La parte non può esimersi dall’onere della prova se dispone di elementi utili alla quantificazione del danno

Il ricorso al criterio equitativo è consentito non già per sopperire alle carenze probatorie imputabili al danneggiato ma soltanto al fine di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del pregiudizio, allorchè sia obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare, nel suo preciso ammontare, il danno di cui è certa la sussistenza.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 22638/16, depositata l’8 novembre. Il caso. Nel 2001 un uomo stipulava una transazione con la sua ex moglie nei confronti della quale era debitore di una somma di denaro scaturente, in parte, dagli obblighi di mantenimento dell’ex coniuge e delle loro tre figlie e, in parte, dall’obbligo di versare mensilmente il 50% del valore locativo dell’immobile adibito a casa familiare nella quale aveva continuato ad abitare. In base alla transazione l’uomo si sarebbe liberato cedendo il 50% della proprietà dell’appartamento e, per l’estinzione della parte residua del debito, mediante il versamento di un assegno mensile. Sempre nello stesso atto veniva quantificato, per il futuro, il mantenimento delle tre figlie. Si prevedeva che l’ex marito avrebbe provveduto ad adempiere la sua obbligazione facendosi carico delle spese ordinarie e straordinarie necessarie per il mantenimento di una delle figlie durante un corso di studi universitario seguito a Roma e a New York, mentre l’ex moglie si sarebbe occupata del mantenimento delle altre due figlie. Poco tempo dopo la conclusione dell’accordo tra le parti, la signora ometteva di comunicare all’ex consorte che una delle due figlie aveva incominciato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato raggiungendo l’autosufficienza economica. Ad avviso dell’uomo tale circostanza aveva comportato uno squilibrio tra le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti e il contegno della signora – la quale aveva volutamente omesso di comunicare la notizia all’uomo – aveva costituito inadempimento dell’obbligazione assunta con l’accordo transattivo. Ciò perché, mentre lui continuava ad accollarsi tutte le spese sostenute da una figlia per la frequentazione del corso di studi universitario, lei, invece, non provvedeva più al mantenimento delle altre due figlie, ma di una soltanto. Nel 2005 l’ex marito adiva il Tribunale di Palermo chiedendo la condanna dell’ex moglie al risarcimento del danno, la quale si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea. Il giudice di primo grado, nel 2009, con sentenza, qualificava la domanda dell’attore come domanda di risarcimento del danno per violazione dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione di un contratto e la accoglieva parzialmente, condannando la donna al pagamento di una somma di denaro, anche se di importo inferiore rispetto a quanto chiesto, ritenendo provato entro certi limiti il pregiudizio subito dall’uomo. Avverso la pronuncia la signora ricorreva in appello. La Corte si pronunciava nel 2013 confermando la sentenza di primo grado, ritenendo corretta l’interpretazione del giudice di prime cure e rigettando, pertanto, sia il ricorso principale che quello incidentale avanzato. Contro questa pronuncia l’appellante proponeva ricorso per Cassazione articolato in tre motivi. L’uomo resisteva in giudizio con un controricorso e proponeva a sua volta un ricorso incidentale. Violazione della buona fede. La ricorrente sosteneva che la Corte d’appello, nel confermare la sentenza di primo grado, aveva erroneamente interpretato l’accordo concluso nel 2001, non considerandolo unitario ma ritenendolo articolato in due parti distinte e autonome più precisamente, individuando, nella prima parte, una transazione volta a risolvere, mediante reciproche concessioni, i rapporti litigiosi pendenti tra le parti e, nella seconda, un accordo valido per il futuro sulla reciproca ripartizione degli oneri economici connessi al mantenimento delle figlie. Secondo la ricorrente se l’accordo fosse stato interpretato in senso unitario, valutando nella loro complessità le reciproche concessioni ed obbligazioni convenute tra le parti, lo squilibrio tra le prestazioni sollevato dall’ex coniuge sarebbe stato escluso. La Suprema Corte ritiene inammissibile questo primo motivo, sostenendo che la condanna della donna al risarcimento del danno trovi fondamento