Spetta a chi chiede il risarcimento l’onere della prova del nesso di causalità tra l’evento e il danno

Ai fini dell’affermazione della responsabilità, sia in materia contrattuale che extracontrattuale, si richiede il nesso di causalità tra l'inadempimento o il fatto illecito e il danno e l'onere della dimostrazione di tale nesso, sia in materia contrattuale che extracontrattuale, è a carico di colui che agisce per il risarcimento.

Così ha deciso la Sesta Sezione della Cassazione Civile, con l’ordinanza n. 28995 del 5 dicembre 2017. Il caso. Dopo che il Tribunale di Venezia aveva respinto l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso, su istanza di un istituto bancario, nei confronti di una s.n.c. nonché dei soci, ma accolto la domanda riconvenzionale condannando dunque la banca al risarcimento del danno quantificato in € 80mila, la Corte di Appello aveva successivamente parzialmente riformato la sentenza respingendo la domanda risarcitoria. Uno dei soci proponeva dunque ricorso per cassazione con 3 motivi, ovvero 1 il fatto che la banca avesse presentato all'incasso alcune cambiali a banche diverse da quelle in cui erano domiciliate, stante la natura contrattuale del rapporto tra la società e la banca, avrebbe dovuto essere ritenuto sufficiente per fondare una condanna al risarcimento da parte della banca 2 il mancato pagamento delle cambiali sarebbe stato dovuto all'erronea presentazione da parte della banca e la considerazione svolta dalla corte territoriale secondo cui la società debitrice non era comunque in condizione di far fronte al pagamento degli effetti costituiva una mera congettura 3 avevano errato i giudici del merito nel ritenere esplorativa la richiesta consulenza tecnica, a maggior ragione laddove la clausola relativa alla commissione di massimo scoperto non era di univoca interpretazione. Per la presunzione semplice è sufficiente che il fatto ignoto da provare sia ragionevolmente possibile. La Sesta Sezione ha rigettato tutti e 3 i motivi di ricorso. Per quanto riguarda il primo motivo è stato ribadito il principio adottato sin dal 1965 secondo cui l'onere della prova del nesso di causalità tra inadempimento in caso di responsabilità contrattuale o il fatto illecito per la responsabilità aquiliana e il danno sia a carico di colui che si prospetta danneggiato cfr. Cass. n. 1143 del 8/06/1965 . Dunque, fermo restando l'inadempimento della banca, quello che è mancata è stata la prova del nesso di causalità. Per il secondo motivo è stato ritenuto corretto il ragionamento della Corte d'Appello che ha valorizzato l'oggettiva situazione di difficoltà economica del debitore cambiario che sarebbe fallito a pochi mesi di distanza per trarne la presunzione che lo stesso non disponesse dei mezzi economici per adempiere e che avesse anzi tratto vantaggio dall'errore di domiciliazione compiuto della banca per non pagare. Il ragionamento è stato ritenuto non sindacabile in sede di legittimità in quanto nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale . Relativamente al terzo motivo la Corte ribadisce le critiche di genericità e indeterminatezza già formulate in grado di appello, ribadendo come non può pretendersi di colmare il deficit di allegazione che rende indeterminata la domanda o l'eccezione proposta con la nomina di un CTU . Quanto alle critiche sulla commissione di massimo scoperto, la Cassazione rileva come il tema non venga trattato nella sentenza impugnata ed in tali casi sarebbe stato onere del ricorrente non solo quello di allegare l'avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice del merito ma anche, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente sia stato fatto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 10 ottobre – 5 dicembre 2017, n. 28995 Presidente Scaldaferri – Relatore Falabella Fatti di causa 1. - La Cassa di Risparmio di Venezia, ora Intesa Sanpaolo chiedeva e otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti di G.R. e V.R. , nonché della società G. Fashion s.n.c. di G.R. & amp C. per la somma di Euro 218.127,10. Nel proporre opposizione gli intimati deducevano, tra l’altro, che la banca era incorsa in errore nella presentazione di alcuni titoli cambiari, che erano stati ad essa consegnati per l’incasso dalla nominata società G. Fashion tali titoli erano stati infatti trasmessi a istituti di credito diversi da quelli presso i quali risultavano domiciliati in conseguenza di tale evenienza, deducevano gli opponenti, i titoli erano rimasti insoluti. Il Tribunale di Venezia respingeva l’opposizione e, in accoglimento della domanda riconvenzionale degli opponenti, condannava la banca al risarcimento del danno nella misura di Euro 80.000,00. 