Nesso causale ed estensione della responsabilità in tema di risarcimento danni

Tendenzialmente, in tema di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale non si pone un problema di nesso di causalità tra comportamento ed evento dannoso, bensì di estensione della responsabilità, e il danno risarcibile coincide con la perdita o il mancato guadagno, conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, delimitati in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra situazione dannosa e situazione che vi sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato.

È quanto ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 18832/16, depositata il 26 settembre. Il caso. Il Tribunale di Taranto accoglieva la domanda dell’attore volta a condannare due coniugi al pagamento di una somma di denaro a saldo del lavori dal primo eseguiti sul terreno e fabbricato di loro proprietà, rigettando la domanda riconvenzionale di risarcimento danni. La Corte d’appello accoglieva il gravame proposto dai soccombenti, rigettando la domanda di pagamento e accogliendo parzialmente la domanda di risarcimento danni proposta riconvenzionalmente dai coniugi. L’appaltatore propone dunque ricorso per cassazione. L’erronea unicità dell’incarico. La Suprema Corte evidenzia innanzitutto che i lavori eseguiti dal ricorrente presso gli immobili dei coniugi erano avvenuti in due luoghi diversi in un locale a Palagianello, per il quale i committenti avevano eccepito il mancato completamento dei lavori, e in un terreno sito in Palagiano, per il quale avevano contestato l’entità dei lavori e dedotto l’avvenuto pagamento. L’errore della Corte d’appello era consistito nell’aver ragionato in termini di unicità dell’incarico, qualificato come appalto, e nell’aver dunque applicato la previsione di cui all’art. 1665 c.c. rilevando che non vi era prova dell’accettazione delle opere eseguite. Ciò ha comportato un vizio sia processuale che motivazionale, in quanto la Corte ha considerato unitariamente ciò che nella realtà processuale era chiaramente distinto. Il nesso causale. La Corte d’appello ha poi riconosciuto il danno sulla base del giudizio probabilistico dell’ id quod plerumque accidit in quanto ha ritenuto che il mancato completamento dei lavori sull’immobile avesse determinato l’impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile in relazione alla sua natura normalmente fruttifera , e ha quindi liquidato il danno con riferimento al valore locativo per il periodo di 10 anni. Osserva la S.C., però, che il ragionamento operato dalla Corte territoriale è scorretto poiché non ha tenuto conto del comportamento dei committenti, rimasti inerti per 10 anni, durante i quali avrebbero potuto completare i lavori con spesa modica per mettere a reddito l’immobile. Tendenzialmente, in tema di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale non si pone un problema di nesso di causalità tra comportamento ed evento dannoso, bensì di estensione della responsabilità, e il danno risarcibile coincide con la perdita o il mancato guadagno, conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, delimitati in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra situazione dannosa e situazione che vi sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato. Nell’indagine demandata al giudice di merito rilevano eventuali fattori sopravvenuti all’inadempimento, compreso il comportamento del contraente adempiente, che possono incidere nella direzione dell’estensione della responsabilità.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 25 maggio – 26 settembre 2016, n. 18832 Presidente Manna – Relatore Picaroni Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza in data 2 marzo 2006, il Tribunale di Taranto accolse la domanda proposta da M.M. , e condannò i coniugi M.P. e C.C. a pagare all’attore Euro 23.628,99, a saldo dei lavori dallo stesso eseguiti su terreno e fabbricato di loro proprietà, e rigetto la domanda ri-convenzionale di risarcimento danni. 2. - La Corte d’appello di Lecce - sez. distaccata di Taranto, con sentenza depositata il 7 ottobre 2010 e notificata il 5 maggio 2011, in accoglimento del gravame principale proposto dai coniugi M.-C. , ha rigettato la domanda di pagamento proposta da M.M. ed ha accolto parzialmente la domanda di risarcimento danni proposta in riconvenzionale dai predetti coniugi. La Corte distrettuale ha osservato, in sintesi a che non vi era stata accettazione senza riserve dell’opera da parte dei committenti, la cui prova incombeva sull’appaltatore b che il mancato completamento dei lavori, eccepito dai committenti, paralizzava la domanda di pagamento c che sussisteva il danno da mancato utilizzo del locale di OMISSIS . 3. - Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso M.M. , sulla base di sette motivi. Resistono con controricorso Mo.Pi. e C.C. . In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Considerato in diritto 1. - Il ricorso è fondato. 1.1. - Con il primo motivo è dedotta violazione degli artt. 112, 132, n. 4, cod. proc. civ., 111 Cost., e vizio di motivazione, e si contesta che i lavori commissionati dai coniugi M.-C. erano distinti, come riconosciuto dagli stessi committenti in comparsa di risposta, e che l’eccezione di inadempimento per mancato completamento delle opere era riferita soltanto alla commessa riguardante l’immobile sito in omissis , mentre la Corte d’appello aveva considerato unitariamente i lavori, senza peraltro motivare al riguardo. 2. - Con il secondo motivo è dedotta violazione degli artt. 115, 132, n. 4, cod. proc. civ., 111, sesto comma, Cost., e vizio di motivazione e si contesta che la Corte d’appello non aveva tenuto conto della mancata presentazione dei coniugi M.-C. a rendere l’interrogatorio formale ad essi deferito, riguardante anche l’elencazione dei lavori, e le dichiarazioni rese dai testi sul punto. 3. - Con il terzo motivo è dedotto vizio di motivazione, e si contesta l’accertamento compiuto dalla Corte d’appello in ordine all’abbandono dei lavori da parte di M. , alla mancata accettazione tacita degli stessi da parte dei committenti, e all’inadempimento complessivo di M. senza considerare le risultanze probatorie e senza motivare. 