Il danno da illegittimo vincolo urbanistico è automaticamente risarcibile?

La fattispecie oggetto di esame da parte dell’odierno Giudice della legittimità offre lo spunto per approfondire alcuni aspetti sui vincoli pubblicisti imposti al privato. Nello specifico il caso affronta i problemi della natura del vincolo imposto sulla proprietà privata, della discrezionalità amministrativa e della qualificazione della posizione giuridica del privato. In particolare, inoltre, si tratta di stabilire quando il privato abbia, o meno, diritto al risarcimento del danno derivante dal mantenimento illegittimo del vincolo urbanistico su di un suo immobile da parte di un Comune.

E, i giudici della Prima Sezione Civile di Piazza Cavour, con la sentenza n. 5443 depositata il 18 marzo 2016, precisano che in materia urbanistica, poiché la potestà dei Comuni d’imporre vincoli preordinati all’esproprio o all’inedificabilità non è illimitata, decadendo tali vincoli, ai sensi dell’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187 applicabile ratione temporis , al termine del quinquennio per la regione Sicilia, ai sensi dell’art. 1 della legge regionale 5 novembre 1973, n. 38, al termine del periodo di dieci anni , si determina, in caso di mancata reiterazione dei vincoli pregressi o di mancato inserimento dei terreni nell’ambito di una precisa pianificazione conformativa, una condizione di vuoto urbanistico”, disciplinata dall’art. 4, ultimo comma, della legge n. 10 del 1977, dovuta alla violazione dell’obbligo di ripianificazione incombente sulla P.A Tuttavia, la situazione di inedificabilità conseguente alla sopravvenuta inefficacia di talune destinazioni di piano cosiddetto vuoto urbanistico è per sua natura provvisoria, avendo l’autorità comunale l’obbligo di reiterare il vincolo con previsione di indennizzo , ovvero, in alternativa, di provvedere all’integrazione dello strumento pianificatorio divenuto parzialmente inoperante, stabilendo la nuova destinazione da assegnare all’area interessata. Qualora la P.A. rimanga inerte – proseguono gli Ermellini – la situazione conseguente non è equiparabile alla compressione del diritto dominicale provocata dai vincoli preordinati all’esproprio, né è definibile come espropriazione di valore, attesa la provvisorietà del regime urbanistico di salvaguardia, per cui nessuna aspettativa si crea nel proprietario in ordine al conferimento di particolari qualità edificatorie oltre quei limiti o, ancor meno, riguardo a possibili lottizzazioni. Egli, però, non resta senza tutela nei confronti dell’inerzia dell’ente territoriale, ben potendo, ove vi abbia interesse, promuovere gli interventi sostitutivi della Regione ex art. 4, comma 7, della l. n. 10 del 1977 , oppure reagire attraverso la procedura di messa in mora per far accertare l’illegittimità del silenzio. Solo in caso di persistente inerzia della P.A. può configurarsi la lesione del bene della vita identificabile nell’interesse alla certezza circa la possibilità di razionale e adeguata utilizzazione della proprietà, con conseguente diritto del privato al risarcimento del danno subito cfr. Cass. 8384/2008 18105/2010 8530/2010 . In entrambe le evenienze suindicate - specificano ulteriormente i supremi giudici – il procedimento amministrativo deve essere, tuttavia, portato a compimento dall’interessato mediante ricorso al giudice amministrativo, per far dichiarare l’illegittimità del mancato esercizio dell’attività amministrativa obbligatoria da parte della pubblica amministrazione, potendo solo all’esito proporsi domanda di risarcimento dei danni dinanzi al giudice ordinario, nel regime giuridico temporaneamente applicabile alla fattispecie concreta. Il fatto. Tizio conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Messina, il Comune di Taormina, chiedendo dichiararsi l’illegittimità del vincolo urbanistico, approvato dall’ente con delibera del Consiglio Comunale n. 291 del 28 agosto 1981, gravante su di un immobile in comproprietà di Tizio adibito ad albergo e, di conseguenza, condannarsi il Comune al risarcimento dei danni. Il Tribunale adito