I presupposti di non punibilità del diritto di critica

Il legittimo esercizio del diritto di critica può essere pacificamente ricondotto nell’alveo della libertà di manifestazione del proprio pensiero ed in quanto esplicazione di un diritto costituzionalmente garantito, non risultare punibile, per espressa previsione dell’art. 51 c.p., purché siano rispettati tre presupposti il prevalente interesse al racconto, anche quando sia riferibile solo ad una determinata categoria di soggetti la correttezza formale e sostanziale dell’esposizione dei fatti, che non devono assumere carattere di lesività del decoro e dell’immagine del soggetto cui si fa riferimento e da ultimo, l’esatta corrispondenza fra quanto realmente accaduto e la narrazione che ne viene fatta.

Questo principio è stato affermato dalla Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, con l’ordinanza n. 2357/18 depositata il 31 gennaio. Il fatto. La vicenda processuale, cui fa riferimento la pronuncia della Suprema Corte, scaturisce da una richiesta di risarcimento danni, avanzata da un ex dipendente di un istituto di credito che, dimessosi a seguito d’instaurazione, nei suoi confronti, di un procedimento disciplinare per condotta infedele, lamentava di esser era stato oggetto di una campagna diffamatoria, mediante affissione, nelle varie filiali dell’istituto, di una comunicazione finalizzata a mettere in guardia gli investitori sull’accaduto. Detta comunicazione, secondo l’attore, gli avrebbe impedito di condurre proficuamente a termine una successiva collaborazione con un altra banca. L’istituto di credito si difendeva sottolineando come la detta comunicazione non avesse alcun tenore diffamatorio, ma era piuttosto espressione di un legittimo esercizio del diritto di critica. Le istanze risarcitorie dell’attore, respinta in primo grado, venivano accolta in appello, ove la sentenza veniva completamente riformata. Avverso tale decisione, l’istituto di credito proponeva ricorso per Cassazione. Il diritto di critica come libertà di manifestazione del pensiero. La Corte di Cassazione, con la pronuncia in esame, ha definito il perimetro entro il quale l’esercizio del diritto di critica possa ricondursi nell’alveo della libertà di manifestazione del proprio pensiero ed in quanto esplicazione di un diritto costituzionalmente garantito, non risultare punibile, per espressa previsione dell’art. 51 c.p Detta norma, infatti, introduce una vera e propria esimente, tesa ad escludere la punibilità di chi, nel rispetto di specifici presupposti, manifesta il proprio pensiero, anche in chiave critica. I presupposti dell’esimente di cui all’art. 51 c.p. l’interesse al racconto. La Suprema Corte, richiamando alcune precedenti pronunce sentenze nn. 7274/2013, 4545/2012 , definisce prontamente tali presupposti in primo luogo la pertinenza della notizia, ovvero il prevalente interesse al racconto, che va tutelato sia quando riferibile all’intera opinione pubblica, che quando, per specifiche circostanze contingenti, sia invece riferibile solo ad una più ristretta categoria di individui. Nella fattispecie esaminata, secondo la Corte, tale categoria sarebbe quella dei risparmiatori, interessati a conoscere aspetti di una vicenda, per loro potenzialmente pericolosa. La correttezza formale e sostanziale dell’esposizione. Ulteriore presupposto è la correttezza formale e sostanziale dell’esposizione dei fatti, in cui si sostanzia il principio della continenza. Esso attiene sostanzialmente alle modalità di esercizio del diritto di critica, che non deve mai assumere un tenore lesivo del decoro e dell’immagine del soggetto cui si riferisce. Pertanto, con riguardo alla comunicazione diffusa dal ricorrente, avendo essa un tenore di assoluta impersonalità ed essendo scevra da specifiche valutazioni personali o professionali, ben poteva dirsi rispettosa del principio di continenza. L’esatta corrispondenza fra la narrazione ed i fatti accaduti. Da ultimo, la Corte di Cassazione indica il presupposto della verità, ovvero l’esatta corrispondenza fra i fatti realmente accaduti e la narrazione che ne viene fatta. Nessun addebito, infatti, potrà essere mosso a chi esercita il proprio diritto di critica attenendosi scrupolosamente alle circostanze storiche realmente verificatesi, poiché la rigorosa correlazione tra narrazione e fatti riporta pienamente la condotta nel campo di operatività dell’esimente di cui all’art. 51 c.p., rendendola non punibile. A tal proposito, la Corte di Cassazione ha più volte ritenuto opportuno precisare come anche la semplice omissione di determinati aspetti della vicenda possa inficiare il requisito della verità.