Le omissioni investigative degli agenti di polizia non sono fonte di responsabilità civile

Non può trovare accoglimento la richiesta di risarcimento danni ex art. 2043 c.c. avanzata da un cittadino che deduca la lesione dei propri diritti morali a causa del coinvolgimento in un procedimento penale dovuto a carenze od omissioni investigative da parte della polizia giudiziaria.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 6036/18, depositata il 13 marzo. Il fatto. Un avvocato conveniva in giudizio un Carabiniere, oltre al Ministero dell’Interno, per il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. subito a causa dell’invio di un’informativa a suo carico alla Direzione Distrettuale Antimafia da parte del convenuto, in assenza dei necessari accertamenti ed approfondimenti investigativi. Il successivo procedimento penale avviato a carico dell’avvocato dimostrava infatti la sua completa estraneità alla vicenda. Il Tribunale accoglieva la domanda risarcitoria, escludendo però la sussistenza del reato di abuso di ufficio per difetto del dolo. La Corte d’Appello, pronunciando sul gravame sollevato dal Ministero dell’Interno, riformava la decisione di prime cure escludendo la responsabilità civile del convenuto per l’impossibilità di configurare una fattispecie delittuosa, sia in termini di calunnia che di diffamazione. L’avvocato ricorre in Cassazione dolendosi per l’erronea applicazione dei criteri d’imputazione della responsabilità ex art. 2043 c.c., ipotizzabile anche per colpa. Secondo il ricorrente dunque il convenuto avrebbe dovuto essere ritenuto responsabile per la lesione di diritti morali fondamentali della persona a titolo di colpa, dovuta alla superficialità della segnalazione ed alle carenze omissive nelle attività investigative. Omissioni investigative e nesso causale con il danno. Il Collegio analizzando la censura sottolinea, in primo luogo, la rilevanza di due possibili pregiudizi quello derivante dalla diffusione esterna dell’addebito penale e quello dovuto al coinvolgimento del soggetto in un procedimento penale connotato da gravità. In merito al primo profilo, la giurisprudenza esclude ogni ipotesi di illecito, a cominciare dalla diffamazione, posto che gli atti di indagine restano riservati e ciò a maggior ragione nel caso di specie, dove l’informativa fu trasmessa al solo Procuratore della Repubblica. Con riferimento al pregiudizio derivante del coinvolgimento in un procedimento penale, la Corte osserva che, al di fuori dei casi dolosi inquadrabili nell’ambito della calunnia, la condotta dell’agente di polizia risulta assorbita dall’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale , con la conseguente insussistenza del nesso causale. In caso di omissione colposa, la condotta dell’agente non può infatti essere distinta dall’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale. In conclusione la Corte di Cassazione, rigettando il ricorso, sancisce il principio di diritto secondo cui la colposa omissione dello svolgimento di indagini delegate alla polizia dall’autorità giudiziaria per l’accertamento di responsabilità penali non può costituire autonoma fonte di responsabilità civile della’gente o ufficiale delegato nei confronti di terzi, poiché l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrappone alla condotta in parola, escludendo la configurabilità di un nesso causale con il danno eventualmente subito da chi si affermo leso dall’omissione, fermo restando il regime di responsabilità inerente al titolare del suddetto organo .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 13 dicembre 2017 – 13 marzo 2018, n. 6036 Presidente Di Amato – Relatore Porreca Fatti di causa L’avvocato A.D. conveniva in giudizio il maggiore dei Carabinieri F.C. e il Ministero dell’Interno esponendo che il primo aveva trasmesso alla Direzione Distrettuale Antimafia di omissis una informativa a suo carico con riferimento all’ipotesi di reato di cui all’art. 416-bis, cod. pen., omettendo di acquisire la documentazione da cui poteva evincersi la completa estraneità dell’esponente infine acclarata nel successivo procedimento penale. Il tribunale di Reggio Calabria, nel contraddittorio con il Ministero dell’Interno e con F.C., accoglieva la domanda ravvisando la sussistenza di una condotta colposa rilevante ai fini della responsabilità prevista dall’art. 2043, cod. civ., consistita nell’omissione, da parte del F., degli approfondimenti investigativi sui fatti oggetto della delega da parte dell’autorità giudiziaria, in particolare non verificando i riscontri alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, in violazione dei doveri propri degli ufficiali di polizia giudiziaria. Escludeva, d’altra parte, che l’ipotesi potesse integrare il reato di abuso di ufficio, difettando il dolo, e della diffusione della notizia a mezzo della stampa atteso che l’informativa era stata solo depositata presso la cancelleria del tribunale di reggino. La corte di appello di Reggio Calabria, pronunciando sull’appello del Ministero dell’Interno, riformava la decisione di prime cure, affermando che, ove non integrato il reato di calunnia, anche una denuncia non avrebbe potuto portare alla responsabilità ipotizzata. Negava, altresì, potesse configurarsi la diffamazione a mezzo della stampa mancando la comunicazione a più persone, poiché l’informativa era indirizzata solamente al procuratore della Repubblica. L’appello incidentale formulato dall’A. sulla quantificazione del danno e sull’omessa liquidazione del danno psichico restava, quindi, assorbito. Avverso questa decisione ricorre per cassazione A.D. affidando le sue ragioni a due motivi. Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno. Il pubblico ministero ha formulato conclusioni scritte. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., per ultrapetizione, atteso che il giudice di appello avrebbe fondato la sua decisione su un profilo mai allegato, ossia la rilevanza, ai fini della responsabilità ex art. 2043, cod. civ., nel caso, del solo dolo e non della colpa, questione non oggetto dell’appello della difesa erariale. Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione degli artt. 2043, cod. civ., 55 e 326 cod. proc. pen., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., poiché la corte di appello avrebbe errato nell’applicare i criteri d’imputazione della responsabilità, ipotizzabile nel caso anche per colpa, e nell’esaminare la fattispecie equiparandola immotivatamente a quella della denuncia imprudente, dato che l’ufficiale di polizia giudiziaria, di cui era data per ammessa la superficialità, doveva rispondere anche per colpa agli effetti dell’art. 28 Cost Avrebbe dovuto pertanto trovare accoglimento anche l’appello incidentale sull’omessa e insufficiente liquidazione del danno, trattandosi di lesione ai diritti morali fondamentali della persona. 2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. È infatti evidente che il giudice, investito della questione della responsabilità per colpa, può sempre escludere che tale elemento soggettivo sia sufficiente, nella cornice normativa, a integrare nella fattispecie l’addebito, la cui sussistenza resta in discussione. Si resta, pertanto, nell’ambito della cognizione devoluta al giudice che così si pronunci. Il secondo motivo, pur mescolando profili attinenti alla violazione di legge con profili attinenti alla motivazione, risulta specifico quanto ai primi, con esclusione dei secondi non altrimenti enucleabili dalla suddetta mescolanza e, pertanto, inammissibili. Deve infatti farsi applicazione del principio per cui il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati Cass., Sez. U., 06/05/2015, n. 9100 . La censura va dunque esaminata riguardo alla deduzione di violazione degli artt. 2043, cod. civ., e 28 Cost., laddove è stata di fatto esclusa l’ipotizzabilità di una responsabilità per colpa degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria per carenze omissive nelle attività investigative. Il suddetto motivo è infondato. È opportuno premettere che vengono in rilievo due tipologie di possibile pregiudizio. La prima è quella derivante dalla diffusione esterna dell’addebito posto in correlazione con l’omissione degli atti di indagine. Al riguardo è stata pacificamente esclusa ogni ipotesi di illecito, a cominciare dalla diffamazione con il mezzo della stampa, posta la natura non ostensibile degli atti di indagine e, nel caso, il fatto, oggetto di accertamento rimasto privo di censura, che l’informativa in parola fu trasmessa solo al procuratore della Repubblica. La seconda tipologia di danno emergente è quella derivante dal coinvolgimento, assunto come evitabile a mezzo di una condotta corretta e diligente del delegato alle indagini, in un procedimento penale connotato da significativa gravità. Al riguardo vale quanto segue. Come osservato dalla corte territoriale richiamando i principi nomofilattici dettati in fattispecie distinta ma contigua e logicamente conferente su cui di recente v. Cass., 10/06/2016, n. 11898 , la condotta in parola, come quella del denunciante imprudente, al di fuori dei differenti casi dolosi quali tipicamente quelli di calunnia, risulta assorbita dall’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale, inibendo la configurabilità del nesso causale. Attività quest’ultima che, in coerenza con l’art. 28 Cost., ha il suo proprio regime di responsabilità che, pertanto, esclude ogni vuoto di tutela. Si parla, naturalmente, dell’attività investigativa in senso proprio, e non di quelle diverse condotte come tali autonomamente riferibili solo all’agente o ufficiale in parola come nel caso di Cass., 03/04/1980 n. 2164, che aveva riguardo al ferimento di terzi da parte di un vigile urbano che aveva esploso alcuni colpi di arma da fuoco durante l’inseguimento di un ladro, tema in cui trovava rilevanza, logicamente, anche il profilo della colpa . Nell’ambito dell’attività propriamente investigativa, le condotte in cui il dolo risulti imputabile in via esclusiva all’agente o ufficiale, impediscono la riferibilità all’organo titolare dell’azione penale perché l’elemento soggettivo, strutturalmente individuale, assorbe ogni altro criterio d’imputazione di quella specifica condotta. Il ricorrente allude alla possibilità d’ipotizzare il reato di cui all’art. 328, cod. pen., che, però, è doloso e, nella fattispecie, non può attenere alla superficialità addebitata dall’attore al militare. In altri termini, nel caso dell’omissione colposa, la condotta dell’agente o ufficiale non risulta distinguibile dall’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale, cui le scelte investigative restano ascrivibili senza che su di esse possano differenziarsi interferenze di sorta. È appena il caso di osservare che del tutto differente è l’ipotesi in cui l’agente o ufficiale non solo ometta ma dolosamente rifiuti l’atto proprio del suo ufficio consistente nel dare seguito all’impulso del titolare dell’azione penale che indichi espressamente l’attività da compiere. Ciò peraltro conferma, a contrario , che la sovrapposizione delle posizioni tra delegante e delegato, finché sussistente, esclude l’ipotizzabilità di un’autonoma responsabilità civile nel discusso senso. Va quindi affermato il seguente principio di diritto la colposa omissione dello svolgimento di indagini delegate alla polizia dall’autorità giudiziaria per l’accertamento di responsabilità penali non può costituire autonoma fonte di responsabilità civile dell’agente o ufficiale delegato nei confronti di terzi, poiché l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrappone alla condotta in parola, escludendo la configurabilità di un nesso causale con il danno eventualmente subito da chi si afferma leso dall’omissione, fermo restando il regime di responsabilità inerente al titolare del suddetto organo . Ne deriva il rigetto del ricorso. 3. Spese compensate tenuto conto della peculiarità della controversia e in applicazione della disciplina ratione temporis vigente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.