riconosceva in capo a Tizio il diritto al risarcimento del danno la cui quantificazione veniva rinviata ad altra sede, per avere l’ente pubblico mantenuto ininterrottamente il vincolo urbanistico dal 1981 al 1992, sebbene, con successiva delibera del 1985, avesse destinato un diverso immobile a sede dell’USL. E, con successiva sentenza, il Tribunale condannava il Comune di Taormina al risarcimento dei danni nei confronti dell’attore quantificati in Euro 271.240, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria a decorrere dal 13 gennaio 2003. Avverso entrambe le decisioni l’ente pubblico e Tizio proponevano, rispettivamente, appello principale e appello incidentale. Invero, il giudice di seconde cure , disattendeva il difetto di giurisdizione proposto dal Comune di Taormina, ritenendo, nel merito, insussistente la dedotta illeceità del comportamento della P.A. e la sussistenza di un fatto generatore di danno ingiusto. Contro quest’ultima decisione Tizio proponeva, quindi, ricorso per cassazione, facendo valere quattro distinti motivi di censura, cui resisteva il Comune con controricorso. In particolare, col secondo gravame, il ricorrente lamenta che la pronuncia della Corte d’appello di Messina si paleserebbe del tutto erronea laddove ha escluso il suo diritto al risarcimento del danno per il mancato rilascio della concessione edilizia per la demolizione e ristrutturazione dell’albergo, avendo il provvedimento espresso di diniego dell’amministrazione comunale determinato un’evidente lesione del diritto del privato alla conservazione ed alla manutenzione del bene. Tuttavia, gli Ermellini, conformandosi ad un consolidato orientamento di legittimità ex multis, Cass., n. 26546/2014 , dichiarano infondata la censura de qua e precisano che Tizio si è limitato a mettere in mora l’amministrazione comunale con l’atto stragiudiziale del 28 ottobre 1992 e con la raccomandata dell’aprile 1993, ma non ha esperito la procedura di tipizzazione giurisdizionale del silenzio, ai sensi dell’art. 21 bis l. n. 1034/1971 applicabile ratione temporis , senza la quale non è possibile configurare una lesione del bene della vita tutelabile, in via risarcitoria, dinanzi al giudice ordinario, secondo il modello di tutela precedente le modificazioni del sistema di riparto della giurisdizione introdotte con il d.lgs. n. 80/1998. Parimenti, la Suprema Corte rigetta in toto tutte le censure fatte valere sia con il ricorso principale che con quello incidentale, confermando la decisione della Corte territoriale. I principali mezzi pianificatori dell’attività urbanistica . Essi sono i piani regolatori generali e i relativi strumenti attuativi nonché il programma di fabbricazione. Il piano regolatore generale, disciplinato dagli artt. 7-12, l. n. 1150/1942 e successive modifiche e integrazioni, consiste in un atto programmatorio generale che disciplina l’edilizia e indica le graduali linee di sviluppo del territorio. In pratica, lo stesso, oltre ad indicare essenzialmente la divisione in zone del territorio comunale e le caratteristiche di ciascuna zona, c.d. zonizzazione, disciplina i possibili modi di utilizzazione del territorio. L’atto di pianificazione urbanistica diventa efficace non dalla data della sua adozione da parte del Comune, ma a decorrere dalla scadenza della pubblicazione del decreto che lo approva e ha vigore illimitato, cioè fino alla sua sostituzione con un nuovo strumento urbanistico. Il vincolo urbanistico scaduto determina una condizione di vuoto urbanistico”. Il vincolo preordinato all’esproprio, però, ha durata quinquennale ed è entro questo arco temporale che deve essere emanato l’atto che dichiara la pubblica utilità dell’opera, altrimenti il vincolo decade. Gli effetti della decadenza comportano un vuoto nella normativa di piano che il comune deve colmare. Difatti, è pacifico che la decadenza, per inutile decorso del termine quinquennale di efficacia previsto dall’art. 2, comma 1, l. n. 1187/1968, di un vincolo preordinato all’espropriazione determina nello strumento urbanistico un vuoto di disciplina che l’amministrazione è tenuta a