Due figli morti dopo il vaccino ‘Sabin’: niente risarcimento

Esclusa dai Giudici ogni responsabilità del Ministero della Salute per l’esito infausto delle vaccinazioni, che hanno anche provocato una grave invalidità permanente in un terzo figlio. La situazione di immunodeficienza dei tre bambini non era nota, e comunque il vaccino ‘Sabin’ – poi sostituito dal ‘Salk’ – era l’unico disponibile all’epoca.

Nessun addebito è possibile nei confronti dello Stato per le tragiche ripercussioni provocate dal vaccino antipolio su tre fratellini, due deceduti e uno colpito da invalidità permanente. Decisiva la constatazione che non erano conosciute le carenze congenite del sistema immunitario dei tre bambini, carenze che comunque non avrebbero potuto portare all’utilizzo di un vaccino diverso, essendo all’epoca, cioè metà anni sessanta e inizio anni ottanta, disponibile solo il ‘Sabin’ Cassazione, ordinanza n. 6846/18, sez. III Civile, depositata il 20 marzo . Vaccinazione. La vicenda giudiziaria approdata in Cassazione ha origine nella tragedia che colpisce una famiglia veneta tra la metà degli anni sessanta e l’inizio degli anni ottanta due figli muoiono e un terzo figlio viene colpito da grave invalidità, tutti dopo essere stati sottoposti alla vaccinazione antipolio ‘Sabin’. I familiari chiamano in causa nel 2004 il Ministero della Salute, chiedendo un adeguato ristoro economico per il dramma vissuto e sostenendo che tutto abbia avuto origine con la somministrazione da parte del Servizio Sanitario Nazionale della vaccinazione antipolio , che ha provocato danni poiché effettuata su bambini con alterazioni congenite del sistema immunitario . La richiesta di risarcimento viene però respinta, prima in Tribunale e poi in Corte d’appello. Secondo i Giudici, l’omessa indicazione , attribuibile al Ministero, della immunodeficienza fra le cause di sospensione della somministrazione del vaccino non ha avuto efficienza causale nella tragedia vissuta dalla famiglia veneta, soprattutto perché all’epoca delle vaccinazioni non erano emersi elementi diagnostici da cui poter evincere ex ante che i bambini fossero affetti da tale immunodeficienza . Responsabilità. Ultima tappa della vicenda giudiziaria è la Cassazione, dove i familiari – genitori e fratelli – dei due bambini morti chiedono ancora una volta di vedere riconosciuta la responsabilità del Servizio Sanitario Nazionale e, quindi, del Ministero della Salute. Il ricorso discusso a dicembre dello scorso anno in un’aula del ‘Palazzaccio’ si è rivelato però inutile. I magistrati della Cassazione hanno difatti ritenuto corrette le valutazioni compiute in Appello, valutazioni che, come detto, sono nette nell’escludere una colpa del Ministero nei drammatici problemi subiti dai tre bambini a seguito della vaccinazione antipolio. In primo luogo, ragionando sul tema della presunta immunodeficienza, viene osservato che anche qualora il Ministero, correttamente operando, avesse indicato tra le ipotesi di sospensione della somministrazione del vaccino la situazione di immunodeficienza , comunque i medici avrebbero somministrato il vaccino poiché non vi erano elementi clinici obiettivi da cui poter diagnosticare nei bambini uno stato di immunodeficienza . E peraltro, viene aggiunto, la vaccinazione del primo bambino avvenne a metà anni sessanta e quella del secondo bambino a fine anni settanta, cioè in epoca anteriore rispetto all’insorgere dei primi allarmi nella comunità scientifica sul vaccino ‘Sabin’. In sostanza, il medico ha agito in modo corretto e con la dovuta diligenza , alla luce del patrimonio informativo di cui era in possesso all’epoca della vaccinazione . Tirando le somme, i Giudici della Cassazione concordano con la Corte d’Appello nell’escludere un nesso di causalità tra la condotta ascrivibile al Ministero della Salute e l’esito infausto delle vaccinazioni .