra che le due condizioni di valutazione che prendono in esame la differenza tra rumore ambientale e rumore residuo A e B indicano che la maggior parte dei superamenti del limite differenziale notturno si concentra nella classe 15-19dB A la condizione di valutazione che prende in esame la differenza tra rumore ambientale e rumore di fondo D indica che la maggior parte dei superamenti del limite differenziale notturno si concentra nella classe 25-29dB A . Tali superamenti evidenziano l’elevata criticità dello stato acustico interno alle abitazioni degli attori nei giorni di venerdì e sabato, giorni nei quali sono stati eseguiti i rilievi del rumore ambientale e si manifesta in modo più marcato il fenomeno acustico esaminato la soglia di tollerabilità, indicata in 3 dB A , è sempre superata all’interno di tutte le abitazioni degli attori a finestre aperte.” cfr. pagine 77 e 78 dell’elaborato . A proposito della scelta, operata dal consulente, di effettuare le misurazioni soltanto a finestre aperte, si riporta quanto annotato a pagina 7 dell’allegato n. 4 relazione sintetica sulle osservazioni delle parti alla relazione tecnica” è sufficiente verificare che il criterio differenziale venga disatteso in una delle due condizioni finestre aperte o finestre chiuse eseguire le misure fonometriche a finestre chiuse non avrebbe apportato alcun valore aggiunto nella valutazione del superamento della soglia di tollerabilità delle immissioni sonore.” Riguardo alle cause dell’inquinamento acustico, si legge nella relazione B che L’origine principale dei rumori è identificata nelle urla, negli schiamazzi e nel parlato ad alta voce che scaturisce dal flusso massiccio e costante di persone che transitano, stazionano e intralciano le vie e il largo S e di avventori dei locali commerciali in genere l’origine secondaria dei rumori è identificata nel vociare elevato degli avventori dei locali commerciali che stazionano nei dehors esterni e nei pressi dei medesimi. Altre fonti sporadiche di rumore sono dovute a cori e schiamazzi per festeggiamenti di ricorrenze, urla di gruppo in presenza del transito di veicoli che sono costretti a suonare il clacson per farsi strada tra gli assembramenti di persone, smaltimento delle bottiglie di vetro nei cassonetti e rottura di bottiglie di vetro sui marciapiedi e sul manto stradale.” In conclusione, è sempre e soltanto la cosiddetta movida a generare, oltre al rumore, tutti i pregiudizi segnalati dai ricorrenti e meglio evidenziati nel primo paragrafo. 9 - Compiti e responsabilità del Comune - Partendo da queste ultime considerazioni del consulente tecnico, il Comune torna a sottolineare che la situazione pregiudizievole della quale i ricorrenti si dolgono è addebitabile esclusivamente al comportamento illecito di terzi, che sono i soli a doverne rispondere il Comune ha attuato, nei limiti delle proprie attribuzioni e del contemperamento tra i diversi interessi in gioco, tutte le misure necessarie per arginare il fenomeno e altro non può fare. Il tema della genesi dei rumori e di tutte le altre molestie patite dai resistenti investe la questione dell’applicabilità, alla fattispecie concreta, dell’art. 844 cod. civ. Sul punto, le considerazioni svolte dal resistente sono condivisibili infatti, ciò che accade nelle strade e nelle piazze di S non dipende da eventi organizzati o autorizzati dal Comune, ma dalla libera aggregazione di un numero eccessivo e incontrollato di persone, attirate dalla presenza dei numerosissimi esercizi commerciali. In altre parole, l’utilizzo abnorme dei fondi pubblici e le propagazioni” che raggiungono le case dei ricorrenti si situano al di fuori di una positiva attività del Comune rivolta alla destinazione del suolo di sua proprietà. L’indagine da compiere attiene dunque a un profilo diverso si deve stabilire se davvero il Comune abbia posto in essere tutto quanto era in suo potere per ricondurre le immissioni rumorose entro i limiti previsti per ciascuna zona, secondo la sua classificazione acustica, e, in generale, per evitare o contenere gli altri effetti nocivi della movida. Il nesso causale tra i danni patiti dai ricorrenti e le azioni o le omissioni del Comune deve dunque essere ricercato secondo la norma generale dell’art. 2043 cod. civ. La legge n. 447 del 26 ottobre 1995 legge quadro sull’inquinamento acustico individua, all’art. 6, le specifiche competenze dei Comuni. Vengono in rilievo, tra l’altro, l’adozione di regolamenti per l’attuazione della disciplina statale e regionale e i piani di risanamento acustico, disciplinati dal successivo art. 7. L’art. 14, richiamato