La globale liquidazione del danno non patrimoniale attraverso l’applicazione delle tabelle milanesi

La morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella sofferenza che da ciò ne deriva, anche un danno biologico vero e proprio, derivante da un’effettiva compromissione dello stato di salute fisica e psichica di chi lo invoca. La loro liquidazione deve essere onnicomprensiva.

Ciò è quanto ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 16909/19, depositata il 25 giugno. La vicenda processuale. Il Tribunale adito accoglieva la domanda degli attori volta al risarcimento dei danni derivanti dall’omicidio del loro congiunto, condannando i convenuti in solido al risarcimento del danno non patrimoniale. La decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello, che procedeva a confermare la condanna dei convenuti al risarcimento del solo danno parentale. Pertanto i congiunti della vittima ricorrono in Cassazione denunciando sia violazione di legge con riferimento agli artt. 32 Cost., 1223, 1226, 2043, 2056, 2059 c.c. e 61, 115, 189 c.p.c., sia falsa applicazione degli artt. 112 e 324 c.p.c La totale liquidazione del danno non patrimoniale. Con riferimento al primo motivo di ricorso, osservano i ricorrenti che il giudice di appello ha fatto riferimento alle tabelle del Tribunale di Milano, aggiornate al 2014, relative al danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, senza applicare tali tabelle aventi ad oggetto il danno biologico iure proprio , omettendo dunque di riconoscere il medesimo danno biologico. Tale motivo per la Suprema Corte risulta fondato, posto che la morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella sofferenza che da ciò ne deriva, anche un danno biologico vero e proprio, derivante da una effettiva compromissione dello stato di salute fisica e psichica di chi lo invoca, ed entrambi devono essere oggetto di separata considerazione come elementi del danno non patrimoniale, ma ciononostante suscettibili di liquidazione unitaria. Conseguentemente, per la liquidazione onnicomprensiva del danno non patrimoniale deve tenersi conto non solo del danno parentale ma anche del danno biologico vero e proprio. Ha errato, dunque, la Corte territoriale nel limitare il proprio giudizio al solo danno parentale. Il rispetto del minimo tabellare. Anche il secondo motivo di ricorso risulta essere fondato. Infatti, la Corte d’Appello ha correttamente preso in considerazione come parametro della liquidazione del danno non patrimoniale le tabelle milanesi sulla base del più recente aggiornamento però nella determinazione del valore, tra il minimo e il massimo contemplato dalle stesse, si è attenuta ad un valore inferiore rispetto a quello determinato dal Tribunale sulla base delle tabelle all’epoca vigenti, andando così a violare la misura di distanziamento dal minimo tabellare su cui doveva intendersi raggiunto il giudicato. Per tutte queste ragioni, la S.C. accoglie i suddetti motivi di ricorso con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte distrettuale, in diversa composizione, per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 7 marzo 2018 -25 giugno 2019, n. 16909 Presidente Travaglino – Relatore Scoditti Rilevato che Ca.Ro. , I.C. , I.V. , I.G. e I.E. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Ragusa D.C. , D.M.C. , C.S. , C.B. , C.C. e D.P.R. , quali responsabili dell’omicidio del loro congiunto avvenuto il omissis , come accertato con sentenza divenuta irrevocabile, nonchè il Fondo di Rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso presso il Ministero dell’Interno, chiedendo il risarcimento del danno. Il Tribunale adito accolse parzialmente la domanda, condannando i convenuti in solido al risarcimento del danno non patrimoniale, quantificato in Euro 170.000,00 in favore di Ca.Ro. , I.C. e I.V. , ed in Euro 190.000,00 in favore di I.G. e I.E. , con riferimento al valore della moneta al momento del fatto illecito, oltre interessi sulla somma devalutata al giugno 1989 e la rivalutazione anno per anno. Avverso detta sentenza proposero appello gli originari attori. Con sentenza di data 12 marzo 2015 la Corte d’appello di Catania accolse parzialmente l’appello, condannando i convenuti in solido al risarcimento del danno non patrimoniale, quantificato in Euro 220.000,00 in favore di Ca.Ro. , I.C. e I.V. , ed in Euro 250.000,00 in favore di I.G. e I.E. , oltre interessi sulla somma devalutata e la rivalutazione anno per anno. Osservò la corte territoriale in ordine al danno patrimoniale che, come affermato dal Tribunale, avendo