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 30 novembre 2017 – 31 gennaio 2018, n. 2357 Presidente Travaglino – Relatore Di Florio Fatto e diritto 1. Rilevato, in punto di fatto, che con sentenza 2145/2006 del 9-17.10.2006, il Tribunale di Treviso respingeva la domanda di risarcimento danni, patrimoniali e non patrimoniali, proposta da V.M. contro la Cassa Rurale ed Artigiana di Treviso a r.l., di cui era stato dipendente dal 1977 sino alle dimissioni da lui rassegnate. A sostegno delle pretese avanzate, l’attore aveva dedotto di essere stato oggetto di una capillare campagna diffamatoria successiva al suo esodo, effettuata attraverso una comunicazione denigratoria trasmessa a 3000 clienti ed affissa nella bacheca di alcune filiali, a causa della quale non era riuscito a conseguire i risultati concordati con la Banca Mediolanum, presso cui aveva iniziato ad operare dopo il recesso dal rapporto di lavoro con la Cassa. L’istituto di credito si era costituito contestando i fatti dedotti denunciava, in particolare, l’infedeltà del dipendente che aveva causato, con la sua condotta, gravi perdite di bilancio delle quali era stata data notizia su numerosi quotidiani locali. Aggiungeva che il V. si era dimesso solo dopo un procedimento disciplinare promosso nei suoi confronti, nel corso del quale aveva ammesso tutte le condotte oggetto di rilievo e che subito dopo aveva cominciato a proporre ai propri clienti i prodotti finanziari della Banca Mediolanum, motivo per cui era stata diffusa la comunicazione oggetto di contestazione che aveva un mero scopo di tutela. Il V. ha proposto appello, dolendosi, in particolare, che il Tribunale, pur non dubitando del contenuto diffamatorio della comunicazione, avesse ritenuto erroneamente sussistente, in favore dell’Istituto di credito, la causa di giustificazione dell’esercizio di un diritto di cui all’art. 51 c.p La Cassa si è costituita chiedendo il rigetto dell’appello. La Corte di Venezia, con la sentenza oggetto dell’odierno gravame, ha accolto l’impugnazione ed ha condannato l’istituto di credito cooperativo al risarcimento del danno non patrimoniale richiesto dal V. nella misura di Euro 50.000,00 equitativamente determinata, respingendo le pretese relative al danno patrimoniale in quanto rimaste indimostrate. Con il ricorso in esame, la Cassa Rurale ed Artigiana di Treviso ha chiesto la cassazione della sentenza impugnata affidandosi a tre motivi di gravame, illustrati da memorie ex art. 380 bis 1 cpcomma Non è stato presentato controricorso dall’intimato. Il P.G. ha presentato conclusioni scritte. 2. Considerato, in diritto, che il ricorso in esame è fondato su tre motivi. Con il primo motivo, riferendosi all’ipotesi di cui all’art. 360 n. 5 cpc., l’Istituto di credito lamenta che la Corte d’Appello aveva omesso di valutare fatti discussi dalle parti e decisivi per la soluzione della controversia. In particolare, si duole che non era stato esaminato 1 l’esplicito riconoscimento, da parte del V. in data 13.4.2000, dell’avvenuta esecuzione di movimenti di vendita di JPY, operazione foriera di gravi perdite per i bilanci della Cassa ed eseguiti in autonomia senza alcun preavviso alla dirigenza aziendale docomma 6 , oltre all’ammissione di pregresse operazioni errate, ed in particolare di cinque movimenti eseguiti per un disguido di propria iniziativa ed in violazione dei limiti dello statuto 2 il riconoscimento, in data 27.3.2000, da parte dello stesso dipendente, della falsificazione di dati di bilancio avvenuta attraverso l’annotazione di scritture di rettifica finalizzate a non contabilizzare le perdite in cambi maturate docomma 3 3 il riconoscimento espresso del V. di aver abusato della fiducia dei dirigenti docomma 3 4 l’ammissione del dipendente, contenuta nell’atto di citazione del giudizio d’appello in data 2.3.2007, di aver dato le dimissioni dopo aver ricevuto la lettera di circostanziata