dall’art. 6, regola la materia dei controlli e l’art. 9 prevede l’adozione di ordinanze contingibili e urgenti per il ricorso temporaneo a forme di contenimento e di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l’inibizione totale o parziale di determinate attività. I piani di risanamento devono individuare la tipologia e l’entità dei rumori e l’individuazione delle priorità, delle modalità e dei tempi necessari per raggiungere l’obiettivo, anche attraverso l’adozione di misure cautelari a carattere d’urgenza. La legge n. 52 del 20 ottobre 2000 della Regione P ha ripreso gli stessi temi, attribuendo ai Comuni la competenza rispetto ai piani di risanamento acustico, agli interventi in caso di superamento dei valori di attenzione e, in generale, a ogni attività di controllo, contenimento e abbattimento dell’inquinamento da rumore. D’altra parte, la difesa del Comune non consiste affatto nel negare tali attribuzioni, ma nel sostenere che, proprio nel rispetto delle norme vigenti, è stato fatto tutto quanto era dovuto. Le iniziative intraprese elencate nel secondo paragrafo sono state documentate e non sono di per sé oggetto di contestazione. Tuttavia, come ha scritto il consulente tecnico, i provvedimenti emanati hanno avuto un successo al più limitato e provvisorio e, comunque, si sono palesati del tutto insufficienti per ricondurre la rumorosità del quartiere entro i limiti di legge. Lo stesso Comune non afferma affatto di aver risolto il problema, ma, nella sostanza, sostiene che tutto quanto ancora avviene sfugge alla possibilità di ulteriori interventi. Si è già detto che l’eccessivo affollamento del quartiere, con tutte le conseguenze negative che ciò comporta, non è casuale, ma dipende dalla concentrazione, in quell’area, di un numero eccessivo di esercizi commerciali. La lettura dei provvedimenti prodotti con la comparsa di costituzione e ivi elencati cfr. paragrafo n. 2 consente di affermare che il Comune ha compiuto precise scelte a fronte dei fenomeni oggi in esame. L’aggregazione di persone che è causa di degrado, sporcizia, disturbo del riposo e della tranquillità, che produce disagi e pericoli, che provoca lo scadimento della vivibilità urbana, che turba il libero utilizzo degli spazi pubblici è posta dallo stesso Comune in relazione con l’attività degli esercizi commerciali ai gestori è fatto carico di positive e ben specificate attività di dissuasione, da svolgere anche all’esterno dei locali e nelle loro adiacenze. In particolare, l’art. 44 bis del regolamento di polizia urbana prevede, nel caso di persistenza degli eventi pregiudizievoli, l’interruzione dell’attività nelle aree, esterne al locale, di cui l’esercente abbia la disponibilità in forza di un titolo idoneo” Inoltre l’inerzia dei titolari degli esercizi può concorrere a configurare l’abuso del titolo previsto dall’art. 10, R.D. n. 773/1931, testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, ai fini della sospensione dell’autorizzazione, o dell’atto equipollente, di cui sia in possesso il titolare del pubblico esercizio. Nei casi più gravi, può esserne disposta la revoca.” Il Comune aggiunge di aver esercitato ogni controllo necessario per assicurare il rispetto di queste norme, comminando sanzioni che sono giunte sino alla chiusura di singoli locali. Inoltre, è stato regolamentato, in via generale e non più soltanto periodica, l’orario di svolgimento delle attività commerciali, ponendo limiti alla somministrazione di alimenti e bevande all’interno e all’esterno dei locali. È dunque innegabile che il Comune non sia rimasto indifferente al fenomeno della movida e che abbia usato, al fine di contenerlo, degli ampi poteri di cui dispone. Eppure, tutto ciò che si voleva evitare continua a riprodursi da anni, senza sensibili miglioramenti rumore ben oltre la soglia di tollerabilità, afflusso immutato di folle imponenti, tali da bloccare l’accesso alle strade, perpetuazione di tutti i comportamenti illeciti che si sono andati elencando nella disamina che precede. Insomma, dal 2013 a oggi nulla è cambiato. Senza dubbio, delle violazioni penali schiamazzi, imbrattamento delle cose pubbliche e private, danneggiamenti, ingiurie risponde chi le pone in atto. Tuttavia, si è osservato e il tenore dei provvedimenti del Comune lo conferma che all’origine della concentrazione, nella zona, di un tale numero di trasgressori, vi è l’altrettanto grande concentrazione di ristoranti, bar, vinerie, birrerie, minimarket, rivenditori ambulanti. L’ovvia deduzione è che i provvedimenti del Comune a carico di questo variegato universo commerciale sono