Il dovere di cautela in capo al danneggiato

Quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere oggettivamente prevista e superata attraverso l’adozione, da parte dello stesso danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del suo comportamento imprudente anche sino all’interruzione del nesso eziologico.

Così si è espressa a Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 2483/18, 1 febbraio. L’accertamento delle anzidette circostanze materiali, rilevanti ai fini della verifica di sussistenza del nesso causale tra fatto ed evento dannoso, costituisce quaestio facti riservata esclusivamente all’apprezzamento del giudice di merito. La fattispecie. Nel caso in esame la Corte d’Appello aveva condannato l’Ente locale a rifondere il danno patito da una bimba di nove anni che, giocando, era caduta in un burrone vicino a una strada comunale. Più precisamente il Giudice di merito aveva ravvisato la responsabilità della Civica amministrazione in quanto questa non aveva adottato tutte le misure volte ad evitare le cadute escludendo, per converso, la responsabilità genitoriale per culpa in vigilando in quanto trattasi di evento di per sé prevedibile utilizzando la normale diligenza. Il dovere di cautela. La norma civilistica che limita il risarcimento in ragione del concorso di colpa del danneggiato, che trova giustificazione nell’art. 2 della Carta Fondamentale dei Diritti, grava la vittima dell’onere di porre in essere tutte le condotte possibili per evitare il verificarsi dell’evento. Tale contemperamento risponde anche al canone di proporzionalità imposto dall’art. 2 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali. Concorso di colpa della vittima. La Corte di legittimità ha già avuto modo di asserire la persona che, capace di intendere e volere, si esponga volontariamente a un rischio grave e percepibile con l’uso dell’ordinaria diligenza pone in essere una condotta che costituisce causa esclusiva dei danni che eventualmente ne derivano rendendo, invece, irrilevante la condotta di chi, essendo obbligato a segnalare il pericolo, non vi abbia provveduto. Contemperamento degli interessi. La Corte EDU ha avuto modo di precisare che se da un lato vi è l’obbligo, per le Pubbliche Amministrazioni, di scongiurare i pericoli per l’incolumità degli individui dall’altro non si può pretendere di accollare alla comunità – o comunque immotivatamente al prossimo – le conseguenze di natura economica di un evento lesivo cagionato da una condotta della vittima che integra una consapevole esposizione a un rischio serio e grave per la salute.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 16 novembre 2017 – 1 febbraio 2018, n. 2483 Presidente Di Amato – Relatore Vincenti Fatto e diritto RILEVATO CHE 1. - M.M. , nella qualità di genitore esercente la potestà sulla figlia minore Teresa, convenne in giudizio il Comune di omissis per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patiti dalla figlia a seguito della caduta, in data omissis , in un burrone posto ai margini della strada comunale in contrada , mentre la minore stessa era intenta a giocare nei pressi della abitazione del nonno paterno. Nel contraddittorio con il Comune convenuto, l’adito Tribunale di Locri, con sentenza del settembre 2004, accolse la domanda e condannò il Comune al pagamento, in favore di M.T. nelle more divenuta maggiorenne , della somma risarcitoria di Euro 234.403,85. 2. - Avverso tale decisione interponeva gravame il Comune di omissis , che la Corte di appello di Reggio Calabria, nel contraddittorio con M.T. , accoglieva solo parzialmente con sentenza resa pubblica il 9 marzo 2015, rideterminando l’importo risarcitorio per il danno patrimoniale, cui era tenuto il Comune appellante, in Euro 190.804,70, oltre accessori. 2.1. - La Corte territoriale - per quanto ancora rileva in questa sede - ribadiva, anzitutto, la responsabilità del Comune per l’evento dannoso per non aver l’ente stesso all’epoca adottato misure volte ad evitare cadute dalla strada in questione nel vicino burrone , altresì escludendo che la caduta di una bambina di nove anni di età, che sta giocando con il fratellino nei pressi dell’abitazione dei nonni in orario pomeridiano , potesse ascriversi a difetto di vigilanza da parte dei genitori , non essendo un evento di per sé prevedibile ed evitabile utilizzando la normale diligenza , così da non potersi ravvisare un’efficacia causale sull’evento né un concorso di colpa, rilevante ai sensi dell’art. 1227 c.c., degli adulti tenuti alla vigilanza sulla bambina . 