Danno morale al contribuente per le cartelle pazze

L’agente di riscossione deve pagare le spese processuali e il risarcimento del danno morale nelle ipotesi in cui emetta ruoli e cartelle di cui il contribuente abbia ottenuto l’annullamento nel processo tributario.

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7437/17, depositata il 23 marzo, ha affermato che l’agente di riscossione è tenuta al pagamento delle spese processuali e a risarcire il danno morale nelle ipotesi in cui emetta ruoli e cartelle, a fronte del fatto che il contribuente abbia ottenuto l’annullamento della richiesta in sede di giudizio tributario. La nascita del contenzioso. Nel caso in esame un avvocato aveva citato in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace la società incaricata della riscossione dei tributi ed il Comune chiedendone la condanna solidale a risarcirgli il danno patrimoniale e il danno non patrimoniale che sarebbero a lui derivati dall'emissione di ruoli e cartelle esattoriali di pagamento poi annullati dal Giudice medesimo. Il danno patrimoniale veniva indicato nelle spese del relativo giudizio sfociato nell’annullamento per il danno non patrimoniale si chiedeva una liquidazione equitativa. Le controparti si costituivano, resistendo. Con sentenza del 2011 il GdP, in accoglimento della domanda risarcitoria, condannava solidalmente i convenuti a corrispondere al professionista la somma di € 1.000 quale rifusione del danno patrimoniale e morale , nonché a rimborsargli le spese di causa. La società di riscossione aveva proposto appello e il Tribunale dichiarava inammissibile l'appello incidentale e rigettava quello principale. La società di riscossione aveva proposto appello, rigettato dal Tribunale che dichiarava invece inammissibile quello incidentale. Avverso tale sentenza la società di riscossione ha presentato ricorso in Cassazione. I motivi di ricorso. Tra i motivi del ricorso la società di riscossione contesta anche il fatto che il giudice di prime cure abbia riconosciuto sia il danno patrimoniale che il danno non patrimoniale, nonostante mancasse prova sia dell' an sia del quantum . Non si comprenderebbe quale danno patrimoniale sia stato riconosciuto, né come danno emergente né come lucro cessante. Per la società di riscossione ricorrente il Giudice d'appello ha errato nel ritenere che tale voce di danno non sia stata liquidata dal Giudice di Pace e avrebbe dovuto, invece, riformare la sentenza di primo grado per violazione degli artt. 2056 e 1223 c.c Quanto poi al danno non patrimoniale, la ricorrente rimarca che occorre valutare interessi di rilievo costituzionale oppure norme che espressamente prevedono la risarcibilità del danno non patrimoniale, nonché la gravità dell'offesa, in quanto la lesione deve superare una soglia minima per bilanciare il principio di solidarietà nei confronti della vittima del danno con il principio di tolleranza e nel caso in esame mancherebbe il requisito minimo per la risarcibilità, non avendo la controparte spiegato quale prostrazione psicologica e quale senso di pericolo e di impotenza possano esserle derivati dal rischio di dover versare al Comune la complessiva somma di € 428,19, tenuto conto anche della sua professione. L’analisi della Cassazione. I Giudici di legittimità evidenziano che, nel caso di specie, per ben comprendere il thema decidendum , è opportuno richiamare sinteticamente quanto osservato dal Tribunale nella motivazione della sentenza qui impugnata. Il Tribunale ha dato atto che l'attuale ricorrente, nel suo appello principale, lamentava violazione del giudicato, ultrapetizione, violazione degli artt. 2043, 2056, 2059 e 1226 c.c. nonché vizio motivazionale riguardo alla mancata personalizzazione del danno morale. Riguardo allora alla prima censura, cioè la pretesa violazione del giudicato, il Giudice d'appello l'ha ritenuta infondata perché, pur avendo l'attore chiesto il risarcimento del danno patrimoniale identificato nelle spese processuali della causa di opposizione alle cartelle esattoriali nella quale la decisione passata in giudicato aveva compensato le spese di lite , il giudice di prime cure non aveva accolto tale domanda, riconoscendo e liquidando solo il danno non patrimoniale. Riguardo poi alla ulteriore censura di ultrapetizione, il Giudice d'appello