stati del tutto insufficienti. Se c’è gente ovunque significa che nessuno degli esercenti ha rispettato l’obbligo di controllarne l’afflusso nelle proprie adiacenze dunque, assai più locali avrebbero dovuto essere sanzionati o chiusi. Se un numero imprecisato di dehors ha invaso il suolo pubblico e vi si svolgono attività, non consentite, di somministrazione di alimenti e bevande, il Comune avrebbe dovuto revocare i relativi atti autorizzativi, sino a liberare le strade e a concentrare le consumazioni all’interno dei locali. Una criticità così elevata avrebbe richiesto un adeguato piano di risanamento acustico, che, a quanto risulta, non è stato neppure intrapreso. Vi è poi, di centrale importanza, la questione del limite orario. L’ordinanza n. 46 del 6 giugno 2016 vieta la vendita e la somministrazione di bevande alcooliche e superalcooliche dalle ore 3.00 alle ore 6.00. Orari analoghi sono stati disposti nell’ordinanza n. 60 del 6 luglio 2017 nelle notti tra il lunedì, martedì, mercoledì e giovedì dalle ore 1.30, il venerdì dalle ore 2.00, il sabato, la domenica e i festivi dalle ore 3.00. Si è già accennato che, a seguito della deliberazione della Giunta comunale del 3 maggio 2018, tali limitazioni non sono più disciplinate attraverso singoli provvedimenti temporanei, ma sono regolamentate in via ordinaria dall’art. 44 ter del regolamento di polizia urbana. È evidente che fissare orari così ampi equivale a permettere tutto nella sostanza, l’assembramento degli avventori può continuare fino a notte fonda e, verosimilmente, protrarsi, prima che la folla si diradi, ben oltre gli orari pur permissivi. In questo modo, il contemperamento, che il Comune afferma di ricercare, tra il bisogno di sonno dei residenti, quello dei commercianti di ottenere i loro guadagni e quello dei giovani di divertirsi è risolto privilegiando senz’altro le ultime due esigenze a scapito della prima. In tal modo, il problema persistente dell’invivibilità del quartiere genera a sua volta rilevanti difficoltà di controllo, che, in una situazione così complicata, richiederebbero ulteriori risorse. In conclusione, non si può negare che sussista il nesso di causalità, nei termini che si sono illustrati, tra ciò che accade a S e le scelte del Comune. 10. I provvedimenti richiesti dai ricorrenti - Come si è visto nel paragrafo n. 4, il giudice ordinario, per realizzare il contenimento della rumorosità, può ordinare l’adozione di tutte le misure adeguate, condannando la Pubblica Amministrazione a un positivo facere. Tuttavia, nel momento in cui si passa a considerare, nel merito, ciascuna delle possibili misure, è evidente che il giudice incontra una serie di limiti imposti dalle scelte discrezionali proprie dell’Ente pubblico nel governo del suo territorio. Il caso in esame presenta peculiarità che non possono essere ignorate si tratta infatti di agire sulla vita notturna del vasto quartiere di una metropoli. Tutti gli esempi riferiti dai ricorrenti riguardano realtà ben più circoscritte, nelle quali il facere” e le misure adeguate” erano individuabili senza difficoltà. La chiusura degli esercizi commerciali che non rispettano le prescrizioni deve essere preceduta da singoli accertamenti, locale per locale. Così pure, l’eliminazione dei dehors non può avvenire in modo indiscriminato, ma deve essere studiata con riguardo all’ubicazione di ciascun esercizio e all’impatto dei suoi avventori sulla tranquillità dell’area circostante è possibile che molti, forse tutti gli spazi delimitati posti all’aperto debbano essere interdetti, ma la loro individuazione non può essere fatta in questa sede. Di sicuro gli orari di chiusura devono essere drasticamente ridotti, ma se ciò debba avvenire per il solo quartiere di S con l’effetto che la movida potrebbe spostarsi altrove , o, in concomitanza, per altre determinate zone a rischio, è il Comune a doverlo decidere, nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche di gestione del territorio. Ciò che il Comune deve fare e non ha fatto è un’analisi approfondita della situazione complessiva, verosimilmente quella richiesta dal piano di risanamento acustico, intervenendo, nel frattempo, con misure d’urgenza assai più pregnanti di quelle fin qui adottate. Non è infine il giudice a poter organizzare il servizio di vigilanza di un intero quartiere, andando a incidere sulla distribuzione della Polizia municipale nel suo complesso e sul coordinamento con le altre Forze preposte al controllo della pubblica sicurezza. Qui non si tratta di risolvere i problemi di una strada o di una piazza o di un tratto di lungomare né di ordinare la collocazione di pannelli antirumore lungo un’autostrada o una linea ferroviaria, ma di decidere l’assetto di un intero territorio, con effetti su tutta la città. Alla responsabilità del Comune consegue quindi il solo risarcimento dei danni. 