Sanatoria di un abuso edilizio come limite al danno risarcibile ex art. 1227, comma 2, c.c.

Nel caso di azione risarcitoria promossa dal committente nei confronti del progettista e direttore lavori per un abuso edilizio dallo stesso commesso, il giudice, ai fini della quantificazione del danno risarcibile, deve considerare ex art. 1227, comma 2, c.c. la condotta del danneggiato che avrebbe impedito o attenuato le conseguenze dannose prodotte dal comportamento del danneggiante. Nell’ipotesi di positivo accertamento del comportamento negligente del danneggiato, il danno risulterà conseguentemente ridotto, rispetto a quello cagionato dal debitore, in ragione del pregiudizio che il creditore poteva evitare e non ha evitato.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6934/2016, depositata l’8 aprile. Il caso. I proprietari di un fabbricato di nuova costruzione scoprivano che il manufatto era stato realizzato in modo difforme dalla concessione edilizia ed in violazione delle norme del piano regolatore del Comune. Non erano state rispettate le distanze prescritte rispetto al fondo confinante e l’immobile avrebbe dovuto essere demolito e arretrato. I proprietari citavano così in giudizio il progettista e direttore lavori che aveva provveduto alla progettazione e edificazione dell’immobile per il risarcimento dei danni patiti. I pregiudizi lamentati comprendevano il danno biologico, il danno morale, nonché i danni patrimoniali costituiti dalla somma sborsata per acquistare il terreno confinante al fine di evitare l’arretramento del fabbricato. Il Tribunale riconosceva la responsabilità del professionista, ma non riteneva provati i danni. La Corte d’Appello riformava parzialmente la decisione di prime cure quantificando il risarcimento in euro 36.377,00 pari all’importo che i danneggiati avrebbero dovuto sborsare per la sanatoria dell’abuso edilizio. Il professionista ricorreva in Cassazione. La decisione della Corte. Il ricorrente sosteneva che la sentenza della Corte d’Appello era errata poiché la condotta diligente non tenuta post factum dagli attori consistente cioè nel provvedere tempestivamente alla sanatoria dell’abuso avrebbe eliminato integralmente qualsiasi danno patito. Il professionista sosteneva inoltre che il danno non poteva essere pari a un esborso che gli attori in realtà non avevano mai concretamente sostenuto. La Corte territoriale peraltro sarebbe incorsa in vizio di ultrapetizione in contrasto con l’art. 112 c.p.c. avendo stabilito come risarcimento di una voce di danno non richiesta dagli attori negli atti di causa. Infine, ad avviso del ricorrente l’ammontare risarcibile doveva essere pari, tutt’al più, all’importo dei costi di oblazione esclusi gli oneri concessori. La Cassazione non condivide tali tesi e respinge i motivi sollevati. Secondo gli Ermellini nel caso di specie trova applicazione l’art. 1227 c.c. e la Corte d’Appello aveva fatto buon uso dei principi della norma richiamata. L’art. 1227 c.c. prevede due ipotesi distinte. Il primo comma consente di ridurre l’entità del risarcimento se vi è stato un concorso colposo del creditore danneggiato nella causazione del danno. Il secondo comma, invece, esclude proprio dal novero dei danni risarcibili quelli che lo stesso creditore danneggiato avrebbe potuto evitare con un comportamento diligente successivo all’evento dannoso. Entrambi i commi considerano quindi la diligenza” del danneggiato, solo che il primo valuta la condotta della vittima” nella fase precedente il verificarsi della fattispecie dannosa, mentre il secondo riguarda il comportamento tenuto dalla stessa successivamente al verificarsi del fatto. Il secondo comma si applica, quindi, al danneggiato estraneo alla produzione dell’evento dannoso, ma che, dopo il suo prodursi, ha omesso di far uso della normale diligenza per circoscrivere l’incidenza dell’evento stesso in tal senso Cassazione 2655/1987 e Cassazione 1306/1989 . A parere della Corte nell’ipotesi in esame la possibilità non sfruttata diligentemente dagli attori in primo grado di sanare l’abuso determina una riduzione del danno, non potendosi addossare al professionista tutti i costi per l’abbattimento del fabbricato e ulteriori pregiudizi patrimoniali e extrapatrimoniali. La valutazione del comportamento del danneggiato successiva al verificarsi dell’evento dannoso costituisce dunque ambito di indagine riservato al giudice di merito, senza che lo stesso possa essere accusato” di ultrapetizione. La Corte d’Appello, quindi, non aveva riconosciuto una voce di danno ulteriore o diversa da quella richiesta dagli attori, ma anzi aveva correttamente verificato l’effettivo patimento subito. Nella fattispecie, osservano gli Ermellini, il pregiudizio derivante dal permanere della situazione di irregolarità urbanistica dell’immobile, con tutte le conseguenze che ne derivano, poteva essere evitato attraverso la sanatoria i cui costi rappresentano giustamente il limite della risarcibilità del danno stesso. Privo di pregio è il tentativo di scindere costi di oblazione e oneri concessori. In primo luogo la Cassazione osserva che la censura relativa del ricorrente non rispetta il principio dell’autosufficienza poiché la parte aveva semplicemente richiamato la ctu senza riprodurre gli estratti dell’elaborato che trattavano la questione e senza fornire adeguate informazioni al riguardo. Al contrario, il professionista avrebbe dovuto specificare se la relazione peritale era presente nel fascicolo di ufficio del giudizio di merito oppure se era reperibile in altro modo. Il motivo come sollevato non rispettava quindi i crismi dell’art. 366, n. 6, c.p.c., secondo il quale il ricorso deve contenere a pena di inammissibilità tra le altre cose la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda . La mancata specificazione ed individuazione della ctu svolta nei gradi di merito viola dunque l’articolo citato nella lettura data da costante giurisprudenza delle stesse Sezioni Unite cfr. Cass. Sez. Un. 28547 del 2008 e Cass. Sez. un. 22726 del 2011 e impedisce alla Suprema Corte di analizzare nel merito il quesito. In ogni caso, gli Ermellini osservano che il motivo è comunque infondato poiché solo con il pagamento dell’importo integrale di euro 36.377,00 sarebbe stato possibile sanare l’illiceità urbanistica e evitare il maggior danno consistente nell’incommerciabilità dell’immobile e nel pericolo del suo futuro abbattimento. Non aveva, quindi, senso distinguere tra oblazione e oneri concessori. Alla luce di tali considerazioni gli Ermellini respingono il ricorso del professionista e per l’effetto confermano la sentenza di appello.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 29 gennaio – 8 aprile 2016, n. 6934 Presidente Bucciante – Relatore Falabella Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 1 luglio 1998 S.A.R. e L.G. convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Gela I.V. per sentirlo condannare al risarcimento dei danni che lo stesso aveva cagionato loro nell’attività prestata quale progettista e direttore dei lavori di costruzione di un fabbricato sito in Gela attività di cui era stato incaricato da parte degli stessi attori. Questi ultimi deducevano, in particolare, che il professionista aveva provveduto alla progettazione e edificazione del fabbricato in difformità dalla concessione edilizia e in violazione delle norme del piano regolatore particolareggiato del Comune, oltre che in violazione delle norme sulle distanze. In conseguenza di tali violazioni era stata emessa un’ordinanza con cui si disponeva la demolizione del manufatto e gli stessi attori avevano dovuto affrontare il giudizio intentato dai proprietari confinanti per ottenere l’arretramento dell’immobile a distanza di legge, trovandosi costretti ad acquistare un appezzamento di terreno per evitare tale arretramento. Il risarcimento richiesto aveva ad oggetto la somma sborsata per l’acquisto del fondo in questione, i danni, biologico e morale, connessi a una perdita di gravidanza, asseritamente patita in conseguenza del turbamento emotivo derivante dalla notizia della possibile demolizione dell’immobile, nonché il pregiudizio patrimoniale futuro derivante agli attori in conseguenza della demolizione dell’immobile. Il convenuto si costituiva in giudizio eccependo che le difformità rispetto al progetto approvato e le scelte costruttive dovevano imputarsi agli attori, quali, pur edotti della situazione giuridica concernente il fabbricato da erigersi, avevano ritenuto di procedere ugualmente alla costruzione del medesimo. Il Tribunale di Gela riconosceva la responsabilità professionale di I. , ma rigettava la domanda risarcitoria, ritenendola non provata. La sentenza veniva impugnata dagli attori, i quali insistevano per ottenere il risarcimento integrale dei danni prospettati. I. si costituiva anche in fase di gravame ribadendo di essere esente da responsabilità. In punto di risarcimento rilevava che l’immobile era comunque suscettibile di sanatoria edilizia. La Corte di appello di Caltanissetta in parziale riforma della sentenza impugnata condannava I. al risarcimento del danno, liquidato della somma di Euro 36.377,00, oltre interessi. Questa sentenza è stata impugnata per cassazione dalla appellato soccombente sulla base di quattro motivi. S. e L. , regolarmente intimati, non hanno svolto alcuna attività difensiva. Motivi della decisione primo motivo di impugnazione denuncia violazione ed errata applicazione delle norme di cui agli artt. 1218, 1227 e 1223 c.c., che regolano il risarcimento del danno da inadempimento, oltre che motivazione contraddittoria su uno o più punti decisivi della controversia. Secondo il ricorrente la sentenza impugnata risultava viziata posto che, pur dando atto che l’illiceità urbanistica accertata era suscettibile di sanatoria e che gli attori non si erano attivati per ottenere la regolarizzazione dell’attività edificatoria posta in essere, aveva affermato che il danno dovesse essere commisurato ai costi che gli appellanti avrebbero dovuto affrontare a tal fine. Tale affermazione risultava, secondo il ricorrente, censurabile avendo riguardo, per un verso, al fatto che una condotta diligente della controparte nel senso di dar corso alla procedura di condono avrebbe evitato del tutto il danno lamentato e, per altro verso, al fatto che i costi cui era stato commisurato il danno non erano stati sopportati dagli attori, avendo gli stessi mancato di provvedere alla sanatoria. Col secondo motivo è lamentata violazione ed errata applicazione dell’art. 112 c.p.c La sentenza aveva infatti riconosciuto il risarcimento per un profilo di danno non specificamente dedotto dagli appellanti. I due motivi, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Essi non hanno fondamento. È anzitutto escluso che la corte distrettuale, nel condannare il ricorrente al risarcimento del danno commisurato al costo che il ricorrente avrebbe dovuto affrontare per la sanatoria dell’illecito edilizio, sia incorsa nella lamentata ultrapetizione. Il costo suddetto opera, infatti, quale elemento limitativo della prestazione risarcitoria, non quale autonoma voce di danno. Sul punto, la corte nissena ha correttamente rilevato che la possibile sanatoria dell’immobile determina una riduzione del danno che gli appellanti potevano richiedere, rilevando come lo stesso non potesse consistere nei costi per l’abbattimento del fabbricato e in ulteriori pregiudizi patrimoniali, ma dovendo piuttosto essere limitato in ragione dell’esborso che gli stessi avrebbero dovuto affrontare per la sanatoria. Lo stesso giudice del gravame ha poi precisato che un’eccezione in tal senso era stata svolta in comparsa di risposta proprio dall’appellato, oggi ricorrente. Nella sentenza è infine spiegato che la limitazione del danno risarcibile all’importo corrispondente alla misura dell’oblazione e degli oneri concessori doveva operarsi a norma dell’art. 1227, 2 co. c.c Come è noto, a differenza dell’ipotesi regolata dal primo comma dello stesso articolo, che concerne l’incidenza del comportamento colposo del creditore danneggiato nella determinazione del danno, la quale rileva ai fini di una proporzionale riduzione del risarcimento, l’ipotesi disciplinata dal secondo comma dello stesso articolo considera il caso di danni eziologicamente imputabili al danneggiante ed esclude la risarcibilità di tali danni, che il creditore avrebbe potuto evitare con il proprio comportamento diligente successivamente all’evento. In termini generali, l’apprezzamento, da parte del giudice di merito, della condotta del danneggiato che avrebbe impedito o attenuato le conseguenze dannose prodottesi in ragione del comportamento del danneggiante risulta essere quindi funzionale alla verifica dell’effettiva entità del pregiudizio risarcibile nell’ipotesi di positivo accertamento del comportamento negligente del danneggiato, il danno risulterà conseguentemente ridotto, rispetto a quello cagionato dal debitore, in ragione del pregiudizio che il creditore poteva evitare e non ha evitato. Nel caso di specie, la somma da versarsi per la sanatoria è stata apprezzata quale elemento di contenimento del danno risarcibile proprio in quanto attraverso di essa il creditore avrebbe evitato il più grave pregiudizio consistente nella demolizione del fabbricato. Non è quindi vero che la corte di merito abbia riconosciuto agli intimati un pregiudizio patrimoniale diverso da quello di cui era stato domandato il risarcimento. È vero, invece, che quel danno è stato ridotto all’ammontare dei costi occorrenti per la sanatoria, perché il danno stesso poteva essere escluso attivando tempestivamente il relativo procedimento amministrativo, che implicava, però, oneri economici. Il fatto, poi, che gli intimati non abbiano provveduto alla sanatoria non esclude il risarcimento commisurato ai costi della stessa e ciò proprio in quanto l’art. 1227, 2 co. c.c. valorizza il mancato compimento di quelle attività che avrebbero escluso, o comunque, limitato, il danno risarcibile. Nel caso in esame - si ripete - il pregiudizio derivante dal permanere