Danni da emotrasfusione: l’azione si prescrive in 5 o 10 anni?

La responsabilità per i danni da trasfusione di sangue infetto ha natura extracontrattuale sicché il diritto al risarcimento è soggetto alla prescrizione quinquennale, ex art. 2947, comma 1, c.c Invece, per il danno subito dai congiunti della vittima iure proprio”, la prescrizione è decennale.

Questi i chiarimenti forniti dalla Corte di cassazione, con ordinanza n. 26189/20, che si è pronunciata su una domanda di risarcimento danni avanzata dai congiunti di una donna deceduta in seguito alle complicanze derivate da una emotrasfusione. I fatti risalgono all’anno 1996 allorquando si verificava la morte di una paziente, affetta da epatite HCV e virus AIDS, contratti a seguito di una trasfusione di sangue infetto praticatale presso un nosocomio pisano. Nel dicembre 2007, i congiunti citavano in giudizio sia l’azienda ospedaliera cui subentrava, successivamente, la gestione liquidatoria che il Ministero della salute, onde sentirli condannare, in solido, al risarcimento di tutti i danni subiti, sia iure proprio, sia iure hereditatis , in conseguenza della suddetta trasfusione. Il Tribunale di Firenze, tuttavia, rigettava le richieste, come pure la Corte d’Appello, sostenendo entrambi che era decorso il termine di prescrizione quinquennale per il danno iure hereditatis , avuto riguardo alla data della domanda di indennizzo ai sensi della legge n. 210/1992. Per le stesse ragioni dichiaravano prescritto anche il diritto al risarcimento del danno iure proprio, giacché erano decorsi più di dieci anni dalla evento morte, rispetto alla notifica dell’atto di citazione in primo grado. Precisavano, inoltre, che non poteva essere riconosciuta efficacia interruttiva della prescrizione alle missive inviate nel 1998 con le quali i congiunti avevano chiesto informazioni sul decorso della pratica di indennizzo e/o al ricorso gerarchico del 1999, proposto nei confronti della commissione medica, ai sensi della l. n. 210/1992. I parenti della vittima si sono quindi rivolti alla Suprema Corte, con ricorso affidato a cinque motivi di diritto 1. Violazione dell’art. 2943 c.c. con riferimento al tema dell’efficacia interruttiva della prescrizione 2. Violazione degli artt. 2946 e 2947 c.c. in relazione al tema dell’omicidio colposo e della prescrizione decennale 3. Violazione dell’art. 2935 c.c. avuto riguardo alla decorrenza della prescrizione 4. Omesso esame di un fatto decisivo e controverso, per come emerso all’esito delle prove testimoniali. La Suprema Corte ha ritenuto fondato il primo motivo di doglianza, sostenendo che la morte di colei che ha contratto l’epatite HCV ed il virus HIV per effetto di emotrasfusione , costituisce il danno evento rispetto alla domanda di risarcimento del danno iure proprio, sicché la prescrizione decorre dal giorno in cui tale evento si verifica, ed il termine è pari a 10 anni. Quanto all’interruzione della prescrizione, il Collegio ha chiarito che è sufficiente una dichiarazione che manifesti, esplicitamente o per implicito, l’intenzione di esercitare il diritto spettante al richiedente. Nel caso di specie i giudici del merito avevano già accertato il contenuto della missiva inviata al Ministero della salute , dai congiunti della vittima, nell’anno 1998, rilevando che essi avevano comunicato di voler comunque ottenere” il risarcimento del danno, oltre a voler ricevere informazioni sulla pratica di indennizzo. Essa, pertanto, aveva piena valenza di atto interruttivo della prescrizione, in quanto idonea a costituire in mora il debitore. Al contrario, è stato disatteso il secondo motivo poiché la responsabilità per i danni da emotrasfusione ha natura extracontrattuale ed il diritto al risarcimento è soggetto alla prescrizione di 5 anni tale termine resta invariato anche nel caso in cui l’avente diritto muoia ed agiscano i congiunti, iure hereditatis , trattandosi pur sempre di un danno da lesione colposa reato a prescrizione quinquennale . La prescrizione è, invece, decennale per i danni subiti dai congiunti della vittima iure proprio ”, in quanto il decesso del congiunto emotrasfuso integra omicidio colposo, reato a prescrizione decennale, alla data del fatto. Avuto riguardo al momento della decorrenza della prescrizione, ha efficacia sì interruttiva la missiva del 1998 ma il quinquennio è comunque trascorso, in relazione alla data di citazione al Ministero 2007 . I restanti motivi sono rimasti assorbiti e la sentenza è stata, quindi, cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 7 ottobre – 17 novembre 2020, n. 26189 Presidente Frasca – Relatore Scoditti Rilevato che 1. P.C. , P.F. e