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 5 dicembre 2017 – 20 marzo 2018, n. 6846 Presidente Travaglino – Relatore D’Arrigo Ritenuto Con atto di citazione del 2004, Gi. Tr., la moglie Fr. Ma. e i figli Lu. ed Al. convenivano in giudizio il Ministero della salute chiedendo il risarcimento, iure proprio e iure hereditario, dei danni da morte dei congiunti Ma. e An. Tr., asseritamente deceduti per effetto della somministrazione, da parte del SSN, della vaccinazione antipolio, nella specie controindicata a causa di alterazioni congenite del sistema immunitario nonché dei danni derivanti dall'invalidità permanente dell'attore Al. Tr., causata con le stesse modalità dalla medesima vaccinazione. Il Tribunale di Venezia riteneva fondata l'eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni subiti da Al. Tr. e rigettava nel merito la domanda di risarcimento del danno per i decessi di Ma. e An. Tr., ravvisando che l'omessa indicazione della immunodepressione fra le cause di sospensione della somministrazione del vaccino non avesse avuto efficienza causale nella generazione dell'evento, in quanto non erano emersi elementi diagnostici dai quali potesse evincersi ex ante che i bambini fossero affetti da tale immunodeficienza. Adita dagli attori, nel contraddittorio con il Ministero convenuto, che proponeva appello incidentale, la Corte d'appello di Venezia, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la decisione di primo grado, rigettando entrambe le impugnazioni. Avverso tale decisione ricorrono Gi., Lu. e Al. Tr., quest'ultimo assistito dal curatore Gi. Tr., anche quali eredi di Fr. Ma., nel frattempo deceduta. A sostegno del ricorso vengono esposti cinque motivi. Il Ministero della salute resiste con controricorso. I ricorrenti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 380-bis-1 cod. proc. civ. Considerato 1. In applicazione del principio processuale della ragione più liquida - desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. Sez. U, Sentenza n. 9936 del 08/05/2014, Rv. 630490 - è opportuno esaminare anzitutto il quinto motivo del ricorso, relativo al nesso causale, suscettibile di assicurare da solo la definizione del giudizio. 2. Con tale motivo si deduce l'omesso esame di fatti decisivi che hanno formato oggetto di discussione fra le parti, individuati nella tardiva introduzione del vaccino Salk e nella mancata adozione di rigorose modalità idonee a minimizzare i rischi della vaccinazione. Nell'ambito del medesimo motivo si deduce altresì la violazione o falsa applicazione dell'art. 1176 cod. civ. La parte della sentenza d'appello che si intende censurare con tali doglianze è quella nella quale i giudici di merito sono pervenuti alla conclusione dell'inesistenza di un nesso causale tra il comportamento asseritamente colposo del Ministero e il danno lamentato, osservando che, anche laddove fosse stato espressamente previsto nel protocollo di somministrazione del vaccino che questa fosse sospesa ai bambini immunodepressi, nel caso di specie si sarebbe comunque proceduto a somministrare il farmaco in quanto ex ante né Ma. né An. presentavano alcun sintomo o, comunque, una storia clinica da cui poter evincere che fossero bambini immunodepressi . 3. Il motivo è infondato. La censura in esame non coglie la ratio decidendi che si intende censurare. La decisione della corte territoriale, infatti, si incentra sull'assenza di evidenze per le quali ai bambini non si sarebbe dovuta somministrare la vaccinazione antipolio di tipo Sabin. Sulla base delle risultanze di apposita consulenza tecnica d'ufficio, i giudici di merito sono pervenuti alla conclusione che, anche qualora il Ministero, correttamente operando, avesse indicato fra le ipotesi di sospensione della somministrazione del vaccino la situazione di immunodeficienza, i sanitari avrebbero comunque somministrato il vaccino in entrambi i casi, in quanto non vi erano elementi clinici obiettivi da cui poter diagnosticare nei bambini uno stato di immunodeficienza. Rispetto a tale ragionamento, i fatti dei quali sarebbe stato asseritamente omesso l'esame, ossia la tardiva introduzione del vaccino Salk e la mancata adozione di modalità idonee a minimizzare i rischi della vaccinazione, non hanno alcuna incidenza. 