3.1. - La doglianza prospettata con il primo motivo, che risulta prioritaria anche sul piano logico, è fondata e va accolta con conseguente assorbimento del secondo e del terzo motivo, evidentemente connessi in quanto vertenti sulla valutazione del materiale probatorio che dovrà essere comunque riesaminato in sede di rinvio. 3.2. - Risulta dagli atti che i lavori commissionati al M. riguardavano distinti immobili, e cioè il terreno sito in località omissis e il locale sito in località omissis . Nella comparsa di risposta i committenti convenuti avevano eccepito il mancato completamento dei lavori riguardanti il predetto locale, mentre per quelli eseguiti sul terreno in omissis differenziati a loro volta in fase 1 e fase 2, così testualmente in comparsa di risposta avevano contestato l’entità dei lavori e dedotto l’avvenuto pagamento, La Corte d’appello ha ragionato, invece, in termini di unicità dell’incarico, che ha qualificato come appalto, ed ha applicato la previsione contenuta nell’art. 1665 cod. civ. rilevando che non vi era prova dell’accettazione delle opere eseguite, essendo peraltro emerso che M. aveva abbandonato il cantiere. La ricostruzione così operata risulta viziata sul piano sia processuale sia motivazionale, per avere la Corte distrettuale considerato unitariamente ciò che nella realtà processuale, come delineata nel contraddittorio delle parti, era chiaramente distinto, estendendo ai lavori pacificamente eseguiti l’eccezione di inadempimento per mancato completamento. 4. - Con il quarto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1655 e ss., 2222 e ss., cod. civ., 132, n. 4, cod. proc. civ., 111, sesto comma, Cost. e vizio di motivazione, e si contesta che la Corte d’appello aveva qualificato il contratto intervenuto tra le parti contemporaneamente come appalto e come prestazione d’opera, a fronte di differenze significative delle rispettive discipline, in particolare con riferimento alla fase conclusiva dell’esecuzione, che nell’un caso prevede l’accettazione e nell’altro la consegna dell’opus. 4.1. - La doglianza è infondata, in quanto la Corte d’appello ha fatto applicazione della disciplina dell’appalto, come si evince chiaramente dai riferimenti normativi utilizzati. 5. - Con il quinto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1668, 1453 e ss. cod. civ., e vizio di motivazione, e si contesta la qualificazione del contratto come appalto, alla luce delle risultanze processuali. 5.1. - La doglianza, che è conseguenziale al solo terzo motivo di ricorso, è assorbita, al pari del terzo motivo e per le stesse ragioni, nell’accoglimento del primo motivo di ricorso. 6. - Con il sesto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 cod. civ., 132, n. 4, cod. proc. civ., e vizio di motivazione. Si contesta il riconoscimento del danno da lucro cessante per il mancato completamento dei lavori riguardanti il locale sito in omissis , che la Corte d’appello ha affermato sulla base dell’ id quod plerumque accidit e identificato nel reddito ricavabile dalla locazione del locale medesimo, in relazione al periodo dal 1994 al 2004. Secondo il ricorrente mancherebbe il nesso di causalità tra l’inadempimento e la perdita di reddito per il periodo di dieci anni, durante il quale i committenti avrebbero potuto, con spesa modica, eliminare i vizi e difetti in modo da rendere il locale utilizzabile. In ogni caso, trattandosi di perdita di mera chance e non di una concreta occasione di locare l’immobile a terzi, la liquidazione avrebbe dovuto essere prudenzialmente contenuta, tenuto conto anche delle caratteristiche del locale e del mercato di riferimento. 7. - Con il settimo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1337, 1375 cod. civ. e del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e si assume che il riconoscimento dell’importo di quasi 20 mila Euro - pari a dieci anni di canoni di locazione non percepiti a causa del mancato completamento dei lavori, a fronte del costo per il completamento stimato dal CTU in circa 1.500 euro - sia incompatibile con l’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme in materia di obbligazioni. 7.1. - Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente per l’evidente connessione, sono fondate. La Corte d’appello ha riconosciuto il danno sulla base del giudizio probabilistico dell’ id quod plerumque accidit , ritenendo che il mancato completamento dei lavori sull’immobile avesse determinato l’impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile in relazione alla sua natura normalmente fruttifera, e quindi ha liquidato il danno con riferimento al valore locativo per il periodo di dieci anni, come richiesto. Il ragionamento della Corte di merito non è corretto in quanto non tiene in alcun conto il comportamento dei committenti, rimasti inerti per dieci anni, durante i quali avrebbero potuto completare i lavori con spesa modesta per mettere a reddito l’immobile. In tema di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale, poiché il soggetto responsabile è il contraente inadempiente, normalmente non si pone un problema di nesso di causalità tra comportamento ed evento dannoso, ma di estensione della responsabilità, e il danno risarcibile coincide con la perdita o il mancato guadagno conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, delimitati in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra situazione dannosa e situazione quale sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato ex plurimis, Cass., sez. 1, sentenza n. 11629 del 1999 . Nell’indagine demandata al giudice di merito rilevano eventuali fattori sopravvenuti all’inadempimento, compreso il comportamento del contraente adempiente, che possono incidere quanto meno nella direzione della estensione della responsabilità. L’errore di giudizio in cui è incorsa la Corte d’appello ridonda sulla decisione in ordine al quantum liquidato, che risulta perciò privo di giustificazione, anche alla luce della interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina del risarcimento del danno contrattuale. 8. - All’accoglimento del ricorso, per quanto di ragione, segue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, che procederà al riesame dell’appello principale e provvederà anche a regolare le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo, il sesto ed il settimo motivo di ricorso, rigetta il quarto motivo, assorbiti i rimanenti, cassa e rinvia, anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’appello di Lecce.