P.M. , con atto di citazione notificato in data 13 dicembre 2007, convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Firenze il Ministero della Salute e l’ omissis chiedendo il risarcimento dei danni, sia iure proprio che iure hereditatis, per la morte il giorno omissis della congiunta B.S. per epatite HCV e virus HIV contratti a seguito di emotrasfusione. A seguito dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’Azienda Ospedaliera, con atto notificato in data 26 settembre 2008 venne chiamata in giudizio la Gestione Liquidatoria ex USL Area Pisana, con rinuncia agli atti del giudizio nei confronti dell’Azienda Ospedaliera. Il Tribunale adito rigettò la domanda per intervenuta prescrizione. Avverso detta sentenza proposero appello gli originari attori. 2. Con sentenza di data 4 dicembre 2017 la Corte d’appello di Firenze rigettò l’appello. Osservò la corte territoriale che era decorso sia il termine di prescrizione quinquennale per il danno iure hereditatis, avuto riguardo alla data della domanda di indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992 27 gennaio 1994 , che quello di prescrizione decennale, con riferimento alla configurabilità dell’omicidio colposo, quanto al danno iure proprio, avuto riguardo sia alle date di citazione in giudizio nei confronti del Ministero 13 dicembre 2007 e della Gestione Liquidatoria 26 settembre 2008 che alla mancanza di efficacia interruttiva sia della richiesta di informazioni di data 31 maggio 1998 sul decorso della pratica di indennizzo, volta soprattutto a palesare una futura intenzione io sottoscritto P.C. in qualità di erede di B.S. deceduta per somministrazione di emoderivati infetti, chiedo informazioni in ordine al decorso della pratica in oggetto e vi informo che è comunque intenzione di noi eredi di ottenere il risarcimento di tutti i danni da noi e da mia moglie subiti , sia del ricorso gerarchico del 2 dicembre 1999 nei confronti della commissione medica ai sensi della L. n. 210 del 1992 con la presente formula ricorso pari all’oggetto resto in attesa di essere convocato al fine di dimostrare con il mio perito medico legale il danno che ho subito e il disagio che la malattia ha comportato in qualità di erede chiediamo che ci venga riconosciuto quanto ci spetta . Aggiunse che inutile era la riproposta prova per testi, in ogni caso inammissibile in quanto per alcuni capitoli indeterminata temporalmente, per altri implicante una valutazione. 3. Hanno proposto ricorso per cassazione P.C. , P.F. e P.M. sulla base di quattro motivi e resistono con distinti controricorsi il Ministero della Salute e la Gestione Liquidatoria ex USL XX Area Pisana. È stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c Il pubblico ministero ha depositato le conclusioni scritte. È stata depositata memoria. Considerato che 1. con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che la missiva del 31 maggio 1998 ha chiaramente per contenuto la volontà di richiedere il risarcimento di ogni danno, oltre l’indennizzo previsto dalla legge, e che la stessa missiva del 2 dicembre 1999 comprendeva, oltre l’indennizzo, anche il risarcimento del danno, sicché ad entrambi gli atti deve darsi efficacia ìnterruttiva della prescrizione. 1.1. Il motivo è fondato. La censura attiene al danno iure proprio per il quale il giudice di merito ha ritenuto decorsa la prescrizione decennale non avendo attribuito efficacia interruttiva alle due missive richiamate nel motivo. La morte di colei che, sulla base di quanto allegato nell’originario atto introduttivo del giudizio, avrebbe contratto per effetto di emotrasfusione l’epatite HCV ed il virus HIV, costituisce il danno evento rispetto alla domanda iure proprio, sicché la prescrizione decorre dalla data della morte omissis . Il termine di prescrizione, considerata l’epoca della morte omissis , è di dieci anni, avuto riguardo alla pena edittale prevista dall’art. 589 c.p., comma 1 ed a quanto previsto dall’art. 157 c.p. applicabile ratione temporis. Nell’ipotesi di illecito civile costituente reato, qualora, ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 3, occorra fare riferimento al termine di prescrizione stabilito per il reato e questo sia stato modificato dal legislatore rispetto al termine previsto al momento della consumazione dell’illecito, deve applicarsi il termine di prescrizione del momento di consumazione del reato, valendo il principio di irretroattività della norma e non rilevando, agli effetti civilistici, il principio della norma più favorevole Cass. 27 luglio 20XX, n. 13407 14 marzo 2018, n. 6333 . Non trova quindi applicazione il nuovo regime previsto dalla L. n. 251 del 2005. La rilevanza degli atti interruttivi va valutata rispetto all’epoca di notificazione della citazione al Ministero ed alla Gestione Liquidatoria rispettivamente il giorno 13 dicembre 2007 ed il giorno 26 settembre 2008 . Benché gli atti siano stati indirizzati al solo Ministero, la solidarietà passiva che ricorre fra i due intimati determina l’effetto previsto dall’art. 1310 c.c., comma 1, l’atto interruttivo della prescrizione contro uno dei debitori in solido ha effetto anche riguardo all’altro debitore , per cui ove l’effetto interruttivo sia configurabile, esso è valevole anche nei confronti della Gestione Liquidatoria. 