4. In particolare, in tema di responsabilità del Ministero della salute per i danni conseguenti alla vaccinazione obbligatoria contro la poliomielite, questa Corte ha già rilevato che la normativa nazionale aveva previsto in un primo tempo che tale vaccinazione si svolgesse con il sistema del virus attenuato Sabin e, successivamente, con quello del virus inattivato Salk , essendo stata riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale l'astratta pericolosità del primo tipo di vaccino in determinate situazioni. Conseguentemente, ai fini dell'accertamento della responsabilità del Ministero, una volta dimostrato che il danno si sia verificato in conseguenza della vaccinazione col sistema Sabin, il giudice di merito è tenuto a verificare se la pericolosità di quel vaccino fosse o meno nota all'epoca dei fatti e se sussistessero, alla stregua delle conoscenze di quel momento, ragioni di precauzione tali da vietare quel tipo di vaccinazione o da consentirla solo con modalità idonee a limitare i rischi ad essa connessi Sez. 3, Sentenza n. 9406 del 27/04/2011, Rv. 617748 . 5. Di tale verifica risulta essersi fatta correttamente carico la corte d'appello, anche in considerazione del fatto che la vaccinazione di Ma. Tr. avvenne fra il giugno del 1966 e il maggio del 1968 e quella del fratello An. fra il luglio del 1977 e il settembre del 1980, ossia in epoca anteriore rispetto all'insorgenza dei primi allarmi nella comunità scientifica la citata sentenza n. 9406 del 27/04/2011 si riferisce ad una vaccinazione effettuata nel 1981 . D'altro canto, la correttezza di tale verifica non costituisce oggetto di una pertinente censura. Al tema sono dedicate soltanto le ultime pagine del ricorso da pag. 91 , nelle quali si deduce la violazione o falsa applicazione dell'art. 1176 cod. civ. Anche a voler prescindere dalla circostanza che la disposizione in materia di diligenza nell'adempimento delle obbligazioni contrattuali è invocata a sproposito nell'ambito di una domanda giudiziale di responsabilità extra contrattuale del Ministero non risulta, infatti, che i Tr. avessero proposto, in alternativa, anche l'azione di responsabilità contrattuale v. par. 9 , si deve rilevare che la stessa si risolve in una generica contestazione delle conclusioni cui è pervenuta la corte d'appello. In sostanza, i ricorrenti si dolgono, con particolare riferimento alla morte del piccolo An., della circostanza che l'ufficiale sanitario avrebbe dovuto procedere con diversa cautela, in considerazione della sua nascita prematura e del precedente infausto che aveva riguardato il primogenito Ma La questione viene espressamente affrontata dalla corte d'appello, che sul punto osserva quanto al piccolo An., la sua qualità di nato prematuro non poteva assumere rilevanza nel caso di specie. Infatti, secondo le linee guida relative alla somministrazione del vaccino ai nati prima del termine, essa doveva essere effettuata secondo l'età cronologica del bambino non corretta dalla prematurità. Nel caso di specie inoltre è pacifico in atti che An. fu vaccinato ben dopo il termine stabilito, all'età di nove mesi, proprio per i timori dei genitori di sottoporre il figlio a tale vaccinazione, vista la pregressa tragica esperienza, di talché tale elemento non poteva far propendere per una sospensione della somministrazione. Del pari dalla storia clinica di An. non emerge che il bambino avesse contratto patologie infettive rilevanti. Sono stati infatti documentati due ricoveri ospedalieri di tre o quattro giorni per patologie non significative in ordine a un'eventuale sospetto di diagnosi di immunodepressione nel bambino. Quanto poi al precedente decesso del primogenito Ma., verosimilmente portato a conoscenza dai genitori ai sanitari, è anch'esso un elemento che, ex ante, non poteva indurre i medici a ritenere presenti nei bambini una familiarità per deficit immunitari. All'epoca infatti erano rimaste ancora sconosciute le cause del decesso del piccolo Ma., tanto che esso è stato ricollegato solo ex post, alla luce dei tragici avvenimenti successivi, ad una sospetta situazione di immunodeficienza familiare in assenza di alcun elemento da cui poter desumere che il precedente decesso era legato sia alla somministrazione del vaccino che