Nessun risarcimento da “perdita di chance” senza la dimostrazione dei guadagni effettivamente preclusi dal danno

Il creditore che voglia ottenere i danni derivanti dalla perdita di chance ha l’onere di provare, anche solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti funzionali al raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere una conseguenza immediata e diretta.

La fattispecie. Una società che gestisce alcune sale bingo/slot machine ha citato in giudizio avanti al Tribunale di Napoli l’amministrazione comunale partenopea e una società che era stata incaricata di eseguire alcuni lavori sulla rete idrico-fognaria per ottenere il risarcimento dei danni patiti a causa dell’allagamento dei propri locali adibiti a sala gioco in conseguenza della rottura di una tubatura della condotta idrica. Il Tribunale di Napoli, in accoglimento della domanda della attrice, ha condannato l’impresa edile al risarcimento dei danni lamentati. Accogliendo il gravame proposto dalla soccombente, la Corte di Appello di Napoli ha tuttavia riformato la sentenza impugnata, condannando per l’effetto la attrice vittoriosa in primo grado alla restituzione in favore dell’impresa edile di quanto ricevuto in esecuzione della sentenza di primo grado. Avverso tale decisione la appellata ha proposto ricorso avanti alla Corte di Cassazione. Il danno da perdita di chance” non è una mera aspettativa di fatto, ma è una entità patrimoniale a sé stante. La ricorrente ha censurato la sentenza della Corte di Appello di Napoli laddove ha rigettato il risarcimento del danno asseritamente patito in ordine al mancato guadagno e alla perdita di chance, sostenendo che per tutto il periodo – durato circa 8 mesi – compreso tra l’allagamento e la ripresa della sua attività, non aveva conseguito gli introiti che avrebbe ottenuto se avesse potuto svolgere pienamente la propria attività. Afferma inoltre la ricorrente di aver fornito ampia dimostrazione del verificarsi dell’evento, del mancato funzionamento delle apparecchiature di gioco e della chiusura forzata dei locali per tutto il tempo necessario alla ristrutturazione, sostenendo di avere di conseguenza il diritto a ottenere il risarcimento del danno per il mancato incremento patrimoniale patito, che avrebbe dovuto essere liquidato quantomeno in via equitativa. Gli Ermellini hanno rigettato il ricorso. Quanto alla liquidazione del danno in via equitativa, la Corte ha rilevato la corretta applicazione da parte dei Giudici del gravame dell’art. 2056 c.c., che presuppone la dimostrazione dell’esistenza di danni risarcibili oltre che della oggettiva impossibilità o della particolare difficoltà di provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché grava sulla parte interessata l’onere di provare non solo l’ an debeatur del diritto al risarcimento, ma anche ogni elemento utile alla quantificazione del danno e di cui si possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, in modo tale da consentire al Giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso. Quanto al danno da perdita di chance, la Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale di legittimità, correttamente seguito dalla Corte di Appello di Napoli, secondo il quale il creditore che voglia ottenere i danni derivanti dalla perdita di chance - che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non una mera aspettativa di fatto, ma una entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di una autonoma valutazione - ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 aprile – 24 ottobre 2017, numero 25102 Presidente Travaglino – Relatore Armano Fatti del processo La Napoli Bingo S.p.A. ha citato in giudizio davanti al Tribunale di Napoli il Comune di Napoli e l’ARIN S.p.A. per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa dell’allagamento dei locali adibiti a sala gioco per la rottura di una tubatura della condotta idrica. L’ARIN s.p.a, eccependo l’infondatezza della domanda nei suoi confronti perché la rottura della tubatura era stata causata dal cedimento della strada,ha chiamato in causa della XL Insurance Company Ltd per sentirla condannare a manlevarla o rivalerla nel caso in cui fosse stata condannata al risarcimento del danno. Il Comune di Napoli ha chiesto il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti non essendoci alcun nesso