Vuoi l'applicazione delle tabelle milanesi? Benissimo, ma devi allegarle

Le tabelle milanesi sono da considerare come parametro ai fini della valutazione equitativa del danno biologico. Se però il giudice del merito applica altre tabelle, l'eventuale differenza nella liquidazione del danno può essere richiesta in sede di legittimità con l'invocazione della violazione di legge solo se la stessa questione è stata posta già nel giudizio di merito e se le dette tabelle milanesi sono state allegate nel detto giudizio di merito.

E' il principio affermato, anzi confermato, dalla recente sentenza della Corte di Cassazione numero 8045, depositata il 21 aprile 2016. Il caso. Trasportato a bordo di un taxi, un malcapitato patisce lesioni gravissime dovute ad uno scontro dell'auto contro un albero. Citando tassista e assicurazione, chiede ed ottiene il risarcimento del danno a sentenza dichiara la responsabilità esclusiva del conducente e lo condanna, in solido con l'assicurazione, a pagare all'attore 150.500 euro , ma la decisione di primo grado non lo soddisfa. Ricorre allora in appello, ma anche lì, sebbene la sentenza riformi in meglio la precedente viene incrementata la liquidazione del danno morale, in considerazione dele cure richiose e dolorose affrontate , non è pago. Si rivolge allora alla Corte di Cassazione, ma non ottiene più altro. Tutte le sue domande vengono disattese. Vediamo perché. Le tabelle milanesi devono essere allegate già nel merito. Con il primo motivo il ricorrente contesta la mancata applicazione delle tabelle milanesi nella liquidazione del danno biologico. Afferma che l'applicazione delle tabelle romane gli ha comportato un riconoscimento inferiore a quello che sarebbe stato se invece i giudici avessero adottato quelle milanesi. Così egli lamentava una evidente diminuzione risarcitoria priva di giustificazione . La Corte di Legittimità rigetta la richiesta con la motivazione che sì, è vero, le tabelle adottate dal Tribunale di Milano per la liquidazione del danno biologico garantiscono un'uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale e sono, pertanto, da assumere quale parametro ai fini della valutazione equitativa di tale voce di danno . Si tratta di un principio già affermato dalla Corte con la sentenza numero 12408/2011, citata dal ricorrente e dalla stessa Corte. Ma, osserva Corte, quello stesso precedente ed altri successivi tra cui cita la sentenza numero 24205/2014 hanno anche aggiunto che, affinché il profilo di una liquidazione eventualmente inferiore conseguente all'applicazione di tabelle diverse possa essere oggetto di ricorso per cassazione per violazione di legge, occorre da una parte che la questione sia stata posta in sede di giudizio di merito e, dall'altra, che le tabelle milanesi siano state versate in atti . Non condivide dunque la Corte la prospettazione del ricorrente, secondo cui le dette tabelle costituiscono prassi e consuetudini”, e quindi, in quanto fonti del diritto, non dovrebbero essere allegate. Danno estetico e danno biologico. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente contesta la mancata valutazione di alcuni esiti sotto il profilo estetico cicatrici e dimorfismo del naso da parte della ctu e dunque afferma che il giudice avrebbe dovuto procedere ad una valutazione separata ed ulteriore del danno estetico rispetto al danno biologico. Gli viene opposto dalla Corte di Legittimità l'orientamento che ormai da tempo esclude una valutazione autonoma del danno estetico, considerandolo parte dell'unitario concetto di danno biologico . Si citano numerosi precedenti Cass. numero 11950/2013, numero 21716/2013, numero 23778/2014 . Perdita della capacità lavorativa e danno patrimoniale da lucro cessante La perdita della capacità lavorativa quarto motivo di ricorso non comporta in automatico il risarcimento del danno patrimoniale per lucro cessante, danno che va comunque provato. La mancata promozione, così come la variazione della retribuzione percepita, non rappresentano, secondo i giudici, una prova adeguata del danno. Un'altra supposizione, gli interessi per i mancati investimenti. Anche il quarto motivo, quello con cui il ricorrente chiede il