ad una non diagnosticata situazione di immunodeficienza, appariva corretto non procedere alla sospensione della somministrazione . Tali argomenti, in base ai quali viene sostanzialmente escluso ogni addebito colposo del Ministero, non risultano fatti oggetto di convincente critica. I ricorrenti, infatti, si limitano ad osservare che al medico vaccinatore non era richiesta una valutazione complessa, ma semplicemente di operare con prudenza e con la diligenza richiesta a qualsiasi buon padre di famiglia . Tale asserzione, in sé corretta, non reca però alcuna censura di legittimità alla decisione della corte d'appello che, per l'appunto, ha infatti ritenuto che il medico vaccinatore avesse agito, in relazione al patrimonio informativo di cui era in possesso al tempo della vaccinazione, con la dovuta diligenza. 6. Quanto all'adozione - asseritamente tardiva - del vaccino Salk vaccino inattivato da somministrare ai soggetti per i quali era controindicato il vaccino Sabin si deve rilevare, da un lato, che la circostanza che l'introduzione di tale farmaco avvenuta in Italia nel 1984 fosse tardiva rispetto alle conoscenze medico-scientifiche del tempo è priva di ogni riscontro, restando legata, nella sostanza, alla sola prospettazione degli attori per altro verso, secondo quanto riconosciuto dagli stessi ricorrenti, il vaccino Salk era destinato ai soli soggetti immunodeficienti, sicché si ripropone la questione della mancanza di elementi di anamnesi in forza dei quali si potesse sospettare che i bambini soffrissero di una simile condizione deficitaria. In sostanza, il fatto di cui sarebbe stato omesso l'esame non risulta decisivo ai fini di inficiare il ragionamento argomentativo della corte d'appello in ordine alla carenza del nesso di causalità. 7. In conclusione, il giudici di merito hanno ritenuto – con argomentazioni immuni da vizi di legittimità - l'insussistenza di un nesso di causalità fra la condotta ascrivibile al Ministero della salute e l'esito infausto delle vaccinazioni cui sono stati sottoposti i fratellini Tr All'epoca dei fatti non vi era alcuna evidenza dello stato di immunodeficienza congenita da cui erano afflitti. Il decesso di Ma. Tr., accaduto qualche anno prima, non era stato posto in correlazione con la somministrazione del vaccino antipolio questa ipotesi venne presa in considerazione solamente dopo l'esito infausto della due vaccinazione degli due fratellini. Pertanto, l'eventuale tardiva adozione di protocolli idonei a minimizzare i rischi nei bambini immunodepressi è stata ritenuta inefficiente sul piano causale, dal momento che nulla lasciava presagire che Ma., da un lato, An. e Al., dall'altro, fossero immunodepressi. In ogni caso, quand'anche fosse stata rilevata la possibile incompatibilità fra il vaccino di tipo Sabin e lo stato di immunodeficienza, negli anni in cui le vaccinazioni sono state eseguite non si sarebbe comunque potuto fare nulla di diverso da ciò che è stato fatto, non essendo ancora disponibile il vaccino Salk. L'ultima delle somministrazioni venne effettuata nel 1979, allorquando non risulta che non solo il Ministero, ma neppure la comunità scientifica internazionale, avessero sentore dei rischi connessi al vaccino di tipo Sabin per i bambini immunodepressi. 8. L'inesistenza del nesso di causalità comporta l'assorbimento delle numerose questioni primo e secondo motivo relative alla decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno e alla sua eventuale interruzione. Questione che, ai sensi dell'art. 2947, terzo comma, cod. civ., riguarda solamente Al. Tr., per il quale il fatto-reato ipotizzabile è quello di lesioni colpose gravissime con termine di prescrizione di cinque anni e non anche le morti di Ma. e An. Tr. essendo in tal caso configurabile in astratto il diverso reato di omicidio colposo, per il quale opera il più lungo termine prescrizionale di 10 anni . Infatti, anche a voler ammettere - per ipotesi - che il termine di prescrizione non fosse decorso, l'esito nel giudizio non sarebbe potuto essere diverso dal rigetto della domanda per difetto del nesso causale fra la condotta addebitata al Ministero