esclusivamente nel rilievo che il suo contegno successivo alla scrittura costituisca violazione del dovere di buona fede in sede di esecuzione del contratto e concreta un inesatto adempimento alle obbligazioni derivanti dall’accordo. Causa petendi. Esiste, ai sensi dell’art. 360, numero 3, c.p.c., una violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 112 c.p.c. Il giudice del merito, nel qualificare la domanda originaria come risarcitoria per violazione del principio di buona fede in sede di esecuzione del contratto - sancito dall’art. 1375 c.c. -, avrebbe sostituito la causa petendi . In altre parole, l’attoreavrebbe allegato un inadempimento contrattuale fondato su uno squilibrio delle reciproche prestazioni senza, però, prospettare la lesione dell’art. 1375 c.c. Anche il secondo motivo è inammissibile. In tal caso la violazione di norme processuali, dando luogo a nullità del processo e della sentenza, andava dedotto mediante la sussunzione del vizio nella fattispecie di cui all’art. 360, numero 4 c.p.c e non in quella di cui al numero 3. Criterio equitativo. Secondo la ricorrente - che deduce, ai sensi dell’art. 360, numero 3, c.p.c., una violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. - l’ex marito non avrebbe dimostrato il danno subito e il giudice del merito avrebbe liquidato una somma utilizzando, illegittimamente, il criterio equitativo il quale, tuttavia, presuppone, ex art. 1226 c.c., l’impossibilità della parte di provare l’esatto ammontare del danno, mentre in tal caso sussisterebbe una inerzia probatoria imputabile all’attore. La liquidazione equitativa del danno ha costituito, altresì, oggetto del ricorso incidentale proposto dall’ex marito che, tuttavia, è stato dichiarato inammissibile dai Supremi Giudici poiché la doglianza era stata espressa senza aver formulato i motivi specifici del ricorso per Cassazione e senza aver prefigurato i vizi della pronuncia sussumibili in una delle fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c. I Giudici della legittimità, invece, dichiarano parzialmente fondato il terzo motivo proposto dalla ricorrente poiché il giudice del merito ha esercitato il potere discrezionale di cui all’art. 1226 c.c. in mancanza dei presupposti stabiliti dalla norma. In conclusione. La Terza Sezione civile della Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il primo e il secondo motivo del ricorso principale mentre ne ha parzialmente accolto il terzo. Si è anche dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 12 ottobre – 8 novembre 2016, numero 22638 Presidente/Relatore Spirito Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 21 ottobre 2005, A.A. - premesso che con scrittura del 18 marzo 2001 aveva stipulato una transazione con la ex moglie, G.V. , nei confronti della quale era debitore di una somma quantificata in Lire 117.000.000, scaturente in parte dagli obblighi di mantenimento dell’ex coniuge e delle tre figlie, in parte dall’obbligo di versare mensilmente il 50% del valore locativo della casa familiare nella quale aveva continuato ad abitare che in base alla transazione egli si sarebbe liberato attraverso la cessione della quota di proprietà 50% dell’appartamento fino alla concorrenza di Lire 100.000.000 e attraverso il versamento di un assegno mensile di lire 1.000.000 sino all’estinzione della parte residua del debito Lire 17.000.000 che nel medesimo atto era stato pattiziamente regolato per il futuro il mantenimento delle tre figlie, quantificandosi il contributo da lui dovuto a tale titolo in Lire 1.200.000 mensili e stabilendosi che egli avrebbe adempiuto a questa obbligazione facendosi carico di tutte le spese, ordinarie e straordinarie, necessarie per il mantenimento della figlia F. durante il corso di studio da lei seguito presso la omissis e a [], mentre la G. avrebbe provveduto all’integrale mantenimento delle altre due figlie, S. e L. che l’equilibrio tra le obbligazioni reciprocamente assunte si era alterato in ragione della circostanza sopravvenuta di pochi mesi alla stipulazione dell’accordo transattivo ed indebitamente taciutagli dall’ex moglie che la figlia S. aveva iniziato a lavorare, raggiungendo la propria autosufficienza economica e che il contegno della G. aveva costituito inadempimento dell’obbligazione assunta con l’accordo transattivo - convenne quest’ultima dinanzi al Tribunale di Palermo chiedendone la condanna al risarcimento