di causalità tra il suo comportamento ed i danni lamentati. La XL Insurance Company Ltd ha chiesto il rigetto della domanda di manleva per danni inclusi nella franchigia di Euro 75.000,00, e per danni indiretti, esclusi dalla garanzia. Al predetto giudizio veniva riunito un altro pendente con il quale la Reale Mutua Assicurazioni aveva proposto domanda nei confronti dell’ARIN e del Comune di Napoli per ottenere la condanna degli stessi al pagamento della somma di Euro 540.000,00,che aveva corrisposto nelle more alla Napoli Bingo, in virtù della garanzia che si era obbligata prestarle con una polizza che la stessa aveva stipulato per i danni subiti e conseguenti ad inondazioni alluvioni ed allagamenti. Riuniti i giudizi, il Tribunale di Napoli ha dichiarato l’ARIN esclusiva responsabile dell’evento dannoso ed ha condannato la XL Insurance Company Ltd al pagamento in favore della Napoli Bingo della somma di Euro 785. 224,77 oltre accessori, con il limite della franchigia di Euro 75.000 ha dichiarato il diritto di surrogazione della Società Reale Mutua Assicurazioni nei confronti della Napoli Bingo fino alla concorrenza di Euro 540.000 oltre accessori. A seguito di appello della XL Insurance Company Ltd e di appello incidentale dell’ARIN e della Società Reale Mutua Assicurazioni, la Corte di appello di Napoli,con sentenza depositata in data 23 maggio 2014, ha modificato la sentenza di primo grado in relazione alla condanna diretta della XL Insurance Company Ltd al risarcimento del danno, condannando l’ARIN al risarcimento del danno in favore della Napoli BINGO nella misura di Euro 245. 224,77, oltre accessori, ed alla restituzione in favore della Reale Mutua Assicurazioni S.p.A. della somma di Euro 540.000,oltre accessori, dichiarando che la XL Insurance Company Ltd era obbligata a garantire e manlevare I ‘ARIN delle somme pagate in esecuzione della sentenza in favore della Napoli BINGO e della Reale Mutua Assicurazioni. Avverso questa decisione propone ricorso la Napoli Bingo S.p.A. con un articolato motivo. Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale la società ABC Acqua Bene Comune di Napoli, illustrato da successiva memoria. Resiste con controricorso il Comune di Napoli e presenta successiva memoria Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale la XL Insurance Company Ltd illustrato da successiva memoria. Ragioni della decisione 1.Con l’unico articolato motivo la società Napoli Bingo denunzia violazione o erronea applicazione degli articolo 2697 c.c., 1227 c.c., 1223 c.c., 2056 c.c, e articolo 115 e 345 c.p.c. ex art. 360 numero 3 c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ex art. 360 numero 5 c.p.c La ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha rigettato il risarcimento del danno in ordine al mancato guadagno e alla perdita di chance. Sostiene che per tutto il periodo,durato circa otto mesi, dall’allagamento alla ripresa dell’attività,non aveva conseguito gli introiti, che avrebbe ottenuto se avesse potuto espletare pienamente la propria attività. Prosegue affermando che la società Napoli Bingo ha dimostrato il verificarsi dell’evento, il mancato funzionamento delle apparecchiature di gioco, la chiusura forzata dei locali per tutto il tempo necessario alla ristrutturazione e di conseguenza ha diritto ad ottenere risarcimento del danno per il mancato incremento patrimoniale subito, liquidato quantomeno in via equitativa. La ricorrente denunzia che i giudici di appello hanno omesso di consultare la documentazione depositata,decisiva in quanto indiscutibilmente offriva elementi idonei ad individuare le voci passive dell’attività esercitata dalla Napoli Bingo. 2. Il motivo è infondato. In relazione al risarcimento da lucro cessante il primo giudice ha rigettato la domanda della Napoli Bingo, ritenendo che questa non avesse provato il guadagno precedente alla chiusura conseguenza dall’allagamento. La Corte d’appello ha accertato che, sebbene vi fosse agli atti documentazione contabile relativa al periodo seguente alla riapertura, da cui risulta la redditività complessiva per l’anno 2006, non era possibile determinare neanche equitativamente l’entità del mancato guadagno, poiché non erano noti i costi di gestione dell’attività sicuramente ingenti, per il compenso ai dipendenti, l’affitto della sala,i consumi, la manutenzione. La Corte ha ritenuto che la mancanza di questi dati precludeva una determinazione anche equitativa del danno da lucro cessante che non poteva essere riconosciuto. Inoltre non risultava provato alcun ulteriore danno da perdita di chance, in quanto non si poteva presumere, dato che la sala Bingo al momento dell’allagamento aveva appena aperto da un mese e che tra i danni oggetto di risarcimento erano compresi anche i costi della campagna pubblicitaria per la riapertura. 