Spazio della cella inferiore a 3 mq: lo Stato può dimostrare la sussistenza di fattori compensativi

Nel caso in cui il calcolo della superficie a disposizione del carcerato risulti inferiore ai 3 mq, sussiste la forte presunzione della violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, vincibile, alla luce della giurisprudenza della Cedu, attraverso la valutazione dell’esistenza di adeguati fattori compensativi, il cui onere della prova grava sullo Stato convenuto in giudizio.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15923/18, depositata il 18 giugno. La vicenda. Il Tribunale di Brescia respingeva la domanda di risarcimento danni proposta da un detenuto per detenzione non conforme all’art. 3 Cedu per carenza probatoria in relazione al dedotto inadempimento da parte dell’amministrazione carceraria. Nonostante la cella assegnata all’attore avesse una superficie inferiore ai 3 metri quadrati – requisito richiesto dalla norma invocata –, il detenuto aveva infatti a disposizione diverse ore per il passeggio” all’esterno della cella medesima, circostanza da cui il giudice aveva dedotto lo scarso rilievo della superficie disponibile all’interno della cella stessa, unitamente al fatto che tale sistemazione era stata assegnata all’attore per un periodo di tempo limitato. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il soccombente. Spazio minimo. Gli Ermellini richiamano i consolidati principi affermati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha indicato specifici standard dimensionale degli spazi intramurali in modo da garantire ai detenuti requisiti minimi di abitabilità e ferma restando la possibilità per gli Stati membri di prevedere standard dimensionali più elevati. Secondo tali principi, laddove il detenuto sia costretto in una cella collettiva senza che possa disporre singolarmente di uno spazio di almeno 3 mq, lo Stato incorre nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti di cui all’art. 3 Cedu. Nel calcolo della superficie deve essere escluso lo spazio occupato dai servizi igienici e dagli armadi, nonché lo spazio occupato dal letto sia singolo, che a castello . Nel caso in cui il calcolo della superficie a disposizione del carcerato risulti inferiore ai 3 mq, sussiste la forte presunzione” della violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, tutta vincibile, alla luce della giurisprudenza della Cedu, attraverso la valutazione dell’esistenza di adeguati fattori compensativi , tra cui la brevità della restrizione carceraria, la possibilità di svolgere attività in spazi ampi esterni alla cella, l’assenza di aspetti negativi in relazione ai servizi igienici e al decorso complessivo delle condizioni carcerarie. L’onere di dimostrare la sussistenza di tali fattori grava in tal caso sullo Stato convenuto in giudizio. Il Tribunale di Brescia, nel decreto impugnato, non ha fatto buon governo dei principi ricordati, ragione per cui la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e cassa il provvedimento con rinvio al medesimo Tribunale in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 novembre 2017 – 18 giugno 2018, n. 15923 Presidente Tirelli – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. Il Tribunale di Brescia, con decreto n. 11211/2015, ha respinto la domanda di risarcimento danni proposta ex art. 35 ter comma 3 della L. n. 354/1975 per detenzione carceraria non conforme alle prescrizioni dell’art. 3 della C.E.D.U. presso le case circondariali di Brescia e Cremona. Ha ritenuto in particolare, per ciò che concerne l’onere della prova, che, potendosi qualificare la responsabilità dell’amministrazione carceraria come responsabilità da contatto, spettasse al creditore allegare l’inadempimento e incombesse alla debitrice fornire la prova dell’avvenuto adempimento delle citate disposizioni di legge. Sulla base della relazione pervenuta dalla casa circondariale omissis ha ritenuto, comunque, che il sig. S. avesse fruito di uno spazio personale maggiore di 3 metri quadrati escluso il periodo intercorrente fra il 18 febbraio e il 28 aprile 2010 in cui lo spazio disponibile era stato di metri quadrati 2.80. Tuttavia, richiamando la giurisprudenza C.E.D.U. Dulbastru c. Romania dell’8 luglio 2014 che ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 3 della Convenzione ritiene necessario, in presenza di uno spazio personale di poco inferiore ai 3 mq., prendere in esame anche il tempo passato al di fuori della cella, ha potuto rilevare, dalla relazione in atti, che vi era per lo S. la possibilità di trascorrere fuori dalla cella un significativo numero di ore diurne e che pertanto tale organizzazione della vita intramuraria, considerate anche le 4 ore al giorno di passeggio, consente di affermare lo scarso rilievo della superficie disponibile in quanto inferiore di soli 20 cm. rispetto ai 3 mq. di cui alla giurisprudenza più rigorosa che prescinde dalla rilevazione del tempo trascorso al di fuori della cella sentenze Sulejmanovic e Torreggiani c. Italia qualora lo spazio disponibile sia inferiore alla predetta misura di 3 mq. Ai fini del calcolo della superficie disponibile il Tribunale ha escluso la superficie occupata da armadi fissi ma vi ha incluso la superficie occupata da letti, tavolino e armadietti in quanto tali arredi consentono lo svolgimento di attività anche diurne ovvero non incidono sullo spazio libero a disposizione. 2. Ricorre per cassazione S.M. deducendo a nullità, ex art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione o falsa applicazione degli artt. 1 comma 1 e 6 , 5, 6, 7, 8, 35 ter comma 3 , dell’art. 69 lett. b della legge n. 354/1975 nonché dell’art. 3 della Convenzione E.D.U., in relazione agli errori di sussunzione commessi dal Tribunale nel qualificare come ipotesi di avvenuta osservanza delle succitate disposizioni una situazione di detenzione tale da cagionare grave pregiudizio per evidente violazione dello spazio minimo vitale di 3 mq per ciascun detenuto, di fatto riconducibile al disposto normativo applicabile b correlata nullità, ex art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., in tema di violazione dei principi di disponibilità e valutazione delle prove e del correlato art. 6 C.E.D.U. in tema di equo processo. Ritenuto che 3. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente rileva che il Tribunale ha errato nel calcolare la superficie minima vitale a disposizione nei periodi dal 18.2.2010 al 19.9.2011 e dal 12.9.2011 al 20.12.2013 in quanto, dalle stesse dimensioni delle celle e dal numero dei concellini, risultanti dalla relazione della casa circondariale, può evincersi che il ricorrente ha trascorso 222 giorni in una cella avente 2 mq di spazio pro capite, 36 giorni in una cella avente 2,3 mq di spazio pro capite e 21 giorni in una cella avente 2,5 mq di spazio pro capite per un totale di 279 giorni trascorsi in celle non conformi alle prescrizioni della sentenza Torreggiani. Il ricorrente rileva anche che, sotto il profilo degli altri parametri in base ai quali deve essere valutata la dignità della condizione detentiva quali la possibilità di utilizzare i servizi igienici in maniera riservata, la areazione, l’accesso alla luce e all’aria, la qualità del riscaldamento e il rispetto delle esigenze minime sanitarie la decisione del Tribunale bresciano si pone in contrasto con la giurisprudenza C.E.D.U Mentre, quanto alle attività formative e ricreative messe a disposizione dall’amministrazione carceraria, il ricorrente rileva che è necessaria una ricognizione, non compiuta dal Tribunale, della concreta possibilità di fruire di tali attività e, per altro verso, della costrizione del detenuto a doverne fruire al solo fine di sottrarsi alla angustia dello spazio disponibile in cella. 4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce che il Tribunale non ha posto alla base della propria decisione le corrette risultanze desumibili dalle prove offerte dalle parti in particolare non ha tenuto conto correttamente della tabella n. 5 che descrive le metrature delle celle e il numero dei concellini. Ritenuto che 5. Il ricorso, che va esaminato unitariamente, è fondato. 6. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha indicato specifici standard dimensionali della superficie degli spazi intramurali idonei a consentire ai detenuti di fruire di requisiti minimi di abitabilità, ferma restando per gli Stati aderenti alla C.E.D.U. di prevedere standard dimensionali più elevati. Tali standard integrano ex artt. 11 e 117 della Costituzione il parametro normativo di riferimento per il giudice di merito, la cui violazione è censurabile in sede di legittimità a norma dell’art. 360 n. 3 c.p.c., mentre è censurabile a norma dell’art. 360 n. 5 c.p.c. l’omesso esame di fatti decisivi per la ricostruzione della fattispecie concreta. 7. Lo Stato incorre nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’art. 3 della Cedu, così come interpretato dalla conforme giurisprudenza della Corte Edu con sentenza dell’8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia , quando il detenuto in una cella collettiva non possa disporre singolarmente di almeno 3 mq. di superficie, detraendo l’area destinata ai servizi igienici e agli armadi, appoggiati o infissi stabilmente alle pareti o al suolo, mentre non rilevano gli altri arredi facilmente amovibili come sgabelli o tavolini. Dal calcolo della superficie va espunto lo spazio del letto sia a castello che singolo, essendo in entrambi i casi compromesso il movimento del detenuto nella cella infatti, se è vero che lo spazio occupato dal primo è usufruibile per il riposo e l’attività sedentaria, è anche vero che tali funzioni organiche vitali sono fisiologicamente diverse dal movimento , il quale postula, per il suo naturale esplicarsi, uno spazio ordinariamente libero Cass., 1 sez. pen., n. 12338 del 2017, Agretti . 8. Qualora la superficie utilizzabile sia inferiore ai 3 mq. sussiste la forte presunzione della violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, tuttavia vincibile, alla luce della giurisprudenza della Corte Edu sentenza del 20 ottobre 2016, Grande Camera, Mursic c. Croazia , attraverso la valutazione dell’esistenza di adeguati fattori compensativi che si individuano nella brevità della restrizione carceraria, nell’offerta di attività da svolgere in spazi ampi all’esterno della cella, nell’assenza di aspetti negativi relativi ai servizi igienici e nel decoro complessivo delle condizioni di detenzione Cass., 1 sez. pen., n. 11980 del 2017, Mocanu 1 sez. pen., n. 52819 del 2016, Sciuto . L’onere di dimostrare la sussistenza di tali fattori nel caso concreto grava sullo Stato convenuto in giudizio, una volta accertato che lo spazio individuale sia stato inferiore ai 3 mq. 9. Di questi principi il decreto impugnato ha fatto erronea applicazione. Il Tribunale non ha infatti tenuto conto delle indicazioni provenienti dalla casa circondariale di Brescia che attestano un periodo di detenzione del ricorrente superiore ai 15 giorni in celle che consentivano uno spazio individuale di movimento inferiore ai 3 mq. Ai fini del calcolo di tale standard minimo non ha detratto l’area destinata ai servizi igienici e lo spazio occupato dal letto. Inoltre ha ritenuto genericamente rilevanti come fattori compensativi le attività trattamentali mattinali e pomeridiane senza tenere conto del limitato spazio temporale dal 18.2.2010 al 28.4.2010 in cui tali attività sono state disponibili e senza valutare la effettiva fruibilità da parte del ricorrente di tali attività nonché senza prendere in considerazione la non qualificabilità come fattori compensativi delle attività cui il detenuto in assenza di una sua adesione effettiva al loro contenuto sarebbe stato costretto ad avvalersi al solo scopo di sottrarsi alle condizioni degradanti della propria cella. 10. Il ricorso va pertanto accolto e il decreto cassato con rinvio al Tribunale di Brescia che, in diversa composizione riesaminerà la controversia alla stregua dei criteri sopra indicati. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Brescia che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.