ha dapprima osservato constatazione meramente formale, per quanto subito dopo viene evidenziato che sussisteva ultrapetizione nella sentenza di primo grado, perché questa aveva riconosciuto un danno patrimoniale consistente nella necessità di spese mediche, laddove la relativa documentazione era stata prodotta solo per dimostrare l'esistenza del danno morale ma ha altresì affermato che nel caso concreto nessun risarcimento è stato liquidato con riferimento specifico al danno patrimoniale, in tal modo inducendo, implicitamente ma chiaramente, a desumerne che la suddetta violazione dell'art. 112 c.p.c. non ha incidenza. Da quanto appena sintetizzato, emerge allora che il Giudice d'appello, a fronte delle doglianze del gravame di merito che riecheggiano nei primi due motivi del presente ricorso, ha operato un attento scrutinio del contenuto della sentenza di primo grado, giungendo così ad affermare, pur dando atto delle potenziali ambiguità, che in ultima analisi a ben guardare non vi è stata né effettiva violazione del giudicato, poiché il giudice di prime cure non ha, in realtà, pronunciato alcuna condanna avente ad oggetto le spese processuali del giudizio di opposizione alle cartelle esattoriali, né effettiva violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, poiché, pur essendosi il primo giudice riferito a un mai preteso dall'attore danno patrimoniale per spese mediche, in concreto non è giunto a condannarne il risarcimento, bensì ha pronunciato , nonostante la formale menzione di un danno patrimoniale nel dispositivo, realmente soltanto la condanna ad un danno non patrimoniale così come richiesto. Le conclusioni. I Giudici di legittimità evidenziano che il ricorso deve essere rigettato per la notevole particolarità, anche sotto il profilo processuale, della vicenda è giustificata la compensazione delle spese. Sussistono ex art. 13, comma 1- quater , d.P.R. n. 115/2012, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 24 febbraio – 23 marzo 2017, numero 7437 Presidente Vivaldi – Relatore Graziosi Fatto e diritto Rilevato che Con atto di citazione notificato il 2 luglio 2009 l’avvocato P.S. conveniva dinanzi al giudice di pace di Catania SERIT Sicilia S.p.A. - attualmente Riscossione Sicilia S.p.A. - e il Comune di Catania chiedendone la condanna solidale a risarcirgli danno patrimoniale e danno non patrimoniale che sarebbero a lui derivati dall’emissione di ruoli e cartelle esattoriali di pagamento poi annullati dal giudice di pace di Catania con sentenza numero 7397/2007. Il danno patrimoniale veniva indicato nelle spese del relativo giudizio sfociato nell’annullamento per il danno non patrimoniale si chiedeva una liquidazione equitativa. Le controparti si costituivano, resistendo con sentenza numero 90/2011 il giudice di pace di Catania, in accoglimento della domanda risarcitoria, condannava solidalmente i convenuti a corrispondere all’attore la somma di Euro 1000 quale rifusione del danno patrimoniale e morale , nonché a rifondergli le spese di causa. Avendo proposto appello principale SERIT Sicilia S.p.A. e appello incidentale il Comune di Catania, con sentenza del 17-18 settembre 2013 il Tribunale di Catania dichiarava inammissibile l’appello incidentale e rigettava quello principale. Ha presentato ricorso Riscossione Sicilia S.p.A. sulla base di quattro motivi, da cui si difende con controricorso l’avvocato P.S. . Il primo motivo denuncia violazione del principio del giudicato ne bis in idem , richiamando in rubrica gli articoli 2909 c.c. e 324 c.p.c., in relazione all’articolo 360, primo comma, numero 3 c.p.c. Dal momento che il giudice che annullò le cartelle compensò le spese processuali, avrebbe violato il giudicato il giudice di pace laddove condannò al risarcimento del danno patrimoniale, e il Tribunale avrebbe quindi dovuto accogliere il relativo motivo d’appello. Il secondo motivo, ex articolo 360, primo comma, nnumero 3 e 4, denuncia vizio di ultrapetizione e/o extrapetizione ai sensi dell’articolo 112 c.p.c. con conseguente nullità, annullabilità e/o contraddittorietà della sentenza. Il Tribunale ha espressamente riconosciuto che il giudice di prime cure aveva violato l’articolo 112 c.p.c. riconoscendo il danno patrimoniale come necessità di spese mediche, ma ad avviso del ricorrente avrebbe