1.1.2. Secondo una linea interpretativa presente nella giurisprudenza di questa Corte, la natura dell’atto di costituzione in mora di atto giuridico in senso stretto non consente l’applicabilità diretta ed immediata dei principi sui vizi del volere e della capacità dettati in tema di atti negoziali, ma legittima il ricorso, in via analogica, alle regole di ermeneutica, in quanto compatibili, degli atti negoziali stessi, con la conseguenza che tale attività interpretativa si traduce in un’indagine di fatto istituzionalmente affidata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità nei soli casi di vizio della motivazione, ovvero di inosservanza delle norme ermeneutiche compatibili con gli atti giuridici in senso stretto Cass. 22 febbraio 2001, n. 2600 23 maggio 2014, n. 11579 11 maggio 2018, n. 11416 . L’assoggettabilità dell’atto di costituzione in mora alle regole legali di ermeneutica contrattuale è correlativa alla riduzione dell’esame della portata dell’atto a giudizio di fatto e dunque a conseguimento di un risultato interpretativo, censurabile in termini di vizio motivazionale o di violazione delle norme ermeneutiche compatibili con gli atti giuridici in senso stretto, quale è l’atto di costituzione in mora. L’attività interpretativa, a rigore, è possibile però solo con l’atto negoziale per il quale, al pari degli atti normativi, si pone la questione dell’interpretazione del precetto privato , e non anche per l’atto giuridico in senso stretto. È la natura di regolamento del negozio giuridico che determina la convergenza di giudizio di fatto ed interpretazione retta da regole legali . All’interpretazione segue poi la qualificazione giuridica, sia per quanto attiene alla riconduzione al tipo legale di contratto, sia per quanto concerne più in generale l’efficacia giuridica del contenuto negoziale risultante dall’attività interpretativa cfr. fra le tante Cass. 5 dicembre 2017, n. 29111 4 giugno 2007, n. 12946 12 gennaio 2006, n. 420 . Negli atti giuridici in senso stretto, quali atti orientati alla volontà dell’atto e non degli effetti, secondo una tradizionale definizione presente nella dottrina tradizionale, la mancanza di una programmazione d’interessi preclude la possibilità di svolgere un’attività interpretativa ed il giudizio si riduce per un verso all’accertamento del fatto, per l’altro al collegamento degli effetti giuridici all’atto o all’azione compiuta. Il giudizio di fatto, in particolare, non mira al conseguimento di un risultato interpretativo ma esclusivamente all’accertamento se un fatto sia avvenuto e quali siano le circostanze storiche che lo connotano. Per restare al caso di specie, l’accertamento di fatto è limitato all’esistenza della missiva ed a quale sia il suo contenuto, ma se tale contenuto debba essere apprezzato come atto interruttivo della prescrizione costituisce un giudizio di diritto, e non un’indagine di fatto, proprio perché non vi è un regolamento da interpretare, ma esclusivamente un fatto da accertare e qualificare. L’atto giuridico in senso stretto, a differenza dell’atto negoziale la cui caratteristica è quella della programmazione d’interessi , è immediatamente realizzativo dell’interesse dell’autore dell’atto medesimo grazie all’effetto che la legge vi collega. 1.1.3. La questione posta dal motivo in esame non attiene pertanto al giudizio di fatto, ma all’applicazione della norma. La sussunzione non rinvia così all’applicazione delle regole ermeneutiche, sia pure per via analogica se così fosse, si dovrebbe mirare ad un risultato interpretativo, ricadendo nell’indagine di fatto, e non a caso la giurisprudenza che richiama l’applicabilità delle norme ermeneutiche compatibili con gli atti giuridici in senso stretto è poi quella che riduce l’esame del contenuto dell’atto di costituzione in mora ad un’indagine di fatto. La sussunzione è in realtà retta da regole sue proprie, che sono quelle della riproduzione al livello della fattispecie concreta della valutazione