Brutta caduta a causa di una buca sulla strada, esclusa però la responsabilità del Comune

Escluso il risarcimento, riconosciuto inizialmente in Tribunale. Decisiva la constatazione che il fosso presente in strada era di modeste dimensioni, e quindi facilmente evitabile prestando maggiore attenzione alla propria camminata. La Corte di Cassazione conferma la decisione assunta dalla Corte d’Appello.

Brutta caduta per una signora, ‘tradita’, durante un giro alla sagra paesana, da una buca presente sulla strada. Nessun risarcimento però da parte del Comune, poiché il fosso era poco profondo e, secondo i giudici, facilmente evitabile camminando con attenzione Cassazione, ordinanza n. 7887/18, sez. VI Civile - 3, depositata oggi . Insidia. Scenario del capitombolo è una sagra in un piccolo paese calabrese. Sfortunata protagonista è una donna, che, mentre passeggia e si gode la festa, finisce a terra a causa della buca esistente sul manto stradale . Sotto accusa, ovviamente, il Comune, che in Tribunale viene ritenuto responsabile per la disavventura e condannato a versare alla donna oltre 6mila e 600 euro come risarcimento . Tale decisione viene però smentita in Corte d’appello, dove viene che escluso che la buca fosse realmente un’insidia . E questa valutazione è condivisa ora anche dalla Cassazione, che esclude definitivamente l’ipotesi di risarcimento per i danni provocati dalla caduta. Anche per i Giudici del Palazzaccio non vi è la prova che la buca costituisse un’insidia , né è stato dimostrato con certezza il collegamento tra il fosso e il capitombolo . In questa ottica è ritenuta decisiva la constatazione che si trattava di una buca poco profonda, di modeste dimensioni , tale quindi da poter essere evitata prestando una semplice attenzione nel camminare , concludono i giudici, ritenendo implicitamente colpevole la donna.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 30 gennaio – 29 marzo 2018, n. 7887 Presidente Amendola – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. Norma Pastore convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Cosenza, Sezione distaccata di Acri, il Comune di Bisignano chiedendo il risarcimento dei danni da lei patiti in conseguenza di una caduta, asseritamente dovuta alla presenza di una buca esistente sul manto stradale, durante la partecipazione ad una festa paesana. Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale accolse la domanda e condannò il Comune al risarcimento dei danni, liquidati nella somma di Euro 6.614,84, con il carico delle spese di giudizio. 2. La pronuncia è stata appellata dal Comune di Bisignano e la Corte d'appello di Catanzaro, con sentenza del 28 ottobre 2015, in riforma della decisione del Tribunale ha rigettato la domanda della Pastore, condannandola alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio. 3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Catanzaro ricorrono Fr., Fr. e Be. Fe., nella qualità di eredi della defunta Norma Pastore, con unico atto affidato a due motivi. Resiste il Comune di Bisignano con controricorso. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e i ricorrenti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 346 e 112 cod. proc. civ., nonché degli artt. 2043 e 2051 cod. civ. con il secondo si lamenta, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2051 del codice civile. Osservano i ricorrenti che la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere preclusa la possibilità di inquadrare i fatti nell'ipotesi normativa dell'art. 2051 del codice civile. Non si sarebbe formato, infatti, alcun giudicato, tanto più che l'originaria attrice non aveva qualificato la propria domanda come risarcitoria, sicché l'art. 2051 cit. doveva essere applicato e l'appello rigettato, poiché tale norma pone a carico del custode l'obbligo di provare l'esistenza del fortuito. 2. I due motivi, da trattare congiuntamente, sono, quando non inammissibili, comunque infondati. La sentenza impugnata, infatti, ha premesso, con un'affermazione che non è superata dai ricorrenti se non con generiche affermazioni, che la domanda era stata inquadrata dal giudice di primo grado come azione risarcitoria di cui all'art. 2043 cod. civ. dopo di che, con un accertamento in fatto non suscettibile di riesame in questa sede, ha affermato che non era stata raggiunta la prova né del fatto che la buca fosse realmente un'insidia né della sussistenza del nesso di causalità tra la buca e l'evento lesivo. Ed ha aggiunto che si trattava di una buca poco profonda, di modeste dimensioni, tale da poter essere evitata prestando una semplice attenzione nel camminare. Tale ricostruzione in fatto è sufficiente a condurre al rigetto del ricorso e rende irrilevante stabilire se la domanda sia stata posta effettivamente ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. ovvero dell'art. 2051 del codice civile. Ed infatti, ferma restando la diversità tra le due norme soprattutto in ordine al riparto dell'onere della prova ed al tipo di prova liberatoria che il custode è chiamato a fornire v., tra le altre, la sentenza 5 agosto 2013, n. 18609 , l'accertata mancanza della prova positiva dell'esistenza del nesso di causalità tra la caduta e la buca condurrebbe al rigetto del ricorso anche nell'ipotesi in cui l'art. 2051 cod. civ. fosse stato invocato a sostegno della domanda fin dal giudizio di primo grado, posto che, anche facendo applicazione di tale norma, l'onere della prova dell'esistenza di tale nesso è a carico del danneggiato ordinanza 11 maggio 2017, n. 11526 . 3. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale esito segue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono inoltre le condizioni di cui all'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.