errato nel ritenere che non sia stato concesso alcun risarcimento di danno patrimoniale, essendo stata pronunciata la condanna al risarcimento equitativo esclusivamente del danno non patrimoniale. Il motivo richiama il dispositivo della sentenza di primo grado laddove, in accoglimento della domanda attorea, condannava solidalmente i convenuti a pagare all’attore la somma di Euro 1000 quale rifusione del danno patrimoniale e morale . Il terzo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, numero 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2056, 2059 e 1226 c.c. nonché vizio motivazionale in ordine alla mancata personalizzazione del danno morale. Adduce il ricorrente che il giudice di prime cure riconobbe sia il danno patrimoniale che il danno non patrimoniale, nonostante mancasse prova sia dell’an sia del quantum. Non si comprenderebbe quale danno patrimoniale sia stato riconosciuto, né come danno emergente né come lucro cessante. Pertanto il Giudice d’appello ha errato nel ritenere che tale voce di danno non sia stata liquidata dal giudice di pace così sintetizza il ricorso a pagina 17 e avrebbe dovuto, invece, riformare la sentenza di primo grado per violazione degli articoli 2056 e 1223 c.c Quanto poi al danno non patrimoniale, la ricorrente rimarca che occorre valutare interessi di rilievo costituzionale oppure norme che espressamente prevedono la risarcibilità del danno non patrimoniale S.U. 11 novembre 2008 numero 26972 , nonché la gravità dell’offesa, in quanto la lesione deve superare una soglia minima per bilanciare il principio di solidarietà nei confronti della vittima del danno con il principio di tolleranza e nel caso in esame mancherebbe il requisito minimo per la risarcibilità, non avendo controparte spiegato quale prostrazione psicologica e quale senso di pericolo e di impotenza possano esserle derivati dal rischio di dover versare al Comune di Catania la complessiva somma di Euro 428,19, tenuto conto anche della sua professione. Il quarto motivo, ex articolo 360, primo comma, numero 3 c.p.c., denuncia violazione e mancata applicazione degli articoli 2 quater d.l. 564/1994 e 1 D.M.D. 37/1997 nonché violazione dell’articolo 2055 c.c. Si adduce che l’agente di riscossione non può autonomamente annullare la cartella esattoriale, neanche dopo l’esito favorevole al contribuente di una causa, poiché titolare del credito non è l’agente, bensì l’ente impositore, onde il contribuente che ottiene una sentenza a lui favorevole, per evitare atti esecutivi dell’agente di riscossione, dovrebbe chiedere all’ente impositore l’emissione di un provvedimento di sgravio della cartella esattoriale. Si adduce altresì che l’ente impositore, il Comune di Catania, comunicò all’attuale ricorrente lo sgravio solo il 10 ottobre 2009 pertanto nessuna responsabilità avrebbe la ricorrente, che quindi non dovrà risarcire danni, restando responsabile, semmai, l’ente impositore. Considerato che Nel caso di specie, per ben comprendere il thema decidendum, è opportuno richiamare sinteticamente quanto osservato dal Tribunale nella motivazione della sentenza qui impugnata. Il Tribunale ha dato atto che l’attuale ricorrente, nel suo appello principale, lamentava violazione del giudicato, ultrapetizione, violazione degli articoli 2043, 2056, 2059 e 1226 c.c. nonché vizio motivazionale riguardo alla mancata personalizzazione del danno morale. Riguardo allora alla prima censura, cioè la pretesa violazione del giudicato, il giudice d’appello l’ha ritenuta infondata perché, pur avendo l’attore chiesto il risarcimento del danno patrimoniale identificato nelle spese processuali della causa di opposizione alle cartelle esattoriali nella quale la decisione passata in giudicato aveva compensato le spese di lite , il giudice di prime cure non aveva accolto tale domanda, riconoscendo e liquidando solo il danno non patrimoniale. Riguardo poi alla ulteriore censura di ultrapetizione, il giudice d’appello ha dapprima osservato constatazione meramente formale, per quanto subito dopo viene evidenziato che sussisteva ultrapetizione nella sentenza di primo grado, perché questa aveva riconosciuto un danno patrimoniale consistente nella necessità di spese mediche, laddove la relativa documentazione era stata prodotta solo per dimostrare l’esistenza del danno