11.Il risarcimento dei danni - Che i ricorrenti siano stati lesi nel loro diritto al riposo, al sonno, al tranquillo svolgimento delle normali attività e al godimento dell’habitat domestico e di quartiere non richiede particolari dimostrazioni. Rumori dell’entità di quelli accertati impediscono di dormire, generando una situazione di stanchezza cronica che pregiudica il lavoro, le incombenze imposte dalla quotidianità, lo svago e le relazioni sociali. La perdurante difficoltà di accedere alla propria abitazione, sia a piedi sia in auto, correndo di continuo il rischio di essere insultati, derubati, danneggiati nelle proprie cose, genera stress e ansia. Trovare le vie e le piazze di ogni giorno imbrattate e invase da rifiuti provoca una rabbia costante e impotente. Circa il pregiudizio non patrimoniale derivante dallo sconvolgimento dell’ordinario stile di vita” le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che va data continuità all’indirizzo interpretativo di recente espresso in sede di legittimità, in forza del quale il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e al diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto a uniformarsi” cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 2611/2017, ribadita da Corte di Cassazione nn. 10861/2018, 21504/2018 e 21544/2018 . I ricorrenti non hanno allegato alcuna compromissione della salute che sia esitata in malattia, ma hanno parametrato la loro richiesta di risarcimento riferendosi ai criteri tabellari del Tribunale di Milano per la quantificazione del danno biologico il riferimento non è dunque condivisibile. Né lo è la qualificazione del danno come invalidità temporanea al cinquanta per cento, sulla base di un’età media di quarant’anni. Questo criterio di liquidazione è criticabile sotto vari aspetti. In primo luogo, le tabelle milanesi non calcolano l’invalidità temporanea in base a fasce di età in secondo luogo, non si vede per quale ragione si dovrebbe considerare un’età media” invece dell’età di ciascun ricorrente. Ma, soprattutto, il concetto di invalidità temporanea si riferisce a un fatto foriero di danno verificatosi in un dato momento e che, a partire da quel momento, genera conseguenze pregiudizievoli provvisorie e via via meno gravi. Tale situazione non ha nulla in comune con quella in esame, in cui ciascuno dei ricorrenti ha continuato a subire, nel tempo, i medesimi effetti di una situazione pregiudizievole continuativa. Questo peculiare danno di carattere non patrimoniale non può che essere valutato con criterio equitativo, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., non potendo essere provato nel suo preciso ammontare. Diversamente da quanto sostiene il Comune, non si vede quali siano i fatti colposi dei ricorrenti che abbiano concorso nella produzione del danno, sicché non è applicabile l’art. 1227 cod. civ. L’ARPA in un contesto che già il Comune riteneva suscettibile di osservazione effettuò tra aprile e maggio 2013 i suoi primi rilievi, riportati nella relazione del 1° luglio 2013. Il periodo da considerare termina il 9 marzo 2020, data del DPCM che, a partire dal giorno successivo, ha disposto il primo cosiddetto lockdown si può quindi affermare che, almeno per la durata di sette anni, gli effetti della movida sono innegabili. Sostengono i ricorrenti che tra il 18 maggio 2020 fine del primo lockdown e il 6 novembre 2020 inizio del secondo lockdown parziale la movida è tornata a prorompere con esuberanza non minore della precedente, tanto più che le aree destinate a dehors si sono estese per consentire la maggiore fruizione di spazi aperti. Al proposito, non si dispone però di alcun elemento di valutazione sicuro e le situazioni delineate dai ricorrenti non sono scontate o, almeno, non si traducono con certezza in un clima di inquinamento acustico pari a quello anteriore alle misure precauzionali imposte dalla pandemia. Nel periodo tra maggio e novembre non vigeva certo la libertà di assembramento, doveva essere comunque rispettato il cosiddetto distanziamento sociale ed è verosimile ipotizzare che i controlli siano stati più intensi e che molti locali, risentendo della protratta chiusura, non abbiano riaperto i battenti. È poi impossibile prevedere che cosa accadrà in un futuro che, al momento, appare piuttosto difficile da immaginare nelle sue connotazioni economiche