della situazione di irregolarità urbanistica dell’immobile, con tutte le conseguenze che ne derivano, poteva essere evitato attraverso l’attuazione della sanatoria, il cui costo rappresenta, quindi, il limite della risarcibilità del danno stesso. In tal senso, la decisione risulta aver fatto anche corretta applicazione dell’art. 1227, 2 co Nel corpo del motivo pagg. 6 s. si fa cenno anche a un profilo di riduzione del risarcimento ex art. 1227, 2 co. c.c. correlato alla mancata interruzione dei lavori da parte degli intimati. La questione ha però carattere di assoluta novità oltretutto, poiché su di essa non è caduta alcuna decisione, la censura non risulta nemmeno prospettata nell’unico modo astrattamente possibile e cioè come omessa pronuncia su di un’eccezione svolta in tal senso . Il terzo motivo censura l’erronea applicazione delle risultanze della consulenza tecnica per la quantificazione del danno accertato dal giudice d’appello e, quindi, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Deduce il ricorrente che il risarcimento doveva essere limitato ai costi di oblazione e non poteva quindi ricomprendere gli oneri concessori. Il motivo è carente di autosufficienza, e comunque infondato. La censura si basa su quanto sarebbe documentato nella consulenza tecnica disposta in fase di gravame. Tuttavia, il ricorrente non riproduce la parte dell’elaborato peritale che affronta la questione, né fornisce adeguate informazioni al riguardo, limitandosi a richiamare la consulenza in parola. Ebbene, in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che intende far valere in sede di legittimità un motivo di ricorso fondato sulle risultanze della consulenza tecnica espletata in grado di appello è tenuta - in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso - ad indicare se la relazione cui si fa riferimento sia presente nel fascicolo di ufficio del giudizio di merito specificando, in tal caso, gli estremi di reperimento della stessa , ovvero a chiarire alla Corte il diverso modo in cui essa possa essere altrimenti individuata Cass. 22 febbraio 2010, n. 4201 . Si osserva, comunque, che non è possibile scomputare gli oneri concessori dall’importo dovuto a titolo risarcitorio ciò in quanto a fronte dell’illiceità urbanistica, i creditori danneggiati avrebbero potuto sottrarsi al maggior danno derivante dalla incommerciabilità dell’immobile e dal pericolo di un suo futuro abbattimento, solo corrispondendo l’integrale importo di quanto occorrente ai fini della sanatoria. Non ha senso distinguere tra oblazione e oneri concessori proprio in quanto la situazione di illiceità - imputabile al professionista, secondo quanto irretrattabilmente accertato nel giudizio di merito - non avrebbe potuto rimuoversi, e con essa il danno che ne discendeva, se non attraverso la definizione della pratica di condono edilizio definizione che aveva un suo costo complessivo. Il quarto motivo di impugnazione denuncia erronea interpretazione, nonché erronea o mancata applicazione della normativa sul condono edilizio di cui alla l. n. 236/236, oltre che degli artt. 8 e 12 l. n. 47/1985 e mancanza di motivazione sul punto ciò ai sensi sia dell’art. 360 n. 3 che dell’art. 360 n. 5 c.p.c Nel caso di specie, sulla base di deduzioni specifiche del consulente tecnico di parte, doveva affermarsi che l’eliminazione delle irregolarità urbanistiche accertate poteva attuarsi, non già presentando due domande di condono edilizio, come rilevato dal consulente tecnico d’ufficio, ma una soltanto. Né il giudice di appello,a fronte delle specifiche contestazioni svolte dal nominato consulente di parte, aveva espresso le ragioni per le quali doveva ritenersi preferibile la soluzione indicata dal C.T.U Il motivo non è fondato. Il giudice del merito ha conferito rilievo alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, laddove i rilievi espressi dal consulente di parte ricorrente si fondano su elementi fattuali non verificabili in questa sede. D’altro canto, avendo particolarmente riguardo al vizio motivazionale, la contestazione dell’esattezza delle conclusioni dell’espleta consulenza mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse delle diverse valutazioni espresse dal consulente tecnico di parte non serve, di per sé, ad evidenziare alcun errore delle prime - con conseguente insufficienze della motivazione della sentenza che ad esse si sia limitata a riferirsi -, ma solo la diversità dei giudizi formulati dagli esperti Cass. 28 marzo 2006, n. 7078 Cass. 12 agosto 1994, n. 7392 . Il ricorso è rigettato. Nulla per le spese, stante l’assenza di attività processuale da parte degli intimati. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.