gli attori allegato che il reddito da lavoro dichiarato negli anni 1986-1989 era di importo inferiore al triplo della pensione sociale, quest’ultimo non poteva essere utilizzato e che infondatamente era stato invocato il criterio della liquidazione equitativa, sia perchè il danno non era di impossibile o difficile liquidazione e gli appellanti non avevano prodotto le dichiarazioni dei redditi, sia perchè non poteva adoperarsi il parametro equitativo del triplo della pensione sociale essendosi allegato che il suo ammontare era superiore al reddito goduto dalla vittima. Aggiunse, premessa l’unitarietà del danno non patrimoniale, che, avuto riguardo all’importo previsto dalle tabelle del Tribunale di Milano fra Euro 163.900,00 e 327.990,00 per il danno non patrimoniale da perdita del legame parentale e considerati gli aspetti della sofferenza da lutto, l’età di vittima e congiunti, la particolare gravità del fatto, il legame di parentela ed il mutamento successivo delle abitudini di vita, competevano Euro 220.000,00 ciascuno per il coniuge ed i figli C. e V. ed Euro 250.000,00 ciascuno per i figli E. , data la tenera età ed il disturbo post-traumatico da stress, e G. , che aveva assistito al brutale omicidio del padre, secondo i valori monetari attuali. Hanno proposto ricorso per cassazione Ca.Ro. , I.C. , I.V. , I.G. e I.E. sulla base di quattro motivi. È stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis1 c.p.c Il pubblico ministero ha depositato le conclusioni scritte. È stata presentata memoria. Con ordinanza n. 15689 di data 14 giugno 2018 il ricorso è stato rimesso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, le quali, con sentenza n. 33208 di data 21 dicembre 2018, enunciando il relativo principio di diritto, hanno dichiarato la ritualità della notifica del ricorso effettuata nei confronti di C.S. , B. e C. , con trasmissione degli atti per la decisione del ricorso. Il pubblico ministero ha depositato le conclusioni scritte. È stata presentata memoria. Considerato che va premesso, all’esame dei motivi, il rilievo della tardività della memoria depositata il 28 febbraio 2019 rispetto al termine del 25 febbraio 2019. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 32 Cost., artt. 2043, 2056, 2059, 1223 e 1226 c.c., artt. 61, 115 e 189 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che il giudice di appello, coì come il giudice di primo grado, ha fatto riferimento alle Tabelle del Tribunale di Milano, aggiornate al 2014, relative al danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, senza applicare le contestuali Tabelle aventi ad oggetto il danno biologico iure proprio ed omettendo quindi di riconoscere il danno biologico. Aggiungono che si sarebbe dovuta disporre CTU medica ed ammettere i testimoni con riferimento al danno alla salute. Il motivo è fondato. L’accertamento del giudice di appello è limitato al danno non patrimoniale da perdita del legame parentale, come si desume dall’esclusivo riferimento alla relativa voce contemplata dalle Tabelle del Tribunale di Milano al fine della liquidazione del danno non patrimoniale. La morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella correlata sofferenza soggettiva, anche un danno biologico vero e proprio, in presenza di un’effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca, l’uno e l’altro dovendo essere oggetto di separata considerazione come elementi del danno non patrimoniale, ma nondimeno suscettibili - in virtù del principio della onnicomprensività della liquidazione - di liquidazione unitaria Cass. 19 ottobre 2015, n. 21084 8 maggio 2015, n. 9320 3 febbraio 2011, n. 2557 . Come affermato da Cass. 13 aprile 2018 n. 9196, gli aspetti o voci di danno non patrimoniale non rientranti nell’ambito del danno biologico, in quanto non conseguenti a lesione psico-fisica, ben possono essere definiti come danno parentale, attenendo alla sfera relazionale della persona, autonomamente e specificamente configurabile allorquando la sofferenza e il dolore non rimangano più allo stato intimo ma evolvano, seppure non in degenerazioni patologiche integranti il danno biologico, in pregiudizi concernenti aspetti relazionali della vita, ovvero lo sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di un congiunto, poichè il pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia artt. 2, 29 e 30 Cost. . Ai fini dunque della onnicomprensiva liquidazione del danno non patrimoniale, che tenga conto di tutte le sue modalità di manifestazione, deve tenersi conto non solo del danno parentale, ma anche del danno biologico vero e proprio. Erroneamente la corte territoriale ha limitato il giudizio di fatto al piano del danno parentale ed in sede di rinvio dovrà attenersi al richiamato principio di diritto. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 324 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osservano i ricorrenti che il Tribunale aveva quantificato il danno parentale nella misura di Euro 170.000,00 cadauno ricorrendo alla forbice delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano secondo i valori del 2008 compresa fra Euro 106.376,00 e Euro 212.752,00 e dunque nella misura pari al 60% in più del minimo e che invece la Corte d’appello, sulla base delle tabelle aggiornate al 2014, è pervenuta a dei valori superiori in termini assoluti, ma inferiori in termini relativi, perchè l’aumento rispetto al minimo è pari al 52% circa quanto a 250.000,00 e al 32% quanto a 220.000,00. Aggiungono che si sarebbe dovuto muovere dall’applicazione del criterio già applicato dal Tribunale, già oggetto di giudicato interno, partendo da una base di incremento del minimo di almeno del 60% ed incrementando tale somma in relazione alla gravità dell’illecito. Il motivo è fondato. La Corte d’appello ha correttamente preso a parametro della liquidazione del danno non patrimoniale le Tabelle del Tribunale di Milano sulla base del più recente aggiornamento cfr. Cass. 28 giugno 2018, n. 17018 . Nella determinazione del valore, fra il minimo ed il massimo contemplato dalla Tabelle, si è però assestata su una misura inferiore in relazione al minimo tabellare rispetto al valore determinato dal Tribunale sulla base delle Tabelle all’epoca vigenti. Risulta in tal modo violata la misura di distanziamento dal minimo tabellare su cui doveva intendersi raggiunto il giudicato interno. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 30 Cost., artt. 2043, 2056, 2059 e 1226 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che il Tribunale aveva quantificato il danno parentale nella misura di Euro 170.000,00 cadauno ricorrendo alla forbice delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano secondo i valori del 2008 compresa fra Euro 106.376,00 e Euro 212.752,00 e dunque nella misura pari al 60% in più del minimo e che invece la Corte d’appello, sulla base delle tabelle aggiornate al 2014, è pervenuta a dei valori superiori in termini assoluti, ma inferiori in termini relativi, perchè l’aumento rispetto al minimo è pari al 52% circa quanto a 250.000,00 e al 32% quanto a 220.000,00. Aggiungono che la determinazione di un risarcimento inferiore o pari alla media fra minimo e massimo, a fronte di una valutazione di primo grado che si collocava nella parte più elevata della Tabella meno aggiornata, costituisce violazione delle regole legali di quantificazione del danno e che gli elementi indicati dalla Corte d’appello avrebbero dovuto condurre all’applicazione del massimo tabellare. L’accoglimento del precedente motivo determina l’assorbimento del motivo. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost., artt. 2043, 2056, 1223 e 1226 c.c., art. 115 c.p.c. e L. n. 39 del 1977, art. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che, essendo stato provato l’an, il quantum debeatur rispetto al danno patrimoniale doveva essere quantificato in via equitativa ricorrendo al triplo della pensione sociale, quale criterio da applicare nei casi in cui il lavoratore abbia un reddito inferiore o comunque non superiore a quello legale, e che la circostanza che gli attori avessero affermato che il reddito prodotto era inferiore al triplo della pensione sociale non precludeva l’applicazione del detto criterio equitativo. Il motivo è inammissibile. Ha affermato il giudice di appello che per la determinazione del danno non poteva farsi ricorso alla valutazione equitativa perchè il danno non era di impossibile o difficile liquidazione e gli appellanti non avevano prodotto le dichiarazioni dei redditi. Tale ratio decidendi, dotata di autonomia ai fini della decisione, non è stata impugnata dai ricorrenti, i quali si sono limitati ad invocare l’applicazione del criterio equitativo, senza mettere in discussione il rilievo che il danno poteva essere provato nel suo preciso ammontare. La censura resta pertanto priva di decisività. P.Q.M. accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso, dichiarando assorbito il terzo motivo ed inammissibile il quarto motivo cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti rinvia alla Corte di appello di Catania in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.