2.2. - Il giudice di secondo grado confermava, poi, la statuizione di condanna al pagamento dell’importo di Euro 50.000,00, liquidato in via equitativa a titolo di danno per mancato guadagno futuro , osservando che, in presenza di postumi permanenti di rilevante entità, pari al 25% di invalidità, era corretta la riconduzione sotto l’anzidetta voce di danno la accertata riduzione della capacità lavorativa generica subita dalla M. nella misura dell’8%. 3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Comune di omissis , affidando le sorti dell’impugnazione a tre motivi. Resiste con controricorso M.T. . Il P.M. ha depositato le proprie conclusioni scritte con cui chiede il rigetto del ricorso e il Comune ricorrente ha depositato memoria. CONSIDERATO CHE 1. - Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 2043, 2051 e 1227, secondo comma, c.c La Corte territoriale avrebbe errato ad escludere la responsabilità del Comune, sia ai sensi dell’art. 2051 c.c., che dell’art. 2043 c.c., per non aver considerato che l’evento era da addebitarsi alla condotta della bambina di nove anni di età, intenta a giocare, senza la vigilanza dei genitori, su una sede stradale vicinale distante 5 metri da un burrone, ciò costituendo, di per sé, uso anomalo della cosa, integrante caso fortuito, ossia esclusivo fattore determinante l’evento dannoso, peraltro prevedibile ed evitabile con l’uso della normale diligenza da parte di chi era tenuto alla vigilanza sulla minore. 2. - Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 1227, primo comma, 2056, 2043 e 2051 c.c., per aver la Corte territoriale erroneamente escluso un concorso colposo della danneggiata e/o dei suoi genitori con efficacia causale circa la determinazione dell’evento dannoso, considerata la condotta anomala e gravemente, oltre che prevedibilmente, pericolosa . realizzata con l’attività di gioco, assieme al fratellino, sulla strada destinata al pubblico transito . 2.1. - I motivi, da scrutinarsi congiuntamente per essere tra loro connessi, sono fondati nei termini e nei limiti di seguito precisati. 2.2. - Dalla sentenza impugnata non emerge alcuna espressa qualificazione della fattispecie di responsabilità civile extracontrattuale oggetto di cognizione, né tantomeno ivi si fa riferimento ad una previa qualificazione operata dal primo giudice. Tuttavia, il fatto decisivo che la Corte di appello assume a fondamento della responsabilità ascritta al Comune di omissis è ben evidenziato e viene a concretarsi nell’omissione, da parte dello stesso ente territoriale, dell’adozione, all’epoca del sinistro, di misure volte ad evitare cadute dalla strada in questione nel vicino burrone . In tal senso, l’addebito si risolve in quello della violazione di obblighi di cautela specifica e/o generica , che si impongono al custode del bene teatro dell’evento lesivo in ragione della vigilanza sulla cosa cui esso è tenuto. Si tratta, quindi, di fattispecie materiale riconducibile nell’alveo della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., facente leva sulla colpa del custode. Difatti, costituisce oramai diritto vivente l’orientamento di questa Corte non affatto incrinato da talune, isolate, disarmoniche pronunce secondo cui la diversa responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, ex art. 2051 cod. civ., è invece di natura oggettiva, incentrata sulla relazione causale che lega la cosa all’evento lesivo, senza che, ai fini della verificazione di tale evento, trovi rilievo alcuno la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza da parte di quest’ultimo tra le molte Cass., 12 luglio 2006, n. 15779 Cass., 19 febbraio 2008, n. 4279 Cass., 25 luglio 2008, n. 20427 Cass., 12 novembre 2009, n. 23939 Cass., 1 aprile 2010, n. 8005 Cass., 11 marzo 2011, n. 5910 Cass., 19 maggio 2011, n. 11016 Cass., 8 febbraio 2012, n. 1769 Cass., 17 giugno 2013, n. 15096 