pagamento degli interessi per il ritardato pagamento nella misura pari a quella del prime rate della banca presso cui lavorava , non merita accoglimento secondo i giudici. Anche in questo caso essi contestano l'assenza di prova circa il maggior danno che sarebbe conseguito dalla mancata disponibilità delle dette somme che sarebbero state destinate a lucrosi investimenti . Tariffe forensi manca la specifica indicazione della violazione. Infine, anche l'ultimo motivo, quello relativo alla liquidazione delle spese giudiziali, viene rigettato richiamando una giurispeudenza ormai consolidata” tra cui sono citate la sentenza numero 22983/2014 e l'ordinanza numero 2532/2015 , i giudici richiedono che la contestazione in sede di Legittimità della presunta violazione delle tariffe forensi da parte del giudice del merito contenga una specifica indicazione delle tariffe applicabili e delle violazioni compiute in ordine alle medesime . I giudici contestano pertanto al ricorrente di non avere posto la questione in maniera tale da consentire loro la verifica dell' effettiva sussistenza o meno della prospettata violazione tariffaria .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 gennaio – 21 aprile 2016, n. 8045 Presidente Vivaldi - Relatore Cirillo Svolgimento del processo 1. U.P. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, F.C. e la s.p.a. Nuova Tirrena Assicurazioni, chiedendo il risarcimento dei danni subiti in un incidente stradale nel quale egli viaggiava, in qualità di trasportato, a bordo del taxi condotto dal F. il quale, nel raggiungere l’aeroporto di Alghero, aveva perso il controllo del mezzo, finendo contro un albero e causando all’attore gravissime lesioni. Si costituì la sola società di assicurazioni, chiedendo il rigetto della domanda, mentre il F. rimase contumace. All’esito dell’istruttoria, il Tribunale accolse la domanda, dichiarò che l’incidente era da ricondurre a responsabilità esclusiva del F. e condannò i convenuti, in solido, al risarcimento dei danni liquidati nella misura di Euro 150.500, oltre interessi e con il carico delle spese di giudizio. 2. La pronuncia è stata appellata dall’U. in via principale e dalla società Nuova Tirrena Assicurazioni in via incidentale. La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 10 dicembre 2010, in parziale accoglimento dell’appello principale, ha condannato il F. e la società di assicurazione al pagamento dell’ulteriore somma di euro 30.000 a titolo di danno morale, nonché al rimborso della somma di Euro 414 per spese di consulenza tecnica di parte in parziale accoglimento dell’appello incidentale, dato atto del versamento, da parte della società di assicurazione, della somma di euro 107.813, ha disposto che dalle somme da versare all’U. fosse detratta quella ora indicata ha confermato, nel resto, la pronuncia di primo grado e ha condannato il F. e la società Nuova Tirrena Assicurazioni al pagamento delle ulteriori spese del grado. 2.1. Ha osservato la Corte territoriale che, quanto alla liquidazione del danno biologico, era da respingere il motivo di appello col quale ci si doleva della mancata applicazione delle tabelle milanesi non vi erano ragioni, infatti, per le quali il Tribunale avrebbe dovuto disattendere le tabelle in uso presso gli Uffici giudiziari della Capitale, tanto più che la somma riconosciuta a quel titolo - pari ad euro 80.000 - era conforme alle tabelle romane, tenendo conto dell’età del danneggiato e della percentuale di invalidità accertata. 2.2. Quanto al danno estetico, la Corte ha pure rigettato il motivo di appello, rilevando che il Tribunale aveva tenuto conto, nella liquidazione del danno biologico, anche degli esiti cicatriziali di cui alla c.t.u., oggetto della specifica domanda dell’U. . 2.3. Ha invece ritenuto la Corte di merito di dover incrementare la liquidazione del danno morale, in considerazione delle cure rischiose e dolorose che il danneggiato aveva dovuto affrontare, ed ha riconosciuto un aumento pari alla metà della somma liquidata per il danno biologico Euro 40.000 . 2.4. È stato poi respinto il motivo di appello volto ad ottenere la liquidazione del danno patrimoniale. Ha rilevato la Corte che, essendo tardivi i documenti nuovi prodotti in appello, non vi era alcuna prova del fatto che l’U. , dipendente del Banco di Sardegna, non avesse ottenuto la nomina a direttore in conseguenza dei danni subiti nell’incidente né vi era stata, a suo danno, alcuna diminuzione dello stipendio, avendo egli continuato a svolgere la stessa attività e gli stessi compiti che svolgeva prima dell’incidente , con uno stipendio variato a seconda dell’evoluzione della contrattazione di settore. 2.5. In relazione alla richiesta di ulteriori somme a titolo di danno esistenziale e danno alla vita di relazione, la Corte d’appello ha osservato che non risultava che la vittima avesse dimostrato di aver provato uno specifico pregiudizio esistenziale oltre quello presunto ed uguale per tutti tale da giustificare un ulteriore risarcimento. 2.6. La sentenza ha poi respinto anche il motivo col quale il danneggiato aveva chiesto il riconoscimento del maggior danno conseguente al tasso di redditività dei suoi risparmi, mancando la prova che l’U. avesse investito i suoi risparmi ad un tasso maggiore di quello liquidato dal Tribunale a titolo di rivalutazione. 2.7. Quanto, infine, alla liquidazione delle spese di giudizio, la Corte d’appello ha dichiarato l’infondatezza del relativo motivo di appello - salvo che per il rimborso delle spese della c.t. di parte - osservando che il difensore si era limitato ad una generica doglianza di inadeguatezza, senza indicare le specifiche voci tariffarie violate. 3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre U.P. con atto affidato a cinque motivi. Resiste con controricorso la Groupama Assicurazioni s.p.a., già Nuova Tirrena Assicurazioni. Le parti hanno depositato memorie. Con ordinanza 1 giugno 2015, n. 11356, questa Corte ha disposto il rinvio a nuovo ruolo per consentire il rinnovo della notifica del ricorso a Costantino F. dopo di che il ricorso è stato discusso all’udienza pubblica del 19 gennaio 2016. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 cod. civ., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla liquidazione del danno biologico ed all’invalidità permanente. Osserva il ricorrente che la mancata applicazione delle tabelle milanesi nella liquidazione del danno - motivata dalla Corte d’appello in modo non adeguato - avrebbe determinato per il danneggiato un’evidente diminuzione risarcitoria priva di giustificazione. Si osserva che il danno biologico doveva essere liquidato, secondo le tabelle del 2002, nella somma di Euro 100.694,05, divenuta euro 184.678 secondo le tabelle del 2011 tale somma avrebbe potuto e dovuto essere incrementata del 20 per cento, arrivando ad Euro 220.000. Quanto all’invalidità temporanea, essa avrebbe potuto essere determinata in Euro 150 al giorno per un totale di Euro 18.000 quanto all’invalidità assoluta ed Euro 4.500 per quella parziale . Le tabelle milanesi costituiscono, secondo il ricorrente, prassi e consuetudini che, attesa la loro natura di fonti del diritto, non dovrebbero essere specificamente allegate. 1.1. Il motivo è inammissibile. Si osserva, innanzitutto, che questa Corte, con la nota sentenza 7 giugno 2011, n. 12408, correttamente richiamata dal ricorrente, ha stabilito che le tabelle adottate dal Tribunale di Milano per la liquidazione del danno biologico garantiscono un’uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale e sono, pertanto, da assumere come parametro ai fini della valutazione equitativa di tale voce di danno. La citata sentenza, però, seguita da altre più recenti v. la sentenza 13 novembre 2014, n. 24205 , ha anche aggiunto che, affinché il profilo di una liquidazione eventualmente inferiore conseguente all’applicazione di tabelle diverse possa essere oggetto di ricorso per cassazione per violazione di legge, occorre da una parte che la questione sia stata posta in sede di giudizio di merito e, dall’altra, che le tabelle milanesi siano state versate in atti. Nel caso in esame, è pacifico che la questione è stata posta alla Corte d’appello di Roma, come risulta dal tenore della sentenza impugnata la quale ha dato atto che il primo motivo di appello lamentava, appunto, la mancata applicazione delle tabelle