Segnali falsamente al Tribunale dei minori che una minore ha subito abusi dal padre? Pagale i danni

In presenza dell'elemento soggettivo della colpa, se il contenuto della missiva e la sua diffusione, nonché lo svolgimento delle indagini penali coinvolgenti, oltre che il presunto autore, anche la presunta vittima quale persona offesa , provocano la lesione della sfera personale di quest'ultima, si è in presenza di danno ingiusto risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c

Così la Terza Sezione Civile nella sentenza n. 5958, depositata il 25 marzo 2016. Il fatto. A seguito dell'invio di uno scritto in forma anonima al tribunale dei minorenni in cui uno zio denunciava abusi sessuali subiti dalla nipote per opera del padre, cognato dell'uomo, tale figlia citava in giudizio l'autore supposto dello scritto per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa delle accuse inveritiere. Il tribunale, con sentenza che veniva confermata dalla Corte d'Appello, liquidava la somma di € 40.000 a favore della donna, quale risarcimento del danno subito. In particolare, la Corte d'Appello escludeva la sussistenza del danno biologico in capo alla donna, riconoscendo invece il danno non patrimoniale sub specie di turbamento e sofferenze conseguiti alla vicenda . L'autore dello scritto han quindi proposto ricorso per cassazione, cui ha resistito con controricorso la donna. Irrilevante per il giudice civiel l'assoluzione conseguita nel procedimento penale. Il primo motivo di ricorso concerne vizi di natura processuale viene lamentato, infatti, da un lato che l'atto introduttivo della lite sarebbe stato nullo in quanto mancante di causa petendi e di petitum, e dall'altro che vi sarebbe stata una violazione del principio di corrispondenza tra quanto chiesto e quanto pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ. dal momento che le richieste risarcitorie sarebbero state basate sul reato di calunnia, mentre la decisione della Corte d'Appello avrebbe fatto riferimento al diverso reato di diffamazione. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta che la Corte d'Appello non avrebbe tenuto conto del fatto che nella parallela vicenda penale lo stesso era risultato assolto per mancanza dell'elemento soggettivo. Entrambi i motivi di ricorso sono stati rigettati dalla Terza Sezione. Per quanto riguarda il primo, la Cassazione anzitutto ha osservato come il petitum risulti in realtà specificato nell'atto di citazione € 50.000,00 la quantificazione attorea dei danni non patrimoniali e la causa petendi sia riconducibile al disposto dell'art. 2043 cod. civ. neminem laedere . Errata, secondo gli Ermellini, è anche la ricostruzione effettuata dall'uomo, secondo cui il fatto illecito generatore del danno sarebbe stato individuato nel reato di calunnia, per il quale l'uomo era alla fine stato assolto. In realtà i giudici di merito, con motivazione ritenuta corretta, avevano posto alla base della condanna la condotta complessivamente tenuta dall'uomo nei confronti sia della nipote che del cognato, condotta che ha leso il diritto all'onore a alla reputazione della donna. Quanto alla assoluzione conseguita in sede penale dall'uomo, viene ritenuta corretta la conclusione dei giudici di merito circa l'irrilevanza in sede civile dell'assoluzione”. Trattandosi di responsabilità aquiliana, ha ricordato la Cassazione, non spettava certo alla donna provare il dolo di calunnia, bensì il fatto illecito come dedotto e quantomeno la colpa del responsabile. In questo senso, e a prescindere della sussistenza del reato di calunnia, la lettera anonima con cui, con affermazioni non veritiere e con dovizia di scabrosi particolari, si accusi il padre di abusi sulla figlia minorenne ben può essere fonte di responsabilità ex art. 2043 cod. civ. a favore di colei che sia stata indicata come vittima del reato. Infatti, ha spiegato la Terza Sezione, in presenza dell'elemento soggettivo della colpa, se il contenuto della missiva e la sua diffusione, nonché lo svolgimento delle indagini penali coinvolgenti, oltre che il presunto autore, anche la presunta vittima quale persona offesa , provocano la lesione della sfera personale di quest'ultima, si è in presenza di danno ingiusto risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c. . Per quanto poi concerne l'assoluzione dal reato di calunnia, la terza Sezione conferma la correttezza della motivazione della corte territoriale, la quale ha dato conto della mancanza assoluta di continenza dello scritto anonimo, che oltre ad accusare di ignobili reati descriveva con dovizia di particolari i dettagli più scabrosi. Inoltre, e diffusamente, la Corte d'Appello si era soffermata a motivare la colpa dell'uomo, che aveva non solo redatto e inviato in forma anonima la denuncia, ma oltretutto era un carabiniere in pensione, e che dunque per tale condizione soggettiva avrebbe dovuto, e a maggior ragione, percepire la gravità del suo agire. Al rigetto del ricorso la Terza Sezione fa conseguire, peraltro, non solo la condanna alle spese ma anche la condanna a versare nuovamente l'importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 115/2002.