Cass., 25 febbraio 2014, n. 4446 Cass., 27 novembre 2014, n. 25214 Cass., 18 settembre 2015, n. 18317 Cass., 20 ottobre 2015, n. 21212 Cass., sez. un., 10 maggio 2016, n. 9449 Cass., 27 marzo 2017, n. 7805 Cass., 16 maggio 2017, n. 12027 . Ciò precisato, le doglianze di parte ricorrente sono da esaminare in ragione dell’evocata fattispecie legale di responsabilità ex art. 2043 c.c 2.2. - In tale prospettiva, esse colgono nel segno là dove evidenziano la mancata applicazione degli artt. 40, 41 c.p. e 1227, primo comma come evocato nella sostanza delle argomentazioni, a prescindere da taluni incongruenti richiami al secondo comma della stessa norma cfr., in tale ottica, Cass., 25 febbraio 2014, n. 4439 , c.c., in relazione alla condotta stessa della minore danneggiata, compiendo così il Tribunale una incompleta e non corretta operazione di sussunzione del fatto nell’alveo della fattispecie legale di riferimento, segnata dal combinato disposto degli artt. 2043 c.c. e per l’appunto 40, 41 c.p. e 1227, primo comma, c.c 2.3. - Il tema implicato dallo scrutinio imposto dalle doglianze di parte ricorrente offre l’occasione per talune preliminari puntualizzazioni. 2.3.1. - Lo spettro di indagine è, anzitutto, quello del rapporto di causalità materiale nell’ambito della responsabilità extracontrattuale cfr., segnatamente, l’analisi di Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, nn. 576 e ss. , che muove dai principi penalistici, di cui agli artt. 40 e 41 c.p., in base alla c.d. teoria della condicio sine qua non nel cui ambito operano al contempo i principi dell’equivalenza delle cause e della causalità efficiente , per poi giungere, in ambito civilistico, alla c.d. teoria della causalità adeguata o a quella similare della c.d. regolarità causale, per cui occorre dare rilievo solo alle serie causali che ex ante non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile. In particolare, alla stregua della c.d. teoria della regolarità causale, la conseguenza normale imputabile sarà quella che - secondo l’id quod plerumque accidit e, quindi, in base alla regolarità statistica o ad una probabilità apprezzabile ex ante se non di vera e propria prognosi postuma integra gli estremi di una sequenza costante dello stato di cose originatosi da un evento sia esso una condotta umana oppure no originario, che ne costituisce l’antecedente necessario. Sicché, il principio della regolarità causale, rapportato ad una valutazione ex ante e di carattere oggettivo, diviene la misura della relazione probabilistica in astratto e svincolata da ogni riferimento soggettivo tra il criterio di imputazione - il comportamento nella responsabilità per colpa o l’evento generatore in quella oggettiva - del danno ed evento dannoso nesso causale da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata. 2.3.2. - In tale contesto, anche il fatto del danneggiato e, come si vedrà, anche se questi è incapace di intendere e volere può venire in rilievo sia in ipotesi di responsabilità ex art. 2043 c.c., che di quella ex art. 2051 c.c. ai fini della verifica di sussistenza del nesso di causa tra condotta del danneggiante ed evento dannoso ed essere, quindi, sia fattore concorrente nella produzione del danno ex art. 1227, primo comma, c.c., sia fattore idoneo - in base ad un ordine crescente di gravità - ad elidere il nesso eziologico anzidetto, in base ad un giudizio improntato al principio di regolarità causale cfr. in termini analoghi anche Cass., 6 maggio 2015, n. 9009, in motivazione . Del resto, come evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte Cass. 3 dicembre 2002, n. 17152 Cass., 17 febbraio 2017, n. 4208 , il fondamento stesso dell’art. 1227, primo comma, c.c. non riposa sul c.d. principio di autoresponsabilità, bensì trova ragione e applicazione nei principi della causalità e del funzionamento del nesso causale e la colpa alla quale la norma citata fa riferimento e sul cui concetto e portata si avrà modo di tornare più avanti è da intendersi non nel senso di criterio di imputazione del fatto perché il soggetto che danneggia se stesso non compie un atto illecito di cui all’art. 2043 c.c. , bensì come requisito legale della rilevanza causale del comportamento del danneggiato, ovvero, come riconosce una dottrina, come criterio di selezione delle concause rilevanti ai fini della riduzione del risarcimento. 