della salute e i danni riportati dai fratelli Tr 9. Altrettanto può dirsi in relazione al terzo motivo di ricorso, con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., sostenendo i ricorrenti di aver dedotto fin dal principio la responsabilità non solo extracontrattuale, ma anche contrattuale del Ministero convenuto. La questione viene dedotta al solo fine di dimostrare che il termine prescrizionale applicabile sarebbe stato quello decennale previsto dall'art. 2946 cod. civ., piuttosto che quello di cui all'art. 2947 cod. civ. Quindi, per le stesse ragioni esposte nel paragrafo precedente, la doglianza è assorbita dall'accertamento dell'insussistenza del nesso di causalità. In ogni caso, tutto ciò che potrebbe derivare dalla differenza fra le due azioni v. par. 10 , è opportuno aggiungere che non basta a configurare la formulazione di una specifica domanda di responsabilità contrattuale la semplice indicazione, nelle conclusioni dell'atto di citazione, dell'art. 1176 cod. civ. Com'è noto, infatti, la rituale formulazione di una domanda giudiziale richiede l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che ne costituiscono le ragioni, non essendo sufficiente rassegnare solo le relative conclusioni art. 163, terzo comma, n. 4, cod. proc. civ. . Dalla lettura del ricorso, nei limiti della cui autosufficienza è possibile indagare la fondatezza della doglianza, non risulta che, al di là della generica indicazione dell'art. 1176 cod. civ., i Tr. avessero illustrato nell'atto di citazione gli elementi costitutivi della responsabilità contrattuale. L'indagine deve essere limitata al contenuto dell'atto di citazione, non essendo consentito alle parti introdurre domande nuove nel prosieguo del giudizio. 10. Con il quarto motivo si deduce l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, indicato genericamente nell'inidonea organizzazione del Ministero. I ricorrenti sostengono, in particolare, che nell'atto introduttivo del giudizio avevano chiaramente rappresentato che il Ministero convenuto era, al tempo delle vaccinazioni di cui è causa, non solo il garante della salute pubblica, con le discendenti responsabilità di controllo sull'operato, ma anche e soprattutto l'organizzatore diretto delle campagne di vaccinazione, attraverso la ramificata rete dei propri organi periferici, vale a dire gli uffici dei Medici provinciali e degli Ufficiali sanitari. Da quanto sopra sarebbe dovuta discendere non solo la responsabilità da contatto sociale , ma anche quella derivante dalla violazione del cosiddetto contratto di spedalità , per insufficiente o inidonea organizzazione. Il motivo è infondato. Per quanto è dato di comprendere, la doglianza è strettamente collegata a quella esaminata nel paragrafo precedente. Infatti, la pretesa violazione del cosiddetto contratto di spedalità sembra dedotta, essenzialmente, per sostenere l'applicabilità, sul piano sia della prescrizione, sia dell'onere probatorio, del regime della responsabilità contrattuale, in luogo di quella della responsabilità extracontrattuale. Consegue che risulta decisivo il rilievo, cui si è pervenuti già nelle pagine precedenti, dell'omessa proposizione di una domanda di responsabilità contrattuale nei confronti del Ministero convenuto. Tale circostanza rende del tutto irrilevante e quindi non decisivo il fatto del quale la corte d'appello avrebbe omesso l'esame. 11. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le medesime ragioni, non contestate dalle parti, che hanno indotto i giudici di appello a compensare le spese processuali dei giudizi di merito inducono la Corte a compensare anche le spese del giudizio di legittimità. Sussistono, invece, i presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sicché va disposto il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da loro proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550 . P.Q.M. rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese processuali. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis, dello stesso art. 13. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti in causa riportati nella sentenza.