Zona vietata ai veicoli: niente risarcimento per la caduta del ciclista

Il capitombolo si è verificato in un tratto in cui, come da delibera comunale, era proibito l’accesso ai veicoli. La scelta del ciclista di passare su quella strada gli impedisce di addebitare al Comune la responsabilità per la disavventura vissuta.

Illegale il passaggio delle bici nella ‘zona a traffico limitato’ inequivocabile il contenuto della delibera del Comune, e ben visibile la segnaletica relativa al divieto di accesso”. Ciò significa che il ciclista che ignora quel ‘blocco’ non può pretendere un risarcimento per la caduta subita proprio durante una pedalata nell’area vietata alle bici Cassazione, ordinanza n. 7769/18, sezione III Civile, depositata oggi . Area. Una volta ripresosi dalla disavventura – in una città dell’Abruzzo –, il ciclista addebita la caduta da lui subita alle cattive condizioni del manto stradale . Logico passaggio successivo è la chiamata in causa del Comune. Per i Giudici, però, la richiesta di risarcimento va respinta, poiché nessuna responsabilità è addebitabile all’ente locale. Decisivo in quest’ottica è il richiamo alla delibera comunale con cui la zona in cui si è verificato il capitombolo era interdetta al transito di veicoli , biciclette incluse. Ciò significa che il ciclista non poteva invocare la responsabilità dell’amministrazione comunale per omessa custodia di un’area alla quale non avrebbe dovuto neppure accedere . Questa valutazione è condivisa dalla Cassazione, dove viene ricordato che ai Comuni non è precluso adottare regole più restrittive di quelle fissate dal Codice della strada . Assolutamente legittima, quindi, la scelta di vietare il passaggio delle biciclette nel tratto di strada teatro della caduta. E quel divieto era facilmente conoscibile, soprattutto tenendo conto della presenza della segnaletica di divieto di accesso .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 16 novembre 2017 – 29 marzo 2018, n. 7769 Presidente Di Amato – Relatore D’Arrigo Ritenuto Do. Ce. ha convenuto in giudizio il Comune di Pescara al fine di ottenere il risarcimento dei danni conseguenti a una caduta dalla bicicletta, secondo lui dovuta alle cattive condizioni in cui versava il manto stradale, con conseguente responsabilità dell'ente ex art. 2051 cod. civ. Il Tribunale di Pescara ha rigettato la domanda, rilevando anzitutto che l'incidente si era verificato in una zona interdetta al transito di veicoli, sicché l'attore non poteva invocare la responsabilità dell'amministrazione comunale per omessa custodia di un'area alla quale non avrebbe dovuto neppure accedere. Inoltre, ha ritenuto che fosse ravvisabile un caso fortuito, tale da interrompere il nesso eziologico ed escludere la responsabilità del custode, nella condotta del Ce., non rispondente ai canoni di media attenzione e di esigibile diligenza, in relazione alle circostanze di tempo e di luogo in cui ebbe a verificarsi il sinistro in pieno giorno, in una strada rettilinea e con visuale ampia e libera . La Corte d'appello di L'Aquila, con ordinanza del 12 settembre 2014, ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell'art. 348-bis cod. proc. civ., l'impugnazione proposta dal Ce Quest'ultimo ha quindi proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, avverso la decisione di primo grado, ai sensi dell'art. 348-ter, terzo comma, cod. proc. civ. Il Comune ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie nei termini previsti dall'art. 380-bis-1 cod. proc. civ. Considerato 1. La motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata. 2. Con il primo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 3, comma 54, e 7, comma 9, cod. strada, nonché dell'art. 113 cod. proc. civ. In particolare, il Ce. contesta che l'area nella quale si è verificato l'incidente fosse interdetta al traffico ciclistico. La prova fotografica valutata dal tribunale non sarebbe dovuta essere ritenuta sufficiente, in quanto non univoca, a fondare il convincimento del giudice. Quest'ultimo avrebbe dovuto procedere ad acquisire ex officio la delibera del Comune di Pescara che istituiva la zona a traffico limitato in quella determinata area e constatare a quali specie di veicoli si riferisse. Il motivo è inammissibile. L'affermazione del tribunale secondo cui la zona in cui si è verificato il sinistro era preclusa al transito anche delle biciclette non è basata sull'applicazione diretta degli artt. 3 e 7 cod. strada che il ricorrente assume essere stati violati , bensì sulla constatata esistenza di segnaletica stradale che limitava il traffico veicolare. Poiché ai comuni non è precluso adottare regole più restrittive di quelle fissate dal codice della strada, non ha alcun rilievo pratico la questione, prospettata nel ricorso, se nelle zone a traffico limitato sia interdetto - a norma dell'art. 3, comma 54, cod. strada - il transito di biciclette e se le stesse possano considerarsi o meno veicoli . Ciò che è stato ritenuto decisivo dal tribunale è la sussistenza di una delibera comunale che in concreto vietava in quel tratto il passaggio delle biciclette. L'esistenza di tale delibera è stata desunta dalla segnaletica di divieto di accesso raffigurata nelle fotografie prodotte nel giudizio di merito dallo stesso Ce Il motivo, nella seconda parte, si incentra sull'inidoneità della menzionata prova fotografica, ma finisce per postulare un apprezzamento di merito necessariamente precluso nell'ambito del giudizio di legittimità. 3. Con il secondo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell'art. 2051 cod. civ. Il motivo si riferisce esclusivamente alla seconda ratio decidendi, quella in cui è stato rilevato che - quand'anche si fosse ritenuta sussistente, per ipotesi, la responsabilità del comune per cose in custodia - la condotta disattenta e negligente del Ce. avrebbe comunque determinato l'interruzione del nesso eziologico. Anche questo motivo è inammissibile. Infatti, la già rilevata inammissibilità del primo motivo di ricorso determina la sopravvivenza del percorso argomentativo principale, da solo idoneo a sorreggere la decisione. Consegue l'inammissibilità della censura per carenza di interesse a impugnare solo una delle ragioni della decisione Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631 da ultimo Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158 . 4. Con il terzo motivo violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. il ricorrente si duole dell'omessa compensazione delle spese processuali. Il motivo è infondato in quanto l'art. 92 cod. proc. civ., nella versione applicabile ratione temporis al presente giudizio, dispone che il giudice possa far luogo a compensazione delle spese processuali solamente quando concorrono gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere esplicitamente indicate nella motivazione. Il tribunale, pertanto, ha fatto corretta applicazione del principio della soccombenza, ponendo le spese del giudizio a carico della parte la cui domanda è stata rigettata. È del tutto inappropriato il riferimento, da parte del ricorrente, alla pretesa temerarietà della difesa del Comune di Pescara, manifestamente insussistente dal momento che lo stesso è risultato vittorioso in tutti i gradi. Né vale invocare la buona fede dell'attore, giacché l'affermazione della soccombenza non richiede l'accertamento della colpa o della malafede di chi agisce in giudizio, che costituiscono semmai i presupposti per la responsabilità processuale aggravata. 5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e le spese del giudizio di legittimità devono essere poste a carico del ricorrente, ai sensi dell'art. 385, comma primo, cod. proc. civ., nella misura indicata nel dispositivo. Ricorrono altresì i presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sicché va disposto il versamento, da parte dell'impugnante soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550 . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis, dello stesso art. 13.