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 22 dicembre 2015 – 25 marzo 2016, numero 5958 Presidente Salmé – Relatore Barreca Svolgimento del processo 1. P.N. citò in giudizio M.G. chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lei subiti in conseguenza di uno scritto inviato anonimamente dal convenuto al Tribunale per i Minorenni, nel quale venivano denunciate condotte di abusi sessuali sull’attrice, allora minorenne, ad opera del di lei padre, P.H. . Il convenuto si costituì e, pur non negando di essere l’autore dello scritto anonimo, contestò le pretese dell’attrice, chiedendone il rigetto. La domanda è stata accolta dal Tribunale di Bolzano -con liquidazione del danno nell’importo di Euro 40.000,00 con sentenza poi confermata dalla Corte d’Appello di Trento sezione distaccata di Bolzano. 2. La Corte di merito, con la sentenza qui impugnata pubblicata il 18 febbraio 2012 , ha ritenuto che causa petendi e petitum fossero stati ben delineati nell’atto introduttivo della lite, avendo l’attrice posto a fondamento della pretesa risarcitoria -basata sul principio del neminem laedere e volta ad ottenere il risarcimento del danno aquiliano l’invio dello scritto anonimo nel quale, con dovizia di dettagli scabrosi, veniva descritto l’atteggiamento abusante del padre nei confronti della figlia , l’individuazione del suo autore, lo svolgimento delle indagini penali a carico del padre cui era stato dato ampio spazio mediatico , lo stato di prostrazione e di costernazione dell’attrice stessa di fronte alle accuse inveritiere, la falsità della denuncia e la lesione del suo diritto all’onore, col danno morale conseguente ha inoltre escluso che fosse rilevante -contrariamente a quanto reputato dall’appellante M. l’assoluzione di quest’ultimo dal reato di calunnia nei confronti di P.H. , con sentenza definitiva pronunciata per assenza dell’elemento soggettivo ha reputato che il fatto illecito fosse riconducibile a dolo o quanto meno a colpa dell’appellante e ne ha confermato l’affermazione di responsabilità quindi, ha confermato la liquidazione dei danni, escludendo la sussistenza del danno biologico, ma reputando quella di altri danni non patrimoniali risarcibili turbamento e sofferenze conseguiti dalla vicenda . Ha perciò rigettato il gravame con condanna dell’appellante al pagamento delle spese del grado. 3. Il M. impugna per cassazione la sentenza della Corte con tre motivi, illustrati da memoria. P.N. resiste con controricorso. Motivi della decisione 1. Col primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 112 cod. proc. civ., nonché 163 e 164 cod. proc. civ. e vizio di motivazione. Il ricorrente, riproponendo sostanzialmente per la sentenza di secondo grado le censure già disattese dal giudice d’appello in riferimento alla sentenza di primo grado, assume che la decisione sarebbe stata adottata in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ. che a fondamento della richiesta dell’attrice vi sarebbe stato il reato di calunnia che solo così si spiegherebbe il quesito rivolto al CTU, che a tale reato faceva espresso riferimento che, conseguentemente, l’individuazione di un diverso titolo di responsabilità a carico del convenuto diffamazione comporterebbe i vizi denunciati. In subordine, prospetta che, interpretato come ritenuto dai giudici di merito, l’atto introduttivo della lite si sarebbe dovuto considerare nullo per violazione degli artt. 163 e 164 cod. proc. civ., in quanto mancante di causa petendi e di petitum . 1.1. Col secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ., nonché vizio di motivazione al fine di contestare l’individuazione, da parte dei giudici di merito,s degli elementi costitutivi dell’illecito civile nella condotta tenuta dal M. . In particolare, si sostiene che la Corte d’Appello non avrebbe tenuto nel debito conto la motivazione della sentenza penale di assoluzione per mancanza dell’elemento soggettivo della quale il ricorso riporta degli stralci , che avrebbe dovuto indurre il giudice civile ad una più pregnante indagine sulla sussistenza dell’elemento soggettivo, anche ai fini dell’illecito aquiliano. Si sostiene che, invece, sul punto la sentenza non sarebbe adeguatamente motivata. 2. I motivi che, per ragioni di connessione, vanno trattati congiuntamente, non meritano di essere accolti. Sono infondate sia la censura concernente l’asserita nullità dell’atto introduttivo del primo grado di giudizio logicamente pregiudiziale, anche se proposta in via subordinata sia la censura di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Riguardo alla prima, pare opportuno il richiamo della sentenza a Sezioni Unite numero 8077/2012, con cui si è affermato che quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma, numero 6, e 369, secondo comma, numero 4, cod. proc. civ. . Riguardo alla seconda, va invece richiamato l’orientamento di questa Corte per il quale il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato art. 112 cod. proc. civ. od a quello del tantum devolutum quantum appellatum art. 345 cod. proc. civ. , trattandosi in tal caso della denuncia di un error in procedendo che attribuisce alla Corte di cassazione 11 potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti così, da ultimo Cass. numero 21421/14 . 