contestazione degli addebiti in data 30.3.2000 a norma e per gli effetti di cui all’art. 87 del vigente CCNL . Deduce, al riguardo, che tali atti erano decisivi per escludere che fosse stata effettuata un’operazione denigratoria nei confronti dell’ex dipendente, visto che il contenuto della comunicazione oggetto della richiesta risarcitoria Oggetto Comunicazione. Ritengo di far cosa gradita nel portare a vs conoscenza che l’ex dipendente di questa Cassa, che sta girando in questi giorni per le vostre case per proporre prodotti di altro istituto, è il medesimo dipendente che, com’è ben noto da tempo, ha causato pesanti perdite alla nostra Cassa. Il risparmio è una cosa seria e va gestita con competenza e professionalità e pertanto è quanto mai opportuno affidarlo a persone altrettanto competenti e professionalmente preparate rappresentava fatti corrispondenti alla realtà e si riferiva a condotte che i clienti della banca avevano il diritto e l’interesse di conoscere, e rispetto alle quali la Cassa aveva un dovere di informazione nei loro confronti. Il motivo è infondato. La Corte d’appello di Venezia, infatti, nell’accogliere l’impugnazione proposta, ha escluso che sussistesse la scriminante dell’esercizio della libertà di pensiero, riconducendo la comunicazione contestata al presumibile fine di mettere l’ex dipendente in cattiva luce di fronte ai clienti perché passato alla concorrenza cfr. pag. 7 della sentenza impugnata ma, nel passaggio motivazionale precedente a tale affermazione - che verrà analizzato con il secondo motivo da espressamente atto di aver esaminato, sia pur in modo complessivo, tutte le produzioni della parte convenuta, considerandole, con espresso riferimento alle dichiarazioni a suo tempo rilasciate dal V. in cui ammetteva nella sostanza le sue responsabilità , alla stregua di esigui elementi di valutazione cfr. pag. 7 della sentenza impugnata . In tal modo la Corte dimostra di aver valutato tutta la documentazione prodotta che, del resto, ha per oggetto fatti pacifici e non contestati neanche dal V. ragione per cui la prima censura deve essere respinta. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, richiamando l’art. 360 n 2 c.p., la violazione e falsa applicazione dell’art. 595 c.p., dell’art. 2043 c.c., nonché dell’art. 51 c.p. e dell’art. 21 della Costituzione. Lamenta, in particolare, che la Corte d’Appello aveva omesso di considerare la sussistenza dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica che, consistendo in una forma di manifestazione del pensiero, doveva essere tutelato in quanto era stato correttamente esercitato al riguardo, richiamando i reiterati arresti di questa Corte sulla continenza nella fattispecie, deduceva che la comunicazione oggetto di contestazione era espressione di un ragionato dissenso rispetto a condotte censurabili dell’ex dipendente che erano state da lui pacificamente poste in essere. Il motivo è fondato anche se la censura è frutto di un evidente lapsus calami, in quanto,avendo per oggetto la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto specificamente richiamate, deve essere ricondotto all’art. 360 n 3 e non all’art. 360 n. 2 cpc . Si osserva, infatti, che il tenore della comunicazione - sopra letteralmente riportato - è descrittivo ma impersonale ed ha come premessa fatti veri la Corte d’appello, nell’escludere che la Cassa, attraverso la nota informativa oggetto di contestazione, abbia esercitato il diritto alla libera manifestazione del pensiero in chiave critica e possa conseguentemente invocare l’esimente di cui all’art. 51 c.p. , riconduce la comunicazione a presumibili ragioni di competizione sul mercato con il gruppo concorrente , affermando - in modo apodittico e privo di collegamento a fatti concreti dai quali la presunzione potesse essere desunta - che la finalità informativa della comunicazione nulla avesse a che vedere con l’interesse pubblico in ordine alla corretta raccolta di fondi per investimenti finanziari. La Corte aggiunge, senza alcuno specifico riferimento alle emergenze processuali, che la finalità della nota scritta era solo strumentale all’esclusivo interesse della Banca di addossare le perdite subite all’operato dell’ex dipendente, così squalificandolo di fronte a tutti e facendogli