2. - In esito al giudizio di gravame la pronuncia era parzialmente riformata, avendo la Corte di appello di Venezia, con sentenza del 25 marzo 2016, respinto la domanda risarcitoria lo stesso giudice distrettuale rigettava pure il gravame incidentale proposto da G. e V. , relativo alla pretesa azionata in via monitoria, ritenuta fondata dal Tribunale. 3. - G.R. , dichiarando di agire in proprio e quale socio dell’estinta società G. Fashion, ha proposto un ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resiste con controricorso Intesa Sanpaolo che ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. - Il primo motivo censura la sentenza impugnata per l’omesso esame di un fatto decisivo, oltre che per violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c Assume l’istante che la Corte di merito non aveva considerato la natura del rapporto intercorso tra la società e la banca. Rileva che incombeva alla banca di adempiere diligentemente alle obbligazioni assunte, derivanti dall’incarico conferitole, e che ciò non era accaduto, in quanto le cambiali, che erano domiciliate presso alcuni istituti di credito, erano state presentate all’incasso a banche diverse, sicché gli effetti erano tornati insoluti. Soggiunge che a norma dell’art. 1218 c.c. era sufficiente che gli attori dimostrassero l’esistenza dell’obbligazione e dell’inadempimento, non essendo i medesimi tenuti a dare dimostrazione del nesso causale tra il detto inadempimento e il danno. 1.1. - Il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2727 c.c., oltre che dell’art. 41 c.p. denuncia, altresì, omessa, insufficiente e comunque illogica motivazione. Deduce il ricorrente che la Corte di appello non aveva preso in considerazione indizi gravi, precisi e concordanti che avrebbero dovuto indurla a ritenere provata per presunzioni la correlazione tra l’erronea domiciliazione e il mancato pagamento delle cambiali. Assume, inoltre, che la circostanza per la quale la società debitrice non era in condizione di far fronte al pagamento degli effetti costituiva una mera congettura priva di suffragio probatorio. Il fatto, anzi, che la debitrice cambiaria aveva onorato le cambiali correttamente domiciliate escludeva che la medesima si trovasse in stato di decozione. 1.2. - Il terzo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 62 c.p.c. e 117 t.u.b La censura investe il rigetto dell’appello incidentale e, quindi, quanto statuito dalla Corte del merito con riguardo al diritto di credito della banca che era stato azionato in via ingiuntiva. Lamenta il ricorrente che il giudice distrettuale aveva impropriamente ritenuto esplorativa la richiesta consulenza tecnica. Rileva, altresì, con riguardo alla commissione di massimo scoperto, che la clausola relativa risultava del tutto generica, non chiarendo essa se per massimo scoperto dovesse intendersi il debito massimo raggiunto anche per un solo giorno nel periodo o quello che si prolungasse per un certo periodo di tempo. 2. - Il primo motivo è infondato. La Corte di appello non ha escluso l’inadempimento, ma negato potesse dirsi provato che il mancato pagamento delle cambiali dipendesse dall’erronea domiciliazione bancaria la circostanza per cui gli effetti correttamente domiciliati furono onorati non implicava -secondo la Corte del merito - che il debitore avesse la provvista e la capacità per far fronte anche al debito cambiario portato dai titoli rispetto ai quali la banca era incorsa in errore. Il giudice distrettuale ha inoltre valorizzato la circostanza per cui il debitore cambiario dopo pochi mesi era stato assoggettato al fallimento tale evenienza, ad avviso della stessa Corte, faceva presumere, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, che la erronea domiciliazione delle cambiali avesse rappresentato per quel debitore ormai insolvente il pretesto per non provvedere a un pagamento