che la norma compie prevedendo, in relazione ad un determinato presupposto di fatto contemplato in via astratta e generale, determinate conseguenze giuridiche. Una più risalente e rigorosa giurisprudenza ha affermato che nell’atto giuridico in senso stretto, i cui effetti si producono indipendentemente dalla volontà del soggetto, essendo stabiliti direttamente dalla legge nella specie si trattava di avviso di convocazione di assemblea sindacale dei lavoratori , ciò che rileva non è tanto l’intento dell’autore, ma piuttosto la sua riconoscibilità , ovvero il significato dell’atto che è idoneo ad essere percepito dal destinatario ne consegue l’inutilizzabilità dei criteri dettati per l’interpretazione di contratti dall’art. 1362 c.c., calibrati essenzialmente sulla volontà dell’agente, e la pertinenza invece degli elementi obiettivi di riconoscibilità del significato dell’atto Cass. 5 novembre 1998, n. 11150 . La sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta procede sulla base di un criterio di tipicità, che è l’obiettiva riconoscibilità della portata dell’atto dal punto di vista dei consociati. La fattispecie corrisponde ad una valutazione di tipicità, reiterabile in una molteplicità di casi. Tipico è ciò che è obiettivo e che integra quindi uno schema riconoscibile per la generalità. Si comprende così perché la giurisprudenza sull’atto d’interruzione della prescrizione ponga al centro del fenomeno l’elemento della manifestazione, ossia il profilo oggettivamente riconoscibile per la controparte del rapporto giuridico. Ricorrente è nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione che l’atto di interruzione della prescrizione, ai sensi dell’art. 2943 c.c., comma 4, non deve necessariamente consistere nella richiesta o intimazione, essendo sufficiente una dichiarazione che, esplicitamente o per implicito, manifesti l’intenzione di esercitare il diritto spettante al dichiarante Cass. XX luglio 2006, n. 15766 18 gennaio 2018, n. 1166 . È stato in particolare precisato che deve trattarsi di un atto del titolare del diritto idoneo a manifestare la volontà di far valere il diritto nei confronti del soggetto passivo e che tale requisito non è rinvenibile in semplici sollecitazioni prive del carattere di intimazione e della richiesta di adempimento al debitore Cass. 14 giugno 2018, n. 15714 3 dicembre 2010, n. 24656 . Occorre quindi che il comportamento del titolare del diritto dimostri in modo oggettivo la volontà di realizzare il diritto medesimo e smentisca lo stato di inerzia quale essenza dell’istituto della prescrizione. 1.1.4. Il contenuto della missiva di data 31 maggio 1998 è stato accertato dal giudice di merito nei seguenti termini io sottoscritto P.C. in qualità di erede di B.S. deceduta per somministrazione di emoderivati infetti, chiedo informazioni in ordine al decorso della pratica in oggetto e vi informo che è comunque intenzione di noi eredi di ottenere il risarcimento di tutti i danni da noi e da mia moglie subiti . Tale essendo il giudizio di fatto, deve affermarsi che rientra nello schema tipico della costituzione in mora quale riconoscibile richiesta di adempimento dal punto di vista della controparte del rapporto giuridico la manifestazione dell’intenzione comunque di ottenere il risarcimento, essendo questi ultimi elementi verbali obiettivamente idonei a manifestare la volontà di esercitare il diritto e di non rimanere in uno stato di inerzia. L’efficacia interruttiva della missiva del 31 maggio 1998 determina l’assorbimento della questione dell’idoneità interruttiva del ricorso gerarchico del 2 dicembre 1999 avuto riguardo alla data della notifica della citazione al Ministero 13 dicembre 2007 ed all’effetto previsto dall’art. 1310 c.c., comma 1, nei riguardi del debitore solidale, della citazione notificata al Ministero. Il giudice di merito dovrà in conclusione attenersi al seguente principio di diritto la manifestazione dell’intenzione di ottenere comunque il risarcimento del danno, contenuta nella richiesta di informazioni circa la proposta domanda di indennizzo previsto dalla legge per l’infezione conseguente ad emotrasfusione, costituisce atto di interruzione della prescrizione in quanto idoneo a costituire in mora il debitore della prestazione risarcitoria . 2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2947 c.c., artt. 157 e 589 c.p., art. 1218 c.c. e L. n. 833 del 1978, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che, ricorrendo nella specie un’ipotesi di omicidio colposo per essere intervenuta la morte a seguito della contrazione dell’infezione, il danno risarcibile iure hereditatis è quello tanatologico, essendosi verificato il decesso non immediatamente o dopo brevissimo tempo ma dopo venti anni dalle lesioni, e che la prescrizione decennale, sia nei confronti del Ministero che della ASL, risulta interrotta dalla comunicazione del 31 maggio 1998. 