del danno, da quantificarsi in Euro 35.181,52 di cui Euro 30.191,52 corrispondenti alla metà delle spese straordinarie sostenute per la figlia F. ed Euro 5.000,00 per danni morali, lucro cessante e/o danno emergente, oltre interessi legali. Si costituì in giudizio la convenuta, resistendo alla domanda ed invocandone il rigetto. Con sentenza del 18 agosto 2009 il Tribunale di Palermo, qualificata la domanda come domanda di risarcimento del danno per violazione dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto ai sensi dell’articolo 1375 c.c., la accolse parzialmente e condannò G.V. a pagare ad A.A. la somma di Euro 10.000,00, oltre interessi dalla domanda al saldo, ritenendo entro tali limiti provato, nel quantum, il pregiudizio subito dall’attore. Con sentenza del 20 luglio 2013 numero 1024, la Corte di Appello di Palermo rigettò l’appello principale proposto da G.V. , nonché l’appello incidentale proposto da A.A. , e confermò la sentenza del primo giudice, compensando integralmente tra le parti le spese del grado. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale decise sulla base dei seguenti rilievi I. correttamente il Tribunale, nell’interpretare la scrittura del 18 marzo 2001, aveva attribuito al contratto stipulato tra gli ex coniugi una duplice natura ravvisando, nella prima parte di esso, una transazione volta a risolvere, mediante reciproche concessioni, i rapporti litigiosi pendenti tra le parti e, nella seconda parte, un accordo valevole per il futuro in ordine alla reciproca ripartizione degli oneri economici connessi con il mantenimento delle figlie II. altrettanto correttamente il primo giudice aveva qualificato la domanda proposta dall’A. come domanda risarcitoria per violazione del principio di buona fede in sede di esecuzione del contratto, sancito dall’articolo 1375 c.c., atteso che, pur in difetto di un espresso richiamo a tale principio, nella citazione introduttiva si era fatto riferimento al comportamento di malafede della G. deducendo che essa, ledendo lo spirito collaborativo posto alla base dell’accordo economico, aveva ingannevolmente omesso di comunicare che la figlia aveva iniziato un’attività lavorativa, così determinando uno squilibrio nella distribuzione del carico economico a sfavore dell’ex marito. Il tribunale aveva quindi correttamente esercitato il potere di qualificazione della domanda senza ledere i principi della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e del contraddittorio III. nel merito, la sussistenza del dedotto comportamento improntato a malafede doveva ritenersi pacifica, atteso, da un lato, che la G. non aveva contestato di avere volontariamente omesso di comunicare all’ex coniuge la circostanza che la figlia S. aveva iniziato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dal luglio 2001 e considerato, dall’altro lato, che questa circostanza aveva indubbiamente comportato uno squilibrio tra le reciproche prestazioni delle parti in quanto mentre l’A. aveva continuato a sostenere l’intero carico delle spese sostenute dalla figlia F. per la frequentazione del corso di studi, la G. aveva dovuto continuare a mantenere una sola figlia, avendo l’altra raggiunto l’autosufficienza economica. Pertanto, se la G. avesse doverosamente provveduto a comunicare la circostanza medesima all’ex marito, le condizioni dell’accordo avrebbero potuto essere modificate con l’accollo, da parte sua, di una parte dell’onere economico gravante sull’altro genitore IV. anche con riguardo al quantum, ancora, la decisione del primo giudice era esente da censure in quanto l’A. aveva provato l’esborso almeno della somma di complessivi Euro 6.982,26 mediante il deposito delle fotocopie di 4 assegni emessi dalla figlia F. all’ordine della OMISSIS e in quanto doveva altresì tenersi conto della complessità degli accordi intervenuti tra gli ex coniugi e della durata della situazione di squilibrio delle reciproche prestazioni, protrattasi fino al dicembre 2002, epoca di conclusione del corso di studi da parte della medesima figlia. La correttezza della decisione sul quantum induceva, infine, anche al rigetto dell’appello incidentale, posto che l’A. non aveva documentato altre spese, oltre la somma di Euro 6.982,26, ed era rimasta sfornita di prova anche la domanda di danno morale e di lucro cessante. avverso questa sentenza, G.V. ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Ha resistito con controricorso A.A. , proponendo altresì ricorso incidentale. Motivi della decisione I. Con il primo motivo G.V. ha dedotto, ai sensi dell’articolo 360, numero 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 1965, secondo comma, c.c Secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che l’accordo del 18 marzo 2001 fosse articolato in due parti distinte e reciprocamente autonome. Piuttosto, avuto riguardo alla regola che consente che con le reciproche concessioni oggetto della transazione le parti possano creare, modificare od estinguere anche rapporti diversi da quello controverso, l’accordo in questione avrebbe dovuto essere interpretato in senso unitario, valutando nella loro complessità le reciproche concessioni ed obbligazioni convenute tra le parti. Una simile interpretazione avrebbe consentito di escludere l’alterazione dell’equilibrio delle reciproche prestazioni in considerazione, per un verso, del preventivo sacrificio economico cui ella si era sottoposta e, per altro verso, dell’esplicita chiarezza degli accordi i quali prevedevano la distribuzione tra le parti del mantenimento delle figlie a prescindere dal loro bisogno, di tal che la sopravvenuta circostanza che la figlia S. aveva raggiunto l’autosufficienza economica, quantunque taciuta all’A. , non aveva avuto alcuna incidenza sulla obbligazione di quest’ultimo di provvedere al mantenimento agli studi della figlia F. . I.1 . Il motivo è inammissibile. L’affermazione contenuta nella sentenza impugnata - secondo cui correttamente il Tribunale aveva individuato due distinti accordi nella scrittura del 18 marzo 2001, attribuendo alla prima parte di essa la natura di transazione e alla seconda parte la natura di accordo economico valevole per il futuro - è un’affermazione ad abundantiam che non si identifica con la ratio decidendi della medesima. La condanna della G. al risarcimento del danno ha trovato infatti fondamento esclusivamente nel rilievo che il suo contegno successivo alla scrittura e volto a tacere all’ex marito la sopravvenuta circostanza dell’inizio dell’attività lavorativa da parte della figlia S. costituisse violazione del dovere di buona fede in sede esecutiva e concretasse, pertanto, una forma di inesatto adempimento alle obbligazioni derivanti dall’accordo, la natura del quale non ha assunto pertanto alcuna rilevanza, nell’economia della decisione di merito, ai fini della configurazione dell’obbligo risarcitorio, scaturendo quest’ultimo unicamente dal ritenuto contegno inadempiente dell’obbligata. Il rilievo che il motivo di ricorso in esame censuri un’argomentazione della sentenza impugnata non costituente una ratio decidendi della medesima, induce a dichiararlo inammissibile, in conformità al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui le affermazioni ad abundatiam , che non spieghino alcuna influenza sul dispositivo della sentenza, non possono essere oggetto di ricorso per cassazione per difetto di interesse, essendo improduttive di effetti giuridici Cass. civ., Sez. 3, 5 giugno 2007, numero 13068, Rv. 597597 Cass. civ., Sez. 3, 19 febbraio 2009, numero 4053, Rv. 607020 Cass. civ., Sez. 3, 9 aprile 2009, numero 8676, Rv. 607845 v. anche, più recentemente, Cass. civ., Sez. lav., 22 ottobre 2014, numero 22380, Rv. 633495 . II. Con il secondo motivo G.V. ha dedotto, ai sensi dell’articolo 360 numero 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 112 c.p.c Ad avviso della ricorrente, il giudice del merito, qualificando la domanda come domanda risarcitoria per violazione del principio di buona fede in sede di esecuzione del contratto, sancito dall’articolo 1375 c.c., avrebbe indebitamente sostituito la causa petendi dell’azione esercitata dall’A. , ponendo a fondamento della pronuncia un fatto costitutivo diverso da quello dedotto dall’attore. Quest’ultimo avrebbe infatti allegato un inadempimento contrattuale fondato sul presunto squilibrio delle reciproche prestazioni senza prospettare la lesione dell’articolo 1375 c.c. ed avrebbe evocato il non corretto comportamento della G. solo ed esclusivamente al fine di fornire elementi a sostegno della domanda di risarcimento del danno da inadempimento . II.2. Anche questo motivo è inammissibile. La violazione di norme processuali, dando luogo a vizio di attività e a nullità del processo e della sentenza error in procedendo , deve essere dedotta mediante la sussunzione del vizio nella fattispecie di cui all’articolo 360 numero 4, c.p.c., atteso che quella di cui al precedente numero 3 del medesimo articolo si riferisce alla violazione di norme sostanziali, che dà luogo ad errore di giudizio direttamente incidente sull’oggetto della decisione di merito error in iudicando . Tra gli errores in procedendo , da denunciare ai sensi del numero 4 dell’articolo 360 c.p.c., rientrano le prospettate violazioni degli artt. 101 e 112 c.p.c., le quali, integrando rispettivamente una fattispecie di lesione del contraddittorio e di ultrapetizione, determinerebbero, in tesi, la nullità del procedimento e della sentenza impugnata. La circostanza che la ricorrente abbia invece inteso far valere tali vizi ai sensi dell’articolo 360, numero 3 c.p.c., senza fare alcun riferimento alle conseguenze nullità del procedimento e della sentenza derivanti dall’errore sulla legge processuale, impone la declaratoria di inammissibilità del motivo di ricorso in esame, in applicazione del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, pur non essendo indispensabile la formale ed esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al numero 4 del primo comma dell’articolo 360 c.p.c., è peraltro necessario che il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dal vizio denunciato, dovendosi reputare inammissibile il gravame che si limiti ad argomentare sulla violazione di legge Cass. civ., Sez. Unumero , 24 luglio 2013, numero 17931, Rv. 627268 v. anche Cass. civ., Sez. 3, 17 settembre 2013, numero 21165, Rv. 628690 e, più recentemente, Cass. civ., Sez. 6-3, Ord. 28 settembre 2015, numero 19124, Rv. 636722 . III. Con il terzo motivo, G.V. ha dedotto, ai sensi dell’articolo 360 numero 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 1226 c.c Secondo la ricorrente, A.A. non avrebbe assolto l’onere di dimostrare il danno asseritamente subito in quanto le fotocopie dei 4 assegni da lui depositate per un ammontare complessivo di Euro 6.982,26 si riferivano a titoli emessi dalla figlia F. e non provavano dunque la sussistenza di pagamenti a lui riconducibili. Illegittimamente, pertanto, il giudice del merito aveva proceduto alla liquidazione del danno tra l’altro, nel maggiore ammontare di Euro 10.000,00, oltre interessi utilizzando il criterio equitativo, in quanto l’utilizzo di questo criterio presuppone, ai sensi dell’articolo 1226 c.c., oltre alla prova dell’esistenza del pregiudizio, l’obiettiva impossibilità o la notevole difficoltà di dimostrarne l’ammontare e non può sopperire all’inerzia probatoria imputabile alla parte. IV. La liquidazione equitativa del danno operata dalla Corte territoriale costituisce oggetto anche del ricorso incidentale proposto da A.A. il quale si è doluto, all’inverso, di una quantificazione eccessivamente contenuta, avendo egli dedotto di aver subito un pregiudizio maggiore, stimabile - come già evidenziato nell’originaria citazione - in Euro 35.181,52 di cui Euro 30.191,52 corrispondenti alla metà delle spese straordinarie sostenute per la figlia F. ed Euro 5.000,00 per danni morali, lucro cessante e/o danno emergente, oltre interessi legali. Tale doglianza - la quale deve essere esaminata congiuntamente a quella espressa con il terzo motivo del ricorso principale, stante l’evidente connessione - è stata peraltro espressa dal ricorrente incidentale senza la formulazione di specifici motivi di ricorso per cassazione e senza la prefigurazione di vizi della pronuncia sussumibili in una delle fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c Il ricorso incidentale di A.A. deve dunque dichiararsi inammissibile, in conformità al disposto dell’articolo 375 numero 1 c.p.c. che fa seguire tale sanzione alla mancanza dei motivi previsti dall’articolo 360 e dell’articolo 366 numero 4 c.p.c., che richiede, sempre a pena di inammissibilità, che il ricorso per cassazione contenga, tra l’altro, i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano . Parzialmente fondato è invece il terzo motivo del ricorso principale di G.V. . Invero, La Corte di merito, mentre ha reputato del tutto sfornita di prova la domanda di liquidazione del danno morale, del lucro cessante e del l’ulteriore danno emergente, ha ritenuto che quello consistente nelle spese sostenute dall’A. per il mantenimento agli studi della figlia F. fosse stato documentalmente provato, attraverso il deposito delle fotocopie di 4 assegni emessi dalla figlia medesima all’ordine della OMISSIS , nei limiti di Euro 6.982,26, ed ha chiarito che la residua documentazione prodotta dal danneggiato non era idonea a dimostrare un pregiudizio ulteriore, non potendo inferirsi dalla sola sussistenza di altri assegni e di un tabulato dell’estratto conto la riferibilità delle spese effettuate con i primi e la destinazione delle somme indicate nel secondo agli studi della figlia. Sulla scorta di queste argomentazioni, la Corte territoriale, preso atto della parziale assoluzione dell’onere della prova da parte dell’A. , avrebbe dovuto pertanto liquidare in Euro 6.982,26 il complessivo danno da lui subito, senza ampliarne l’ammontare attraverso un’indebita liquidazione equitativa volta a tenere conto anche della complessità degli accordi intervenuti tra i due ex coniugi e della durata per la quale si è protratta la situazione di squilibrio delle reciproche prestazioni . Il ricorso al criterio equitativo è infatti consentito, ai sensi dell’articolo 1226 c.c., non già per sopperire alle carenze probatorie imputabili al danneggiato ma soltanto al fine di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del pregiudizio, allorché sia obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare, nel suo preciso ammontare, il danno di cui è certa la sussistenza, sicché la parte non può esimersi dal provare elementi utili alla quantificazione di cui possa ragionevolmente disporre da ultimo, Cass. civ., Sez. 3, 8 gennaio 2016, numero 127, Rv. 638248 . Avendo il giudice del merito esercitato il potere discrezionale conferito dall’articolo 1226 c.c. in mancanza dei presupposti stabiliti dalla norma, la sentenza deve essere cassata in parziale accoglimento del terzo motivo di ricorso principale. Poiché inoltre non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere la causa nel merito articolo 384, secondo comma, c.p.c. , riducendo la condanna di G.V. al pagamento, in favore di A.A. , della somma di Euro 6.982,26. Tale somma, vertendosi in materia di obbligazione risarcitoria, avente natura di debito di valore, deve essere annualmente rivalutata secondo gli indici Istat dal momento dell’inadempimento sino alla data di pubblicazione della sentenza e deve essere accresciuta degli interessi, nella misura legale Già Cass., Sez. Unumero , numero 1712/1995 successivamente v. Cass. civ., Sez. 3, 18 luglio 2011, numero 15709, Rv. 619503 Cass. civ., Sez. 1, 17 settembre 2015, numero 18243, Rv. 636751 . Questi ultimi devono calcolarsi sul credito espresso in moneta all’epoca del fatto e poi rivalutato anno per anno sino al saldo Cass. civ., Sez. 3, 10 ottobre 2014, numero 21396, Rv. 632983 . L’esito della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese dei gradi di merito, nonché di quelle della procedura relativa all’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza cassata istanza proposta dalla ricorrente, ai sensi dell’articolo 373 c.p.c., e respinta dalla Corte territoriale con ordinanza del 6 febbraio 2015 la cui liquidazione è stata chiesta dai difensori di A.A. con memoria del 9 dicembre 2015. Stante il limitato accoglimento del ricorso proposto da G.V. , le spese del giudizio di cassazione vanno compensate nella misura di due terzi, dovendo condannarsi A.A. , resistente e ricorrente incidentale, a rimborsare alla ricorrente principale il residuo terzo, liquidato come da dispositivo. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato articolo 13. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile i primi due motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale. In parziale accoglimento del terzo motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna G.V. a pagare ad A.A. la somma di Euro 6.982,26 da rivalutare annualmente secondo gli indici Istat fino alla data di pubblicazione della sentenza e da accrescere degli interessi legali da calcolarsi sul credito espresso in moneta all’epoca del fatto e poi rivalutato anno per anno sino al saldo. Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito e quelle della procedura relativa all’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza cassata, nonché, nella misura di due terzi, quelle del giudizio di legittimità e condanna A.A. a rimborsare a G.V. il terzo residuo che si liquida in Euro 1.700,00, oltre accessori e spese generali come per legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato articolo 13.