intorno terra bruciata fra i risparmiatori della zona cfr. pag. 8 sentenza impugnata in tal modo, non spiegando sulla base di quali elementi sia giunta ad escludere l’esimente invocata dalla Cassa e riconosciuta dal primo giudice e facendo prevalere il significato denigratorio della comunicazione sull’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito strettamente connesso con i doveri di protezione del risparmio propri dell’istituto di credito, la Corte d’appello di Venezia mostra di non tener conto dei più recenti arresti di legittimità sull’applicazione ed interpretazione dell’art. 51 c.p. si richiama, al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte che ha avuto modo di chiarire entro quale perimetro possa estendersi il diritto di critica cfr. Cass. 4545/2012 Cass. 7274/2013 e con la quale viene costantemente valorizzato l’interesse al racconto, ravvisato anche quando non si tratti di interesse della generalità dei cittadini ma di quello della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la comunicazione. Poiché, al fine di verificare la sussistenza o meno della scriminante invocata, è necessaria una rivalutazione completa delle emergenze istruttorie, all’accoglimento del secondo motivo consegue il rinvio della controversia alla Corte d’Appello di Venezia per un nuovo esame. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 n 2 cpc nuovamente incorrendo nel già indicato lapsus calami , la violazione e falsa applicazione dell’art. 595 c.p. e 2043 c.c., nonché degli artt. 51 e 52 cp e dell’art. 21 della Costituzione. Si duole che la Corte d’Appello non abbia riconosciuto il diritto-dovere dell’Istituto di credito di doversi difendere dall’attacco sferrato ai suoi danni da Mediolanum Spa attraverso il dipendente infedele, e non abbia tenuto conto che si trattava anche di una legittima difesa riconducibile alla scriminante di cui all’art. 52 c.p Osserva il collegio che la Cassa Rurale, nel difendersi nei gradi di merito, non ha mai invocato la scriminate di cui all’art. 52 cp., limitandosi ad incentrare la propria difesa sull’art. 51 c.p. Il motivo, pertanto, è inammissibile, introducendo per la prima volta nel giudizio di legittimità la prospettazione di un fatto nuovo e di una nuova censura. In conclusione, il ricorso deve essere accolto limitatamente al secondo motivo la sentenza deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia che, in diversa composizione, dovrà riesaminare la controversia in ordine alla sussistenza dell’esimente di cui all’art. 51 c.p., con specifico riferimento alle emergenze istruttorie ed applicando il seguente principio di diritto In tema di diritto di critica i presupposti, per il legittimo esercizio della scriminante di cui all’art. 51 cp, con riferimento all’art. 21 Cost., sono a l’interesse al racconto, ravvisabile anche quando non si tratti di interesse della generalità dei cittadini, ma di quello generale della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la comunicazione b la correttezza formale e sostanziale dell’esposizione dei fatti, nel che propriamente si sostanzia la c.d. continenza, nel senso che l’informazione non deve assumere contenuto lesivo dell’immagine e del decoro c la corrispondenza tra la narrazione ed i fatti realmente accaduti d l’esistenza concreta di un pubblico interesse alla divulgazione. Sulla scorta dei predetti principi e tenendo conto del diritto alla libera manifestazione del pensiero, il giudice del rinvio dovrà concretamente accertare se le comunicazioni dirette a valutare negativamente il comportamento di taluno siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dal comportamento preso di mira e si risolvano o meno in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato, tenuto conto, nel bilanciamento dei valori, dell’interesse dei soggetti destinatari della comunicazione a conoscere i fatti denunciati . Anche le spese del giudizio di legittimità dovranno essere liquidate dal giudice di rinvio. P.Q.M. La Corte, accoglie il secondo motivo di ricorso rigetta il primo e dichiara inammissibile il terzo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione per un nuovo esame della controversia e per la liquidazione anche delle spese di giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione.