Gestione della cosa comune: se manca la maggioranza si ricorre all’autorità giudiziaria

In materia di comproprietà di immobili, ai fini delle decisioni sull’utilizzo di questi, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza, dovrà essere sentita l’autorità giudiziaria, come previsto dall’art. 1105, ultimo comma, c.c

In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13353/16, depositata il 28 giugno. Il caso. Il Tribunale di Vicenza accoglieva parzialmente la domanda di un attore che chiedeva il risarcimento del danno patito a causa dell’opposizione del di lui comproprietario di un immobile – distinto in due unità immobiliari – a dare in locazione l’unità immobiliare del piano terra o, in via alternativa, al pagamento di una somma identica al titolo di corrispettivo per l’occupazione della porzione del bene al primo piano. Il comproprietario proponeva dunque appello, che veniva accolto, con conseguente rigetto della domanda del primo attore. Quest’ultimo ricorreva quindi in Cassazione. L’ultrapetizione. I due motivi di ricorso del ricorrente possono essere esaminati congiuntamente. Egli lamenta error in procedendo , violazione e falsa applicazione degli artt. 33, 112, 329, comma 2, 342, 346 c.p.c., nullità della sentenza ed arbitrarietà, illogicità ed omissione della motivazione, in particolare perché la decisione sarebbe stata viziata da ultrapetizione. Ultrapetizione, poiché – a detta del ricorrente – il giudice dell’appello aveva rilevato d’ufficio il mancato previo espletamento della procedura di cui all’art. 1105, ultimo comma, c.c., nonostante nell’atto di impugnazione non fosse stata sollevata alcuna doglianza a riguardo. La gestione della cosa comune l’art. 1105 c.c La Corte rigetta il ricorso per infondatezza dei motivi. L’art. 1105 c.c., che disciplina la gestione della cosa comune, prevede che, nel caso in cui i comproprietari non arrivino a una decisione presa a maggioranza, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria. Ed essendo nel caso sub specie la comproprietà al 50%, le decisioni sulla cosa comune dovevano essere rimesse all’autorità giudiziaria, ma ciò non è avvenuto. Peraltro, non trattasi di un caso di ultrapetizione, in quanto lo stesso ricorrente ha riconosciuto che il resistente aveva richiamato l’ultimo comma dell’art. 1105 c.c. nella comparsa di costituzione di primo grado e in quella conclusionale d’appello, e, dunque, il fatto che tale articolo non fosse stato menzionato nell’atto di appello è privo di rilievo. Infatti, la Corte d’appello di Venezia, nell’esaminare la domanda di risarcimento, aveva il dovere di accertare d’ufficio l’esistenza dei suoi elementi costitutivi e, in particolare, l’illiceità della condotta dell’attuale resistente e la presenza di un danno causalmente riconducibile alla sua opposizione alla locazione dell’immobile sito al piano inferiore . In particolare, peraltro, le conclusioni trascritte nella sentenza impugnata in appello dell’attuale resistente erano nel senso di chiedere che la domanda dell’attuale ricorrente fosse ritenuta infondata nell’ an e nel quantum , e la verifica di ciò passava necessariamente dall’accertamento degli elementi costitutivi del diritto al risarcimento, ricompresa quindi anche la questione del mancato rispetto dell’art. 1105 c.c