3. La Corte d’appello ha correttamente applicato la regola dell’art. 2056 co I c.c., che richiama l’art. 1226 c.c. - secondo cui se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa -, conformemente alla consolidata interpretazione che di tale norma ha dato questa Corte, per cui l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli articolo 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché grava sulla parte interessata l’onere di provare non solo l’ an debeatur del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi in re ipsa , ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, si da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso cfr. Cass, Sentenza numero 8615 del 12/04/2006 Sentenza numero 9244 del 18/04/2007 Sentenza numero 20990 del 12/10/2011 Ordinanza numero 27447 del 19/12/2011 Sentenza numero 127 del 08/01/2016 Sentenza numero 20889 del 17/10/2006 . Infatti l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli articolo 1226 e 2056 cod. civ., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 cod. proc. civ., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, dall’altro non ricomprende anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno, né esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l’apprezzamento equitativo sia per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell’ iter della determinazione dell’equivalente pecuniario del danno Cass. Sentenza numero 13288 del 07/06/2007. 4. Nella specie i giudici di appello hanno dato conto adeguatamente dei motivi per cui non hanno proceduto alla liquidazione equitativa del danno da lucro cessante e da perdita di chance in assenza di prova da parte della ricorrente dell’entità del guadagno al momento dell’allagamento e,pur essendovi la prova della redditività dell’attività al momento della riapertura dei locali, tale dato era comunque inidoneo a determinare l’entità del mancato guadagno in mancanza dei costi di gestione dell’attività sicuramente ingenti. In tale valutazione i giudici di appello si sono attenuti alla costante giurisprudenza di legittimità, non avendo la parte fornito gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali ragionevolmente poteva disporre, affinché l’apprezzamento equitativo fosse per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell’iter della determinazione dell’equivalente pecuniario del danno. La Corte d’appello ha rigettato la domanda per difetto di prova sul quantum, in quanto i danneggiati hanno omesso di produrre in giudizio la documentazione fiscale o commerciale anteriore all’evento produzione certamente possibile essendo tali documenti nella disponibilità della parte attestante i ricavi prodotti, ed ha ritenuto di non poter verificare, alla stregua della documentazione attestante l’entità del guadagno alla ripresa dell’attività senza indicazione dei costi sostenuti,la variazione negativa subita l’attività commerciale e dunque quale fosse effettivamente la entità della riduzione dei ricavi, determinata dalla temporanea interruzione dell’attività economica nelle more del ripristino dei locali danneggiati. 5. In particolare in relazione al danno da perdita di chance la decisione di basa sull’orientamento giurisprudenziale di legittimità, che qui si ribadisce, per il quale, in tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere i danni derivanti dalla perdita di chance - che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta così Cass. numero 1752/05 . Con la precisazione che quando, come nel caso di specie, le chances che si assumono perdute attengono alla futura attività lavorativa del soggetto danneggiato,la sola dimostrazione dell’esistenza di un evento dannoso non è sufficiente a far presumere anche la perdita della possibilità di futuri maggiori guadagni, spettando al danneggiato l’onere di provare, anche presuntivamente, che il danno gli ha precluso l’accesso a situazioni tali che, se realizzate, avrebbero fornito anche soltanto la possibilità di maggiori guadagni. In applicazione di questi principi di diritto, la Corte di Appello ha ritenuto che non erano stati provati elementi tali da far presumere l’ulteriore danno da perdita di chance, essendo l’attività iniziata solo da un mese al momento del verificarsi dell’evento dannoso. 