2.3.3. - Giova, difatti, osservare, in linea più generale, che, proprio alla luce della previsione codicistica della limitazione del risarcimento in ragione di un concorso del proprio fatto colposo, risponde a criteri di ragionevole probabilità e quindi di causalità adeguata l’imposizione di un dovere di cautela in capo anche al danneggiato, ciò trovando giustificazione altresì nel dovere di solidarietà, previsto dall’art. 2 Cost., di adozione di condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per gli altri in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile, in adeguata regolazione della propria condotta in rapporto alle diverse contingenze con cui si venga a contatto. In tal senso, del resto, già si è statuito che la responsabilità civile per omissione può scaturire non solo dalla violazione di un preciso obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso, ma anche dalla violazione di regole di comune prudenza, le quali impongano il compimento di una determinata attività a tutela di un diritto altrui principio affermato sia quando si tratti di valutare se sussista la colpa dell’autore dell’illecito, sia quando si tratti di stabilire se sussista un concorso di colpa della vittima nella produzione del danno, ex art. 1227, comma primo, cod. civ. Cass., sez. un., 21 novembre 2011, n. 24406 . Un tale contemperamento risponde anche al canone di proporzionalità imposto dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali allorquando si coinvolga uno di tali diritti, quale quello alla vita di cui all’art. 2 della Convenzione o alla salute di cui, sia pure in maniera indiretta, all’art. 8, co. 1 e 2, di quella come già affermato da questa Corte in tema di tutela del diritto alla vita Cass., 22 settembre 2016, n. 18619 , supera il controllo di conformità alla detta Convenzione il principio di diritto affermato da Cass., 23 maggio 2014, n. 11532 secondo cui la persona che, pur capace di intendere e di volere, si esponga volontariamente ad un rischio grave e percepibile con l’uso dell’ordinaria diligenza, tiene una condotta che costituisce causa esclusiva dei danni eventualmente derivati, e rende irrilevante la condotta di chi, essendo obbligato a segnalare il pericolo, non vi abbia provveduto . In particolare, un detto principio, nella sua astrattezza, deve dirsi contemperare adeguatamente l’esigenza - che impone l’obbligo di adottare ogni precauzione per scongiurare pericoli per la vita e l’incolumità o la salute degli individui - di tutela del diritto alla vita da parte dello Stato e dei pubblici poteri con conclusione che si estende agevolmente alla tutela del diritto alla salute od all’incolumità in genere e, per di più, ai rapporti tra privati, anche a questi applicandosi la Convenzione da ultimo, Corte EDU 20 dicembre 2016, Ljaskaj c/ Croazia , con quella - altrettanto imperiosa e dettata da elementari esigenze di ragionevolezza - di non accollare alla collettività - o comunque immotivatamente al prossimo - le conseguenze dannose, soprattutto di natura economica, che derivino da condotte che siano qualificate come assurte in via esclusiva a volontaria e consapevole esposizione al rischio serio o grave per la vita da parte della potenziale vittima e quindi unica causa del danno da questa patito, quand’anche al bene primario della vita stessa. E si è concluso che, per il margine di apprezzamento normalmente riconosciuto al singolo Stato nell’assicurare la salvaguardia dei diritti fondamentali, la tutela del diritto alla vita – e quindi anche di quello all’incolumità e alla salute - da parte dei pubblici poteri - e nei rapporti interprivati - non può spingersi al risarcimento dei danni derivanti dalla condotta volontaria, qualificata unica causa della lesione a quel diritto, del titolare di quel diritto. 