morale ma ha altresì affermato che nel caso concreto nessun risarcimento è stato liquidato con riferimento specifico al danno patrimoniale, in tal modo inducendo - implicitamente ma chiaramente - a desumerne che la suddetta violazione dell’articolo 112 c.p.c. non ha incidenza. Da quanto appena sintetizzato, emerge allora che il giudice d’appello, a fronte delle doglianze del gravame di merito che riecheggiano nei primi due motivi del presente ricorso, ha operato un attento scrutinio del contenuto della sentenza di primo grado, giungendo così ad affermare, pur dando atto delle potenziali ambiguità, che in ultima analisi a ben guardare non vi è stata né effettiva violazione del giudicato - poiché il giudice di prime cure non ha, in realtà, pronunciato alcuna condanna avente ad oggetto le spese processuali del giudizio di opposizione alle cartelle esattoriali -, né effettiva violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, poiché, pur essendosi il primo giudice riferito a un mai preteso dall’attore danno patrimoniale per spese mediche, in concreto non è giunto a condannarne il risarcimento, bensì ha pronunciato - nonostante la formale menzione di un danno patrimoniale nel dispositivo - realmente soltanto la condanna ad un danno non patrimoniale così come richiesto. Con la ricostruzione operata mediante tale motivazione il giudice d’appello è dunque riuscito a porre rimedio all’inserzione nel dispositivo della pronuncia di primo grado, frutto di evidente errore materiale, del riferimento al danno patrimoniale. D’altronde, il Tribunale lascia intendere, implicitamente ma inequivocamente, che nessun danno patrimoniale è stato realmente oggetto della decisione anche laddove rimarca che la liquidazione del danno oggetto di condanna è stata equitativa è invero logico che, se avesse incluso il danno patrimoniale da spese mediche, del tutto equitativa non sarebbe stata, bensì la quantificazione si sarebbe rapportata alla produzione della specifica dettagliata documentazione ciò si evince agevolmente dal seguente passo della motivazione dell’impugnata sentenza, a pagina 3 nel caso in esame, parte attrice .aveva richiesto il risarcimento del danno patrimoniale di riferimento esclusivo alle spese e competenze del giudizio di opposizione , e non già in relazione alle spese mediche sostenute, di cui non aveva fatto alcun la menzione ., avendo prodotto la documentazione solo al fine della prova della sussistenza di un danno non patrimoniale. Tuttavia, nel caso concreto nessun risarcimento è stato liquidato con riferimento specifico al danno materiale derivante dalle spese mediche sostenute, avendo il giudice di prime cure liquidato esclusivamente il danno morale in via equitativa . Il primo e il secondo motivo del ricorso, dunque, devono essere disattesi. Il terzo motivo, per la parte in cui attiene al danno patrimoniale, viene meno in conseguenza del rigetto dei motivi precedenti, perché si impernia, come si è visto, sulla determinazione del danno patrimoniale che sarebbe stato riconosciuto e che, invece, si è appena constatato non essere mai stato oggetto di condanna. Per quanto concerne, poi, il danno non patrimoniale, la censura ha in realtà una inammissibile natura fattuale, chiedendo al giudice di legittimità di revisionare l’accertamento operato dal giudice di merito sulla sussistenza del danno. Il quarto motivo, infine, è eccentrico, perché fonda i suoi argomenti sulla titolarità del credito e quindi sui limiti della incidenza, nella vicenda giuridica, dell’agente di riscossione, non abilitato ad emettere alcun provvedimento di sgravio della cartella esattoriale in realtà, la responsabilità che è stata identificata in capo al ricorrente non deriva dalla mancanza di sgravio, bensì dalla omessa cancellazione dell’ipoteca e dalla segnalazione di insoluti v. pagina 4s. della motivazione della sentenza impugnata . In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, la notevole particolarità, anche sotto il profilo processuale, della vicenda giustificando la compensazione delle spese. Sussistono ex articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012 i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo. P.Q.M. Rigetta il ricorso compensando le spese processuali. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.