milanesi. Non risulta però dimostrato né l’odierno ricorso fornisce alcun ausilio sul punto che la Corte d’appello di Roma avesse realmente a disposizione, siccome prodotte dall’odierno appellante, dette tabelle. Dalla lettura della sentenza impugnata, invece, emerge solo che la Corte di merito ha ritenuto congrua la somma di Euro 80.000 già liquidata dal Tribunale, in quanto conforme a quanto stabilito dalle tabelle in uso presso il Tribunale di Roma. Il ricorso, d’altra parte, mentre nulla dice sull’effettiva produzione delle tabelle milanesi in sede di giudizio di appello, si limita ad indicare alcuni conteggi, affatto generici e privi di supporto documentale, secondo i quali quelle tabelle avrebbero consentito una liquidazione maggiore ma in tal modo esso non mette questa Corte in condizioni di valutare se effettivamente, ed in quale misura, il giudice d’appello abbia liquidato una somma minore rispetto alle tabelle assunte come parametro generale. Ne consegue, pertanto, che il motivo è inammissibile. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 cod. civ., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla liquidazione del danno estetico. Rileva il ricorrente che l’espletata c.t.u. aveva omesso ogni valutazione degli esiti cicatriziali e del dimorfismo del naso ciò avrebbe dovuto indurre il giudice ad una liquidazione separata ed ulteriore rispetto al danno biologico, mentre la motivazione della sentenza appare carente sul punto. 2.1. Il motivo non è fondato. La giurisprudenza di questa Corte ha ormai da tempo affermato, con un orientamento al quale si intende dare continuità, che il danno estetico, siccome facente parte dell’unitario concetto di danno biologico, non è suscettibile di un’autonoma valutazione, non costituendo un pregiudizio diverso da quello già risarcito in occasione della liquidazione del danno biologico v. sentenze 16 maggio 2013, n. 11950, 23 settembre 2013, n. 21716, e 7 novembre 2014, n. 23778 . Nel caso specifico, poi, la Corte d’appello ha dato atto che nella valutazione del danno biologico compiuta dal primo giudice, sulla base degli esiti della disposta c.t.u., si era anche tenuto conto degli esiti cicatriziali dei quali oggi il ricorrente lamenta l’omesso risarcimento. 3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 cod. civ., degli artt. 183, 184 e 345 cod. proc. civ., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione al danno patrimoniale da lucro cessante. Premette il ricorrente che la documentazione da lui prodotta in appello avrebbe dovuto essere considerata ammissibile, perché nei termini di cui all’art. 184 cod. proc. civ. era disponibile solo la dichiarazione dei redditi dell’anno 2000, per cui le dichiarazioni degli anni successivi ben potevano essere prodotte in appello. Quanto al merito, il ricorrente sostiene di aver subito un danno patrimoniale in conseguenza della perdita di opportunità di avanzamento in carriera, perché la sua possibile nomina a direttore di banca non era stata più presa in considerazione per il fatto che egli, a causa dei danni sofferti, non poteva viaggiare di frequente per recarsi a Sassari, sede principale della banca. 3.1. Il motivo non è fondato. La Corte di merito, con un accertamento in fatto correttamente motivato e privo di vizi logici, muovendo dalla corretta premessa secondo la quale la perdita o la diminuzione della capacità lavorativa specifica non comporta di per sé il diritto al risarcimento danno patrimoniale - danno che deve essere invece dimostrato - è pervenuta alla conclusione che l’U. non avesse fornito una prova adeguata sul punto. Ed ha supportato tale affermazione sia in relazione alla mancata promozione a direttore di banca che alla presunta riduzione o significativa variazione della retribuzione percepita. Sotto questo profilo, quindi, le osservazioni critiche alla motivazione della sentenza mosse alle pp. 9-11 del ricorso si risolvono nell’evidente tentativo di ottenere in questa sede una nuova e non consentita valutazione del merito. In relazione, invece, alla prima parte della censura - con la quale si lamenta che la Corte d’appello avrebbe errato nel dichiarare tardiva la produzione di alcuni documenti attestanti i redditi realmente conseguiti dal ricorrente negli anni immediatamente successivi all’incidente - la Corte rileva che essa è formulata in modo non rispettoso dell’art. 366, primo comma, n. 6 , cod. proc. civ., perché si limita ad un generico richiamo a documenti senza indicarne in alcun modo l’effettivo contenuto per cui, anche ammesso che la Corte d’appello abbia errato nel dichiararne l’inutilizzabilità, il Collegio non è comunque in grado di stabilire il grado di decisività dei documenti non considerati. Il motivo, quindi, è nel suo complesso privo di fondamento. 4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione agli interessi per ritardato pagamento, oltre a violazione degli artt. 1223, 1224, 1225 e 1226 del codice civile. Osserva il ricorrente che la sentenza impugnata non ha riconosciuto il suo diritto a percepire gli interessi per il ritardato pagamento nella misura pari a quella del prime rate della banca presso cui egli lavorava. Egli, infatti, era dipendente di banca ed era logico che i suoi risparmi sarebbero stati investiti secondo gli stessi canali valevoli per la banca, per cui la motivazione sarebbe carente nella parte in cui gli ha negato tale risarcimento ulteriore. 4.1. Il motivo non è fondato. Osserva la Corte che su questo punto la sentenza d’appello, con una motivazione essenziale ma comunque corretta e priva di vizi logici, ha affermato che nessuna prova era stata fornita dall’appellante in ordine alla sussistenza del maggior danno conseguente all’impossibilità di disporre di somme che sarebbero state destinate, nell’assunto del ricorrente, a lucrosi investimenti. Il motivo in esame, richiamando in modo generico alcuni documenti asseritamente prodotti in sede di merito, si risolve anch’esso nell’evidente tentativo di ottenere in questa sede una nuova e non consentita valutazione del merito. 5. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e violazione degli artt. 1 e 4 del d.m. 8 aprile 2004, n. 127, in ordine alla liquidazione delle spese giudiziali di primo e secondo grado. Osserva il ricorrente che le voci tariffarie erano state indicate nell’atto di appello e nella nota spese depositata in primo grado, evidenziando che la liquidazione non era conforme. A fronte di simile richiesta, la Corte di merito non poteva determinarsi ad una globale liquidazione inferiore alla richiesta, perché dovrebbe essere il giudice a specificare le ragioni di una liquidazione dei compensi e delle spese. 5.1. Il motivo è inammissibile. Questa Corte ha in più occasioni affermato, con giurisprudenza ormai consolidata, che la contestazione in sede di legittimità della presunta violazione, da parte del giudice di merito, delle tariffe forensi, in particolare per quanto riguarda i minimi, richiede una specifica indicazione delle tariffe applicabili e delle violazioni compiute in ordine alle medesime v., tra le altre, la sentenza 29 ottobre 2014, n. 22983, e l’ordinanza 10 febbraio 2015, n. 2532 . Il motivo in esame, invece, non si attiene a tale regola, limitandosi genericamente ad affermare che la liquidazione compiuta dal Tribunale era stata puntualmente contestata in sede di appello e che la Corte d’appello avrebbe liquidato le spese soccombenza e dagli scaglioni tariffari, sempre di fronte ad una nota spese analitica prodotta dalla difesa dell’odierno ricorrente . Ed è evidente che una censura così formulata non risponde alle condizioni poste dalla giurisprudenza di questa Corte, poiché non consente alcuna verifica circa l’effettiva sussistenza o meno della prospettata violazione tariffaria. 6. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale con una cifra a forfait, del tutto scollegata dal principio di soccombenza e dagli scaglione tariffari, sempre di fronte ad una nota spese analitica prodotta dalla difesa dall’odierno ricorrente”. Ed è evidente che una censura così formulata non risponde alle condizioni post dalla giurisprudenza di questa Corte, poiché non consente alcuna verifica circa l’effettiva sussistenza o meno della prospettiva violazione tariffaria. 6. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 7.800, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.