2.3.4. - In tale quadro giustificativo, va allora ribadito che la condotta della vittima può anche assumere efficacia causale esclusiva, ma soltanto ove possa qualificarsi come estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, salvo in caso contrario poter rilevare ai fini del concorso nella causazione dell’evento, ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ. e, se la disattenzione è sempre prevedibile come evenienza, la stessa cessa di esserlo - ed elide il nesso causale tra condotta del danneggiante e evento di danno - quando risponde alla inottemperanza ad un invece prevedibile dovere di cautela da parte del danneggiato in rapporto alle circostanze del caso concreto. 2.4. - Ciò premesso, il giudice di secondo grado - senza, peraltro, evidenziare di aver compiuto una valutazione in concreto sullo stato di capacità di intendere e di volere della minore Cass., 3 dicembre 2004, n. 22776 - ha messo unicamente in rilievo in base all’accertamento di fatto ad essa riservato che la caduta della stessa M.T. di anni nove nel burrone posto nelle vicinanze della strada più di 5 mt. p. 7 della sentenza di appello sulla quale la stessa era intenta a giocare con il fratellino nei pressi dell’abitazione dei nonni in orario pomeridiano non potesse ascriversi a difetto di vigilanza da parte dei genitori , non essendo un evento di per sé prevedibile ed evitabile utilizzando la normale diligenza , così da non potersi ravvisare un’efficacia causale sull’evento né un concorso di colpa, rilevante ai sensi dell’art. 1227 c.c., degli adulti tenuti alla vigilanza sulla bambina p. 8 della sentenza di appello . 2.5. - Opinando in tal modo, la Corte territoriale ha erroneamente concentrato il giudizio esclusivamente sulla possibile responsabilità concorrente, nell’illecito ascritto al Comune convenuto, degli adulti tenuti alla vigilanza della minore, tralasciando ogni indagine sulla questione davvero rilevante ai fini della decisione, ossia quella dell’accertamento e della valutazione, in rapporto alla acclarata condotta omissiva colposa del Comune convenuto non fatta oggetto di specifiche e congruenti censure in questa sede , dell’esistenza di una eventuale incidenza causale della condotta tenuta dalla stessa minore in ordine alla produzione dell’evento dannoso, in termini di concorso colposo nella sua verificazione ovvero anche di elisione stessa del nesso causale. 2.6. - Il giudizio di responsabilità concorrente degli adulti vigilanti era, infatti, irrilevante, poiché, nella specie, viene in rilievo un evento di danno subito dalla minore di età in conseguenza del fatto illecito altrui e non un illecito dalla stessa minore commesso in danno di terzi e tale, dunque, nella ricorrenza dei rispettivi presupposti, da rendere immediatamente applicabile la disciplina dell’art. 2047 c.c. o dell’art. 2048 c.c Sicché a ove si fosse accertato che la minore era incapace, la questione del concorso di colpa dei vigilanti era esclusa dalla circostanza che la presente causa non ha ad oggetto la domanda di risarcimento dei danni patiti iure proprio da chi era tenuto alla vigilanza della minore, ma soltanto la domanda risarcitoria per i danni subiti dalla stessa minore, avendo il padre di M.T. agito unicamente nella qualità di genitore esercente la potestà e non in proprio tra le altre, Cass., 13 agosto 1966, n. 2239 Cass., 11 aprile 1986, n. 2549 Cass., 9 giugno 1994, n. 5619 Cass., 24 maggio 1997, n. 4633 Cass., 18 luglio 2003, n. 11241 b ove si fosse, invece, accertato che la minore era capace, la violazione dell’obbligo di vigilanza era questione interna al rapporto tra vigilato e vigilante originante, a seconda dei casi, una responsabilità contrattuale o extracontrattuale e, quindi, estranea rispetto alla domanda di danni proposta dal vigilato nei confronti di un terzo danneggiante cfr. in tale prospettiva Cass., 2 marzo 2012, n. 3242, che richiama gli argomenti a sostegno dell’orientamento, consolidato, in tema di fatti autolesivi . 