colmare provvedendo al doveroso azzonamento dell’area resa zona bianca” dalla decadenza del vincolo. Il privato può attivare il procedimento del silenzio rifiuto. Invero, a fronte dell’obbligo del Comune di ripianificare le aree cosiddette bianche” già interessate da un vincolo decaduto per decorso del quinquennio, si pone l’interesse procedimentale del proprietario, cui è riconosciuto un potere di reazione all’inerzia dell’amministrazione attraverso la procedura di messa in mora e tipizzazione giurisdizionale del silenzio, di modo che solo in caso di persistente inerzia potrà configurarsi la lesione al bene della vita, identificabile non già nello ius aedificandi , attesa l’impossibilità di affidamento del proprietario in merito a specifiche qualificazioni dei suoli nell’esercizio del potere discrezionale inerente alla pianificazione del territorio, bensì nell’interesse alla certezza circa le possibilità di adeguata e razionale utilizzazione della proprietà. La lesione di questo interesse è risarcibile alla luce del criterio generale di buona fede, secondo correttezza di comportamenti, applicabile anche nel rapporto differenziato tra privato ed amministrazione, situazione qualificata che deriva dalla sentenza sull’illegittimità del silenzio rifiuto. La reiterazione dei vincoli espropriativi va indennizzata. Il predetto art. 2, comma 1, l., n. 1187/1968 introduceva la regola della durata quinquennale dei vincoli ma non apprestava tutela in caso di reiterazione. E, proprio la mancata previsione di un indennizzo, ne ha determinato la sua illegittimità costituzionale da parte del Giudice delle leggi con la sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1999. Tuttavia, secondo un orientamento giurisprudenziale del tutto consolidato, non solo presso il giudice amministrativo v., Cass., SS. UU. 28051/2008 non ogni vincolo posto alla proprietà privata dallo strumento urbanistico generale ha carattere espropriativo. Occorre, difatti, distinguere tra vincoli espropriativi e vincoli conformativi. I primi, soggetti alla scadenza quinquennale, concernono beni determinati, in funzione della localizzazione puntuale di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata i secondi, invece, ai quali non può attribuirsi carattere ablatorio regolano la proprietà privata al perseguimento di interesse generale, quale il vincolo di inedificabilità, a tutela ad esempio di un parco. La salvaguardia del diritto al rispetto dei beni, ex art. 1, Protocollo n. 1 CEDU. Sul punto è emerso anche un consolidato orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, di recente ribadito nella sentenza del 7 luglio scorso, Odescalchi e Lante Della Rovere c/o Italia, secondo il quale in un campo così complesso e difficile quale la pianificazione del territorio, gli Stati contraenti godono di un ampio margine di apprezzamento per condurre la loro politica urbanistica. Tuttavia – chiariscono i giudici della CEDU – si ravvisa la violazione dell’equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, nei casi in cui il pieno godimento della proprietà, per il continuato divieto di costruire, si era protratto per decenni, e ad esso non si era potuto porre rimedio nonostante l’effettivo esperimento dei rimedi giurisdizionali interni da parte dei soggetti interessati. Alla scadenza del vincolo di zonizzazione per il privato non sorge automaticamente una lesione del diritto indennizzabile. Invero, nel caso che qui ci occupa, il proprietario dell’immobile, sul quale pendeva un vincolo urbanistico illegittimo da parte del Comune, si era limitato a mettere in mora l’amministrazione comunale con un atto stragiudiziale e con una raccomandata ma non aveva esperito la procedura di tipizzazione giurisdizionale del silenzio, ex art. 21 bis l. n. 1034/1971 applicabile ratione temporis , senza la quale non è possibile configurare una lesione del bene della vita tutelabile, in via risarcitoria, dinanzi al giudice ordinario, secondo il modello di tutela precedente le modificazioni del sistema di riparto della giurisdizione introdotte con il d. lgs. 80/1998. Alla scadenza del