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 2 febbraio – 28 giugno 2016, n. 13353 Presidente Mazzacane – Relatore Parziale Fatti di causa 1. Con atto di citazione notificato il 15 settembre 2006 Z.G. conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Vicenza, Z.M., esponendo di essere comproprietario con lo stesso di un fabbricato sito in OMISSIS e composto di due unità immobiliari, delle quali una al piano terra e l’altra al piano primo. Chiedeva la condanna del convenuto al risarcimento del danno patito a causa dalla sua opposizione a dare in locazione l’unità immobiliare al piano terra o, in via alternativa, al pagamento di una somma identica al titolo di corrispettivo per l’occupazione della porzione del bene al primo piano. 2. Il Tribunale di Vicenza, nel contraddittorio delle parti, accoglieva parzialmente la domanda attrice. 3. Z.M. proponeva appello contro la sentenza del Tribunale di Vicenza. 4. La Corte di Appello di Venezia, nella resistenza dell’appellato, con sentenza n. 524/11, accoglieva l’appello principale e, quindi, rigettava la domanda di Z.G. . Motivava la sua decisione affermando che non vi erano i presupposti per la condanna al risarcimento del danno e che Z.G. avrebbe dovuto eventualmente adire l’autorità giudiziaria per essere autorizzato a locare l’immobile, ai sensi dell’art. 1105 cod. civ 5. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Z.G. , articolando su due motivi, mentre Z.M. ha resistito con controricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo ed il secondo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro stretta connessione, Z.G. lamenta error in procedendo, violazione e falsa applicazione degli articoli 99, 112, 329, comma 2, 342, 346 c.p.c. nullità della sentenza ed arbitrarietà, illogicità ed omissione della motivazione, in particolare perché la decisione sarebbe stata viziata da ultrapetizione, avendo il giudice di appello rilevato d’ufficio il mancato previo espletamento della procedura di cui all’art. 1105, ultimo comma, c.c. nonostante alcuna doglianza al riguardo fosse stata sollevata nell’atto di impugnazione. Ad avviso del ricorrente, infatti, la violazione dell’art. 1105 cod. civ. disciplina la gestione della cosa comune, prevedendo che Se non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero, se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore”. Nel caso di specie, la comproprietà è al 50%, sicché in assenza di accordo, le decisioni sulla cosa comune dovevano essere rimesse all’autorità giudiziaria. Ciò non è avvenuto. Lo stesso Z.G. ha riconosciuto nel suo ricorso che Z.M. aveva richiamato l’art. 1105, ultimo comma, c.c. nella comparsa di costituzione di primo grado e nella comparsa conclusionale d’appello, il che comporta che la questione era stata oggetto del contendere sia in primo che in secondo grado. Il fatto che detto articolo non fosse stato menzionato nell’atto di appello è privo di rilievo, in quanto la Corte di Appello di Venezia, nell’esaminare la domanda di risarcimento di Z.G. , aveva il dovere, alla luce della contestazione della sua fondatezza ad opera di Z.M. di accertare d’ufficio l’esistenza dei suoi elementi costitutivi, in particolare, nella specie, l’illiceità della condotta dell’attuale resistente e la presenza di un danno causalmente riconducibile alla sua opposizione alla locazione dell’immobile sito al piano inferiore. La circostanza che non fosse stata esperita la procedura di cui all’art. 1105, ultimo comma, c.c. pertanto, ben poteva essere presa in esame dalla Corte territoriale, perché idonea ad escludere il carattere illecito del rifiuto di Z.M. e, inoltre, l’esistenza stessa di un danno da lui provocato, considerato che Z.G. avrebbe potuto concludere la locazione, ove avesse chiesto l’intervento dell’autorità giudiziaria e fosse stato da questa a ciò autorizzato. D’altronde, le conclusioni di Z.M. trascritte nella sentenza impugnata sono nel senso di chiedere che la domanda di Z.G. sia ritenuta infondata nell’an e nel quantum ”, contestazione che non può non estendersi all’accertamento degli elementi costitutivi del diritto al risarcimento dell’attore, fino a farvi ritenere ricompresa, perciò, pure la questione del mancato rispetto dell’art. 1105, ultimo comma, c.c Deve ulteriormente osservarsi che la Corte di Appello di Venezia non poteva limitarsi, come nella sostanza propone il ricorrente, a valutare la fondatezza o meno delle ragioni addotte da Z.M. per giustificare il suo diniego, proprio perché tale valutazione era ad essa preclusa, in quanto riservata al giudice da adire ex art. 1105, ultimo comma, c.c La deduzione in grado di appello del mancato espletamento della procedura ex art. 1105, ultimo comma, c.c., si è risolta, pertanto, nella contestazione dei requisiti di fondatezza della domanda, la cui sussistenza andava verificata dal giudice anche d’ufficio, trattandosi di una mera difesa non soggetta a preclusioni. 3. Le spese di lite seguono la soccombenza ex articolo 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo. P.T.M. La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in Euro 2.000,00 duemila per compensi e Euro 200,00 duecento per esborsi.