La ripartizione dell’onere della prova in caso di responsabilità dell’intermediario

L’art. 23, comma 6, TUF concerne unicamente l’onere della prova della diligenza adoperata dall’intermediario nel fornire la propria prestazione non incide sugli altri elementi costitutivi della pretesa risarcitoria.

In questi termini la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 2949/17 depositata il 3 febbraio, torna ad occuparsi dell’onere della prova di cui all’art. 23 TUF. Il caso. La Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso promosso da una banca avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza della Corte d’appello di Perugia del 31 ottobre 2011, la quale l’aveva condannata a risarcire ad un proprio cliente il danno derivante dall’acquisto di titoli emessi dalla Repubblica Argentina. In particolare, ad avviso della Corte d’appello, la restituzione della somma investita poteva essere qualificata come risarcimento in forma specifica del danno sofferto dal risparmiatore. Il ricorso dell’intermediario. La banca, con il primo motivo di ricorso, chiede la riforma della citata sentenza della Corte territoriale poiché emessa in violazione degli artt. 1223 e 2697 c.c. avendo trascurato di considerare che – in caso di inadempimento contrattuale – il risarcimento è dovuto con riguardo ai pregiudizi che siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento medesimo, laddove nel caso di specie era mancata, invece, qualsiasi prova del nesso eziologico tra la condotta della banca e l’evento dannoso. Sulla ripartizione dell’onere della prova. La Corte di Cassazione chiarisce innanzi tutto che l’art. 23, comma 6, TUF concerne unicamente l’onere della prova della diligenza adoperata dall’intermediario nel fornire la propria prestazione, ma non incide sugli elementi costituitivi della pretesa risarcitoria. In tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri d’informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziari può dar luogo a responsabilità contrattuale. Ciò comporta, in punto di ripartizione dell’onere probatorio, che a incombe sull’investitore l’onere di allegare l’inadempimento da parte dell’intermediario delle obbligazioni poste a suo carico dall’art. 21 TUF come integrato dalla normativa secondaria e di provare che il pregiudizio lamentato consegua a siffatto inadempimento b spetta all’intermediario l’onere di provare d’aver rispettato i dettami di legge e di aver agito con la specifica diligenza richiesta. In questa direzione, sono richiamati alcuni precedenti di legittimità Cass. 19 gennaio 2016, n. 810 secondo cui l’inversione dell’onere della prova non attiene alla sussistenza del danno ed al nesso di causalità, restando la dimostrazione di tali elementi a carico degli investitori Cass. 6 marzo 2015, n. 4620 Cass. 29 ottobre 2010, n. 22147 Cass. 17 febbraio 2009, n. 3773 ove chiarito che applicando il principio sull’onere della prova nella materia contrattuale, l’investitore deve allegare l’inadempimento delle obbligazioni disciplinate dal TUF e dalla normativa regolamentare e deve fornire la prova del danno e del nesso di causalità . Sulla prova specifica del danno da parte dell’investitore. Precisato quanto sopra in punto di ripartizione dell’onere probatorio fra cliente ed intermediario, la Corte di Cassazione rileva come il secondo giudice non abbia affrontato la questione – specificatamente dedotta in giudizio – circa l’effettiva quantificazione del danno lamentato dall’investitore, con riferimento sia al tempo intercorso tra la negoziazione dei titoli ed il default della Repubblica Argentina, sia al rapporto tra il capitale mobiliare da costui investito anche in azioni dunque a rischio e l’importo dei bond in lite. Viene dunque rimproverato alla Corte d’appello di Perugia di essersi limitata ad erroneamente ipotizzare un automatismo tra inadempimento dell’intermediario e obbligo di risarcimento del danno. La Corte di Cassazione accoglie, pertanto, il primo motivo di ricorso formulato dalla banca e rinvia la causa alla Corte d’appello di Perugia.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 4 ottobre 2016 – 3 febbraio 2017, n. 2949 Presidente Nappi – Relatore De Marzo Svolgimento del processo 1. Con sentenza depositata il 31 ottobre 2011 la Corte d’appello di Perugia, in riforma della decisione di primo grado, ha respinto la domanda di risoluzione dell’ordine impartito da M.E. alla Cassa di Risparmio di Orvieto spa, avente ad oggetto l’acquisto di titoli del debito pubblico argentino, confermando la condanna della Cassa al rimborso della somma investita, previa restituzione dei titoli oggetto dell’ordine. 2. La Corte territoriale ha ritenuto a che la violazione degli obblighi che gravano sull’intermediario nell’esecuzione del contratto quadro non comporta la risoluzione dei singoli negozi attraverso i quali viene ad esso data attuazione, ma, salva l’eventualità della risoluzione dello stesso contratto di intermediazione, l’obbligo di risarcire il danno arrecato b che la conclusione del Tribunale, secondo il quale la banca aveva omesso di informare - sia pure verbalmente - il M. degli specifici rischi che connotavano il titolo oggetto dell’ordine non era stata contrastata dalla banca appellante c che l’obbligo di informazione in relazione allo specifico ordine non era surrogato dall’informativa sui rischi connessi agli investimenti in prodotti finanziari d che la restituzione della somma investita e dei titoli argentini, realizzata dalle parti in spontanea esecuzione della sentenza di primo grado, poteva essere qualificata come risarcimento in forma specifica del danno subito dal M. . 3. Avverso tale sentenza, la Cassa di Risparmio di Orvieto spa propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Con il primo motivo si lamentano violazione o falsa applicazione degli artt. 1223 e 2697 cod. civ., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale trascurato di considerare che, in caso di inadempimento contrattuale, il risarcimento è dovuto solo con riguardo ai pregiudizi che siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento stesso, laddove, nel caso di specie, era mancata qualunque dimostrazione del nesso eziologico. La doglianza è fondata. L’art. 23, comma 6, t.u.f., concerne, infatti, unicamente l’onere della prova della diligenza adoperata dall’intermediario nel fornire la propria prestazione, ma non incide sugli altri elementi costitutivi della pretesa risarcitoria. In tal senso, del resto, si è già espressa la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, in tema d’intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri d’informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d’investimento finanziari, può dar luogo a responsabilità contrattuale, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni d’investimento o disinvestimento, con la conseguenza che è sufficiente che l’investitore alleghi da parte dell’intermediario l’inadempimento delle obbligazioni poste a suo carico dall’art. 21 del t.u.f., come integrato dalla normativa secondaria, e che provi che il pregiudizio lamentato consegua a siffatto inadempimento l’intermediario ha invece l’onere di provare d’aver rispettato i dettami di legge e di avere agito con la specifica diligenza richiesta per tali principi, v. Cass. 19 gennaio 2016, n. 810 6 marzo 2015, n. 4620 29 ottobre 2010, n. 22147 17 febbraio 2009, n. 3773 . La questione, pur specificamente dedotta nell’atto di appello, sia con riferimento al tempo intercorso tra la negoziazione dei titoli e il default dell’Argentina, sia con riguardo al rapporto tra il capitale mobiliare investito anche in azioni dunque a rischio e importo dei bond controversi, non è stata affrontata dalla Corte territoriale, se non ipotizzando erroneamente un automatismo tra inadempimento dell’intermediario e obbligo di risarcire il danno. 2. L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento dei restanti due motivi che investono rispettivamente la possibilità di disporre la reintegrazione in forma specifica, in assenza di domanda della parte, e la dimostrazione dell’effettiva entità del danno sofferto. 3. In conseguenza, in relazione al disposto accoglimento del primo motivo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese. P.Q.M. Accoglie il primo motivo, assorbiti i restanti due, e rinvia alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione anche per la regolamentazione delle spese.