e sociali. Appare equo liquidare, per ciascun anno, l’importo di euro 6.000,00, pari a euro 500,00 al mese in tutto, euro 42.000,00. I ricorrenti non hanno differenziato le loro posizioni e hanno proposto le domande sul presupposto di aver subito tutti i medesimi danni. Per alcune specifiche situazioni, alle quali si è già fatto cenno nella disamina della consulenza tecnica, il risarcimento deve però essere ridotto in ragione dei minori periodi di tempi trascorsi nel quartiere competono dunque -a M euro 23.500,00 - a K euro 28.384,00 - a E euro 35.000,00 - a F euro 34.500,00. Per quest’ultimo ricorrente il consulente tecnico non ha eseguito alcun rilievo. Tuttavia, egli abitava, fino a dicembre 2018, in via S. In via S l’ingegner B ha eseguito numerosi rilievi e, in particolare, presso le abitazioni di Gi e A al civico 44. Sarebbe illogico ritenere che, a due portoni di distanza, la situazione acustica sia del tutto diversa da quella concretamente registrata. Gli interessi legali sono dovuti dalla data della sentenza al saldo. 12. Le spese -Sussistono giusti motivi per la compensazione parziale, nella misura della metà. Viene infatti respinta la domanda volta alla condanna del Comune alla cessazione immediata delle immissioni sonore eccessive ovvero di adottare le misure necessarie per ricondurre tali immissioni entro i limiti della normale tollerabilità.” Il criterio di calcolo proposto per la liquidazione del danno viene disatteso e la domanda risarcitoria accolta in una misura nettamente inferiore al petitum, escludendo inoltre l’intero periodo successivo al 9 marzo 2020. Il valore della causa è pari a euro 1.171.384,00, che è la somma di tutti gli importi riconosciuti a titolo di risarcimento. Il compenso è dovuto, per le quattro fasi di giudizio, in misura pari a euro 43.719,00. Il compenso massimo spetta per la fase di studio e per quella della redazione dell’atto introduttivo, mentre l’istruttoria si è limitata alla consulenza tecnica e gli atti conclusivi hanno ripreso, nella sostanza, i temi già trattati in origine, sicché i relativi compensi sono dovuti nella misura media. Le spese della consulenza tecnica d’ufficio devono essere poste a definitivo carico del Comune, in quanto l’indagine si è resa necessaria a seguito delle contestazioni in fatto della parte resistente. Sono dovute ai ricorrenti e comprese nelle anticipazioni anche le spese documentate sostenute nella misura di euro 2.992,64 per l’onorario del consulente tecnico di parte, ingegner A. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione, A dichiara la propria giurisdizione rispetto a tutte le domande proposte dai ricorrenti nei confronti del Comune in persona del Sindaco pro tempore B dichiara la legittimazione di omissis a proporre anche la domanda ex art. 844 cod. civ. nei confronti del Comune, in persona del Sindaco pro tempore C dichiara la legittimazione del Comune, in persona del Sindaco pro tempore, a contraddire a tutte le domande proposte nei suoi confronti dai ricorrenti D dichiara tenuto e condanna il Comune, in persona del Sindaco pro tempore, al pagamento delle seguenti somme capitali, oltre agli interessi legali da oggi al saldo a M euro 42.000,00 a M euro 23.500,00 a M euro 42.000,00 ad AI euro 42.000,00 a B euro 42.000,00 a L euro 42.000,00 a Ro euro 42.000,00 a Gi euro 42.000,00 a M euro 42.000,00 a G euro 42.000,00 a D euro 42.000,00 a E euro 42.000,00 a E euro 35.000,00 a F euro 42.000,00 a F euro 42.000,00 a F euro 34.500,00 a C euro 42.000,00 a St euro 42.000,00 a DaI euro 42.000,00 a M euro 42.000,00 a K euro 28.384,00 a Val euro 42.000,00 a En euro 42.000,00 a M euro 42.000,00 a Ch euro 42.000,00 a Gi euro 42.000,00 ad A euro 42.000,00 a Sl euro 42.000,00 ad A euro 42.000,00 E respinge le altre domande proposte dai ricorrenti nei confronti del Comune, in persona del Sindaco pro tempore F pone le spese della consulenza tecnica d’ufficio a definitivo carico del Comune, in persona del Sindaco pro tempore G dichiara tenuto e condanna il Comune, in persona del Sindaco pro tempore, alla rifusione della metà delle spese processuali avversarie, che liquida in euro 43.719,00 per compensi, oltre al quindici per cento a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e in euro 4.789,24 per anticipazioni, oltre a IVA e CPA come per legge sulle somme imponibili, e dunque al pagamento della somma di euro 21.859,50, oltre al quindici per cento a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e della somma di euro 2.394,62, oltre a IVA e CPA come per legge sulle somme imponibili H dichiara compensate le restanti spese.