2.7. - La Corte territoriale, invece, avrebbe dovuto porsi come detto - la questione dell’incidenza causale della condotta della minore nella verificazione dell’evento lesivo e ciò non solo come si palesa evidente nel caso di capacità di intendere e volere della stessa M. all’epoca del sinistro, ma anche ove avesse accertato il suo stato di incapacità naturale. Questo in applicazione, anzitutto, del risalente e consolidato Cass., sez. un., 17 febbraio 1964, n. 351 Cass., 12 aprile 1978, n. 1736 Cass., 5 maggio 1994, n. 4332 Cass., 24 maggio 1997, n. 4633 Cass., 10 febbraio 2005, n. 2704 Cass., 22 giugno 2009, n. 14548 Cass., 2 marzo 2012, n. 3242 principio di diritto che si intende qui ribadire e precisare allorquando la vittima di un fatto illecito abbia concorso, con la propria condotta, alla produzione del danno, l’obbligo del responsabile di risarcire quest’ultimo si riduce proporzionalmente, ai sensi dell’art. 1227, comma primo, c.c., anche nel caso in cui la vittima fosse incapace di intendere e di volere, in quanto l’espressione fatto colposo che compare nel citato art. 1227 non va intesa come riferentesi all’elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l’imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza. L’accertamento in ordine allo stato di capacità naturale della vittima e delle circostanze riguardanti la verificazione dell’evento, anche in ragione del comportamento dalla stessa vittima tenuto, costituisce quaestio facti riservata esclusivamente all’apprezzamento del giudice del merito . 2.8. - In questa complessiva ottica ossia della verifica di sussistenza dell’incidenza causale della condotta della minore, in stato di capacità naturale o meno, nella verificazione dell’evento di danno e facendo riferimento al caso di specie - riconducibile alla fattispecie di responsabilità ex art. 2043 c.c., giacché ipotesi di danno cagionato dalla condotta omissiva colposa del custode della strada nel predisporre le cautele necessarie affinché si evitasse la situazione di pericolo rappresentata dal precipizio sito ad una distanza di 5 mt. dalla stessa sede stradale cfr., segnatamente, p. 5 della sentenza impugnata - va, dunque, enunciato il seguente e ulteriore principio di diritto quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere oggettivamente prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze secondo uno standard di comportamento correlato, dunque, al caso concreto , tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del suo comportamento imprudente in quanto oggettivamente deviato rispetto alla regola di condotta doverosa cui conformarsi nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale. L’accertamento delle anzidette circostanze materiali, rilevanti ai fini della verifica di sussistenza del nesso causale tra fatto ed evento dannoso, costituisce quaestio facti riservata esclusivamente all’apprezzamento del giudice del merito . 2.8. - Tale, dunque, avrebbe dovuto essere - alla luce delle norme implicate nella fattispecie oggetto di cognizione giudiziale artt. 2043, 1227, primo comma, c.c., 40 e 41 c.p. e in base al fatto materiale oggetto di sussunzione, secondo l’accertamento di esso esclusivamente riservato al giudice del merito -, la quaestio iuris che si imponeva alla Corte di appello di esaminare e risolvere e che, invece, non ha trovato evidenza alcuna. 3. - Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 1223, 2043, 2051, 2056 e 2057 c.c., per aver la Corte territoriale ritenuto liquidabile il danno per mancato guadagno futuro pur in presenza dell’accertamento di una riduzione della sola capacità lavorativa generica, peraltro in misura modesta 8% , da ricondursi nell’ambito del danno biologico, e in favore di una minore di nove anni di età che non svolge alcuna attività di lavoro . 3.1. - Il motivo, in quanto attinente al quantum debeatur, è assorbito dall’accoglimento dei primi due mezzi, che pongono in discussione l’an debeatur sotto il profilo della eventuale incidenza, anche totale, della condotta della danneggiata nella produzione dell’evento lesivo. 4. - Vanno, dunque, accolti i primi due motivi nei termini sopra precisati e dichiarato assorbito il terzo motivo. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte di appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, che dovrà nuovamente delibare l’appello del Comune di omissis anzitutto in punto di an debeatur alla luce dei principi enunciati ai precedenti § § 2.7. e 2.8., oltre che a provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie i primi due motivi di ricorso nei termini di cui in motivazione e dichiara assorbito il terzo motivo cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.