6. Il profilo della censura con cui si denunzia vizio di motivazione ex art. 360 numero 5 c.p.c. è inammissibile. Si osserva che in virtù della data di pubblicazione della sentenza si applica la nuova formulazione di detto articolo che limita la ricorribilità davanti al giudice di legittimità per vizio di motivazione L’art. 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, numero 83, conv. in legge 7 agosto 2012, numero 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli articolo 366, primo comma, numero 6, e 369, secondo comma, numero 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività , fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Cass. Sez. U, Sentenza numero 8053 del 07/04/2014. 7. La ricorrente denunzia l’omesso esame di documenti che sono privi del carattere della decisività, perché da soli non sarebbero stati idonei a modificare la decisione, e comunque presi in considerazione dal giudice del merito che ha ritenuto la produzione documentale complessivamente non idonea a provare l’entità del decremento degli introiti della società a causa dell’allagamento. 8. Con l’unico motivo del ricorso incidentale la società XL Insurance Company Ltd denunzia violazione degli articolo 115 e 116 c.p.c., 1936 e segg. e 2697 c.c. a norma dell’art. 360 numero 3 c.p.c. e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio norma dell’articolo 360 numero 5 c.p.c Sostiene la società ricorrente che i giudici d’appello hanno errato nel ritenere non contestata l’esistenza e l’operatività della polizza assicurativa stipulata con la Napoli Bingo e che l’unico limite alla garanzia fosse posto dall’articolo 17 della polizza, che escludeva dai danni risarcibili, in mancanza di apposita stipulazione, quelli derivanti dalla sospensione dell’attività. 9. Il motivo è infondato. Dagli stessi atti processuali a cui fa riferimento la ricorrente, riportati in ricorso, risulta che l’eccezione formulata in relazione alla polizza assicurativa è limitata alla sola presenza di una franchigia entro il limite di Euro 75.000 ed alla esclusione della garanzia per i cosiddetti danni indiretti. La Corte d’appello ha escluso il risarcimento dei danni nei limiti della franchigia. ed ha ritenuto che, essendo stato escluso il risarcimento danno da lucro cessante, tutti gli altri danni riconosciuti dal primo giudice risultavano compresi dalla garanzia. In tal modo ha ritenuto che il riferimento all’art. 17 della polizza, ed al limite posto da tale articolo alla risarcibilità dei danni derivanti da sospensione dell’attività,risarcibili solo in causa espressa pattuizione, fosse irrilevante in quanto i danni da lucro cessante non erano stati riconosciuti. 10. La ricorrente non censura adeguatamente tale statuizione in quanto elenca, sia nell’atto d’appello che nel ricorso, una serie di danni che essa ritiene indiretti, senza alcuna argomentazioni idonea specificare il perché di tale qualifica. In ordine all’applicazione dell’articolo 17 della polizza, operata correttamente dai giudici di merito, denunzia l’erroneo ricorso ad un presunto ragionamento induttivo, quando nella realtà la Corte ha solo operato una chiara interpretazione della polizza assicurativa ed in particolare dell’articolo 17, senza alcun ragionamento induttivo, accertando che non erano stati risarciti i danni da interruzione dell’attività. Il profilo di censura di cui al vizio di motivazione è inammissibile in quanto non corrisponde al modello legale di vizio oggi denunciabile in cassazione ed in tal senso ci si rifà la motivazione di cui al numero 6 della sentenza. In considerazione di rigetto delle reciproche impugnazioni e della posizione degli altri intimati, quali parti cui la lite doveva necessariamente essere comunicata, si compensano le spese del giudizio. P.Q.M. La Corte, riuniti í ricorsi, li rigetta entrambi e compensa le spese fra le parti. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bís dello stesso articolo 13.