2.1. L’applicazione di questi principi al caso di specie comporta che a voler prescindere dal profilo di inammissibilità del ricorso conseguente alla mancata specificazione del contenuto dell’atto introduttivo del giudizio sia consentita la verifica dell’atto di citazione dinanzi al tribunale. All’esito di questa, va escluso che l’atto introduttivo della lite notificato dalla P. manchi di petitum e di causa petendi ovvero li prospetti in termini insoddisfacenti il primo è specificato nel petitum risarcitorio per l’importo di 50.000,00, così quantificati i danni non patrimoniali, compreso il danno biologico poi, escluso la seconda è riconducibile al disposto dell’art. 2043 cod. civ. Contestata è piuttosto l’individuazione del fatto illecito generatore del danno ai sensi di questa norma, come fatta dall’attrice il ricorrente assume essere stato il reato di calunnia i giudici di merito hanno ritenuto essere stata la condotta complessivamente tenuta dal M. nei confronti della nipote, P.N. , piuttosto che nei confronti del cognato, e padre di questa, P.H. . Siffatta interpretazione -del tutto coerente con il contenuto dell’atto consente di superare entrambi i profili di censura in esame. In proposito, ed a completamento dell’argomentato esame dell’atto fatto in sentenza, è sufficiente rilevare che i riferimenti che l’attrice ebbe a fare alla vicenda penale riguardante i due uomini il M. , processato per calunnia il P. , per i fatti costituenti abusi sessuali addebitatigli dal M. erano inevitabili al fine di individuare tutta intera la condotta illecita ascritta al convenuto in sede civile, avente comunque origine dall’invio della lettera anonima al Tribunale per i Minorenni. Ma è proprio tale ultima condotta, considerata in tutti i suoi aspetti di rilievo nei confronti dell’allora minorenne P.N. , che i giudici civili hanno correttamente individuato come fatto illecito ascritto da quest’ultima alla controparte. D’altronde, non essendo la P. il soggetto passivo della calunnia, il danno che avrebbe potuto lamentare come derivante da questo reato non avrebbe potuto essere certamente quello dedotto in causa, come danno biologico e lesione della propria reputazione e dei propri sentimenti, patiti a causa di tutta intera la squallida vicenda ma tutt’al più quello -invece rimasto sullo sfondo conseguito al discredito gettato sul suo più prossimo familiare dal processo penale a suo carico. Ineccepibile è perciò la conclusione raggiunta dalla Corte d’Appello circa la riconducibilità dell’illecito aquiliano, così come posto a fondamento dell’azione civile, alla lesione all’onore ed alla reputazione, nonché all’incolumità fisica e psichica, della P. , causata dalla condotta posta in essere dal M. a mezzo dell’invio al Tribunale per i Minorenni quindi, con comunicazione rivolta a più persone della missiva anonima contenente affermazioni non veritiere e fortemente lesive della sfera privata della vittima. Il primo motivo di ricorso va rigettato sotto entrambi i profili. 3. Data l’individuazione del titolo di responsabilità appena detto, è del tutto estraneo e non rileva nel caso di specie l’orientamento giurisprudenziale che appare essere presupposto dal ricorrente per il quale La denuncia di un reato perseguibile d’ufficio non è fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., anche in caso di proscioglimento o di assoluzione del denunciato, se non quando essa possa considerarsi calunniosa. Al di fuori di tale ipotesi, infatti, l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante, togliendole ogni efficacia causale e così interrompendo ogni nesso causale tra tale iniziativa ed il danno eventualmente subito dal denunciato. Ne consegue che spetta all’attore, che in sede civile chieda il risarcimento dei danni assumendo che la denuncia era calunniosa, dimostrare che la controparte aveva consapevolezza dell’innocenza del denunciato così, tra le tante, Cass. numero 15646/03, numero 10033/04, numero 1542/10 . Invece, è corretta la conclusione dei giudici di merito circa l’irrilevanza in sede civile dell’assoluzione del M. dal reato di calunnia e circa l’insignificanza del fatto che, nel quesito formulato nel conferire l’incarico al CTU, si fosse fatto riferimento al reato di calunnia, all’epoca ascritto al convenuto. L’onere probatorio dell’attrice, che in sede civile ha chiesto il risarcimento dei danni per il titolo di responsabilità sopra precisato, si è atteggiato secondo la regola posta dall’art. 2043 cod. civ., spettando alla stessa di provare, non certo il dolo di calunnia, ma, oltre al fatto illecito come sopra dedotto, quanto meno la colpa del responsabile. La lettera anonima con la quale, con affermazioni non veritiere e con dovizia di scabrosi particolari, si accusi di abusi sessuali un padre nei confronti della figlia minorenne, può essere fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., ed a favore di colei che sia stata indicata come vittima del reato, anche quando sia stato escluso il reato di calunnia per il denunciante. Ed invero, in presenza dell’elemento soggettivo della colpa, se il contenuto della missiva e la sua diffusione, nonché lo svolgimento delle indagini penali coinvolgenti, oltre che il presunto autore, anche la presunta vittima quale persona offesa , provocano la lesione della sfera personale di quest’ultima, si è in presenza di danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 cod. civ Giova precisare che l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale non si sovrappone all’iniziativa del denunciante, togliendole ogni efficacia causale e così interrompendo ogni nesso causale, poiché non si tratta dei danni subiti dal denunciato per la falsa accusa. Piuttosto, si tratta dei danni lamentati dal soggetto colpevolmente coinvolto in indagini penali originate da una denuncia che, sia per l’infondatezza delle accuse, che per il tenore dello scritto, diffamatorio, scabroso e gravemente offensivo per la pretesa vittima, si pone essa stessa come fonte di danno per quest’ultima. La Corte d’Appello, nel ritenere illecito il fatto posto a fondamento dell’azione risarcitoria, non ha perciò violato l’art. 2043 cod. civ., come infondatamente denunciato col secondo motivo. 3.1. Questo è infondato anche per la parte in cui deduce il vizio di motivazione. La Corte d’Appello non ha affatto trascurato la circostanza che il M. è stato assolto dal reato di calunnia, ma l’ha considerata irrilevante. La decisione è, come detto, corretta in diritto e la motivazione non è certo insufficiente solo perché non ha considerato le ragioni dell’assoluzione. Il giudice civile aveva il compito di accertare, in concreto, gli elementi dell’illecito aquiliano come sopra delineati e tale compito è stato assolto. La Corte d’Appello ha dato conto della mancanza assoluta di continenza dello scritto anonimo, in quanto, oltre ad accusare di ignobili reati, descriveva con dovizia di particolari dettagli più scabrosi e proseguiva attribuendo fatti ed epiteti ingiuriosi ad entrambi i genitori della minore, che vi risultava ampiamente coinvolta -con ciò evidenziando la portata offensiva dello scritto, oltre che la accertata non veridicità delle accuse. Contrariamente a quanto si assume in ricorso, la Corte a lungo ed adeguatamente si è soffermata sulle ragioni di colpa del M. riscontrabili nella redazione e nell’invio da parte sua della denuncia anonima, anche in considerazione della sua qualità soggettiva di carabiniere in pensione e, se non altro, della ingiustificabile leggerezza del suo agire. Le censure del ricorrente, riguardanti la carenza di motivazione specificamente sull’elemento soggettivo, non hanno perciò fondamento. Trattasi di motivazione che, completa e logica, è più che sufficiente a dare conto dell’accertamento in concreto della sussistenza degli elementi dell’illecito aquiliano come sopra delineato, in fattispecie quale quella in esame. Anche il secondo motivo di ricorso va perciò rigettato. 4. Col terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 115 e 116 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione, con riferimento alla liquidazione dei danni risarcibili. Il ricorrente assume che le risultanze istruttorie orali sarebbero contraddittorie e che la CTU della quale il ricorso riporta degli stralci sarebbe stata invece a lui favorevole. Argomenta in merito al fatto che il consulente d’ufficio avrebbe concluso per l’inesistenza di nesso di causalità tra la calunnia peraltro poi risultata inesistente e i danni biologici lamentati dall’attrice ed inoltre per l’inesistenza di qualsivoglia elemento di danno. Sostiene perciò che sarebbe censurabile l’iter motivo e logico espresso dal giudicante. 4.1. Il motivo è inammissibile, poiché, per un verso non tiene conto dell’affermazione della Corte di merito di rilevanza e di attendibilità delle testimonianze favorevoli all’appellata per altro verso, pretenderebbe una rivalutazione, in sede di legittimità, delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, delle quali il giudice ha ampiamente detto con motivazione congrua ed immune dalle censure rivolte col motivo in esame. Il ricorso va perciò rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Avuto riguardo al fatto che il ricorso è stato notificato dopo il 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’art. 13 del D.P.R. numero 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore della resistente, nell’importo complessivo di Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.