2.1. Il motivo è infondato. Il danno richiamato nel motivo è il c.d. danno biologico terminale, il quale, nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte causata dalle stesse, viene liquidato in relazione alla menomazione dell’integrità fisica patita dal danneggiato sino al decesso sulla base delle tabelle relative all’inabilità temporanea fra le tante Cass. 31 ottobre 2014, n. 23183 20 giugno 2019, n. 16592 28 giugno 2019, n. 17577 . Per tale danno, qui preteso iure hereditatis, il termine di prescrizione è di cinque anni, e non di dieci anni come indicato nel motivo, per le seguenti ragioni. La responsabilità per i danni da trasfusione di sangue infetto ha natura extracontrattuale, sicché il diritto al risarcimento è soggetto alla prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c., comma 1, non essendo ipotizzabili figure di reato epidemia colposa o lesioni colpose plurime tali da innalzare il termine ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 3 ne consegue che in caso di decesso del danneggiato a causa del contagio, la prescrizione rimane quinquennale per il danno subito da quel soggetto in vita, del quale il congiunto chieda il risarcimento iure hereditatis , trattandosi pur sempre di un danno da lesione colposa, reato a prescrizione quinquennale alla data del fatto , mentre la prescrizione è decennale per il danno subito dai congiunti della vittima iure proprio , in quanto, da tale punto di vista, il decesso del congiunto emotrasfuso integra omicidio colposo, reato a prescrizione decennale alla data del fatto da ultimo fra le tante Cass. 22 agosto 2018, n. 20882 . In relazione al danno biologico lamentato la prescrizione resta quindi quella quinquennale, decorrente dalla data di presentazione della richiesta di indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992, ossia il 27 gennaio 1994 Cass. sez. U. 11 gennaio 2008, n. 580 ed altre conformi . Avuto riguardo al momento di decorrenza della prescrizione, ha effettivamente efficacia interruttiva la missiva del 31 maggio 1998, ma il quinquennio della prescrizione deve ritenersi trascorso e ciò anche ove si fosse considerata la missiva del 2 dicembre 1999 in relazione alla data della citazione al Ministero 13 dicembre 2007 . 3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che il termine di prescrizione non poteva farsi decorrere dalla domanda di indennizzo non avendo a quell’epoca la B. contezza della bontà della propria domanda, avendo avuto riscontro dalla ASL, cui aveva chiesto la documentazione sanitaria, solo nel 1998 in termini di mancato reperimento delle cartelle , sicché solo da tale epoca poteva decorrere la prescrizione. Aggiunge che il diritto vivente costituito dalla decorrenza della prescrizione dall’epoca di proposizione della domanda di indennizzo deve ritenersi costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 3, 24 e 117 Cost. in combinato disposto con l’art. 6 CEDU, perché la conoscenza del nesso causale fra condotta ed evento può aversi solo all’esito dell’accertamento da parte della competente CMO e non può essere instaurato un contenzioso senza piena contezza delle proprie ragioni. 3.1. Il motivo va dichiarato assorbito. Con riferimento al danno iure hereditatis la questione della decorrenza della prescrizione dal 1998, anziché dalla domanda di indennizzo, risulta assorbita dall’infondatezza del secondo motivo, in cui si è rilevato che il quinquennio della prescrizione è comunque decorso prima della notifica dell’atto di citazione. Con riferimento invece al danno iure proprio l’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del motivo. 4. Con il quarto motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osservano i ricorrenti che, in mancanza di accoglimento dei precedenti motivi, le istanze di prova testimoniale possono avere efficacia dirimente in relazione alla questione della prescrizione mancanza di conoscenza da parte della B. delle ragioni alla base della richiesta di indennizzo, ecc. . 4.1. L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del motivo, espressamente subordinato al mancato accoglimento del ricorso per uno dei motivi precedenti. P.Q.M. Accoglie il primo motivo e rigetta il secondo motivo, dichiarando per il resto assorbito il ricorso cassa la sentenza in relazione al motivo accolto rinvia alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.