che non aveva i mezzi per onorare effettivamente . Nella sentenza impugnata, dunque, il nesso causale tra l’inadempimento e il danno è stato escluso. Ebbene, come è risaputo un primo arresto in tal senso gi deve a Cass. 8 giugno 1965, n. 1143 , ai fini dell’affermazione della responsabilità, sia in materia contrattuale che extracontrattuale, si richiede il nesso di causalità tra l’inadempimento o il fatto illecito e il danno e l’onere della dimostrazione di tale nesso, sia in materia contrattuale che extracontrattuale, è a carico di colui che agisce per il risarcimento per un’applicazione del principio, da ultimo, Cass. 26 luglio 2017, n. 18392 . 2.1. - È da disattendere anche il secondo motivo. L’accertamento del nesso causale tra l’illecito e l’evento dannoso rientra tra i compiti del giudice del merito ed è sottratto al sindacato di legittimità Cass. 9 novembre 2005, n. 21684 Cass. 10 maggio 2005, n. 9754 d’altro canto, l’art. 360, n. 5 c.p.c., nella versione odierna, non consente di formulare, col ricorso per cassazione, censure basate sull’erroneo apprezzamento delle risultanze probatorie. Né appare concludente la censura che investe, nello specifico, l’impiego della prova indiziaria. La Corte di Venezia, come si è detto, ha ritenuto di valorizzare, sul piano della prova logica, la situazione di difficoltà economica del debitore cambiario, che sarebbe fallito pochi mesi dopo da tale circostanza ha tratto la presunzione che lo stesso non disponesse dei mezzi economici per adempiere e che avesse tratto il pretesto per non pagare dall’errore nella domiciliazione di cui si era resa autrice la banca. Tale ragionamento non è sindacabile in questa sede di legittimità. Infatti, nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità per tutte Cass. 31 ottobre 2011, n. 22656 Cass. 30 novembre 2005, n. 26081 . In altri termini, lo schema logico della presunzione semplice offre all’interprete uno strumento di accertamento dei fatti che può anche presentare qualche margine di opinabilità, visto che, quando anche quest’ultimo margine è escluso per la rigidità della previsione deduttiva, si ha il diverso fenomeno della presunzione legale Cass. 7 febbraio 2013, n. 2895 . 2.2.- Il terzo motivo non merita accoglimento, al pari dei precedenti. La Corte di appello ha condiviso l’apprezzamento del giudice di prime cure circa la genericità delle doglianze sollevate dagli opponenti le quali, è aggiunto, non si riferivano agli interessi anatocistici e alla commissione di massimo scoperto . Ha sottolineato il giudice distrettuale come nemmeno in fase di gravame gli appellanti avevano articolato una contestazione dotata di un minimo di concretezza e pertinenza relativamente all’ipotizzata erroneità degli interessi passivi addebitati dall’istituto di credito in considerazione del tasso contrattualmente stabilito . Ora, l’odierno ricorrente non censura efficacemente tale affermazione, mancando di fornire a questa Corte argomenti per escludere l’accertata indeterminatezza dell’opposizione proposta. Il ricorso per cassazione non contiene, infatti, alcun puntuale riferimento alle deduzioni difensive sollevate, in prime cure, con riferimento al profilo che qui interessa ed è anzi sintomatico che nella stessa narrativa del fatto processuale l’istante si limiti a riferire di aver proposto opposizione a decreto ingiuntivo contestando sia nell’an che nel quantum l’asserito credito avversario pag. 2 del ricorso , senza fornire alcuna ulteriore indicazione al riguardo. In tale prospettiva, la deduzione vertente sul mancato esperimento della consulenza tecnica non coglie nel segno, visto che non può pretendersi di colmare il deficit di allegazione che rende indeterminata la domanda o l’eccezione proposta con la nomina di un c.t.u Infine, della questione circa la determinatezza o determinabilità della commissione di massimo scoperto la sentenza non parla né il ricorrente spiega come il tema sia stato introdotto nella precedente fase del giudizio. Va qui ricordato che ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione per tutte Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675 . 3. Il ricorso va dunque respinto. 4. - Le spese di giudizio seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in 100,00, ed agli accessori di legge.