vincolo di zonizzazione, se la P.A. non ha reiterato il vincolo o non ha previsto un mutamento di destinazione urbanistica, sorge, difatti, per il privato solo l’interesse legittimo ad una nuova pianificazione urbanistica e non, automaticamente, una lesione del diritto dominicale indennizzabile, non ricorrendo la fattispecie dell’espropriazione di valore, bensì quella della cosiddetta area bianca. Concludendo, pertanto, per il risarcimento del danno è necessario che il privato dimostri l’esistenza di una prognosi a sé favorevole in ordine all’ottenimento del bene della vita, che l’impugnazione del silenzio della P.A. è volta a raggiungere.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 11 febbraio – 18 marzo 2016, n. 5443 Presidente Salvago – Relatore Valitutti Ritenuto in fatto 1. Con atto di citazione notificato il 25 settembre 1993, R.E. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Messina, il Comune di Taormina, chiedendo dichiararsi l’illegittimità del vincolo urbanistico, approvato dall’ente con la delibera del Consiglio Comunale n. 291 del 28 agosto 1981, gravante sull’immobile in comproprietà del R. , sito in ed adibito ad albergo, e condannarsi il Comune convenuto al risarcimento dei danni subiti. Il Tribunale adito, con sentenza non definitiva n. 103/2002, depositata il 14 gennaio 2002, riconosceva in capo al R. il diritto al risarcimento del danno, la qui quantificazione veniva rinviata ad altra sede, per avere l’ente pubblico mantenuto ininterrottamente il vincolo urbanistico dal 1981 al 1992, sebbene, con successiva delibera del 1985, il predetto Comune avesse destinato un diverso immobile a sede dell’USL. Con successiva sentenza definitiva n. 747/2004, depositata il 6 marzo 2004, il Tribunale - disposta c.t.u. - condannava, quindi, il Comune di Taormina al risarcimento dei danni, in favore dell’attore, quantificati in Euro 271.240,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria con decorrenza dal 13 gennaio 2003. 2. Avverso entrambe le decisioni proponevano appello principale l’ente pubblico, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e deducendo che nessuna prova del danno risarcibile aveva offerto in giudizio l’attore, ed appello incidentale il R. , censurando l’ingiustificata riduzione degli importi accertati dal c.t.u. e l’erronea decorrenza degli interessi e della rivalutazione monetaria. L’appellante incidentale chiedeva, altresì, la liquidazione degli ulteriori danni subiti per la perdita del proprio diritto alla ristrutturazione dell’immobile in questione, conseguente all’intervenuta vendita forzata del bene in sede esecutiva. La Corte di Appello di Messina, con sentenza n. 708/2009, depositata il 14 dicembre 2009, accoglieva l’appello principale e rigettava quello incidentale. Il giudice di seconde cure, disattendeva l’eccezione di difetto di giurisdizione proposta dal Comune di Taormina, ma riteneva, nel merito, insussistente la dedotta illiceità del comportamento della p.a. e la sussistenza di un fatto generatore di danno ingiusto. 3. Per la cassazione della sentenza n. 708/2009 ha proposto, quindi, ricorso R.E. nei confronti del Comune di Taormina, sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ 4. Il resistente ha replicato con controricorso, contenente altresì ricorso incidentale, affidato a due motivi. Considerato in diritto 1. Osserva la Corte che riveste carattere pregiudiziale e va, pertanto, esaminato prima dei motivi del ricorso principale proposto dal R. , il primo motivo di ricorso incidentale del Comune di Taormina, con il quale l’ente pubblica censura la violazione dei principi in materia di riparto tra la giurisdizione del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo. 1.1. Lamenta il ricorrente che la Corte di Appello abbia erroneamente affermato la sussistenza, nella specie, della giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla pretesa risarcitoria azionata in giudizio da R.E. , laddove tale giurisdizione non avrebbe potuto essere considerata sussistente, non avendo il privato impugnato il provvedimento con il quale gli era stato denegato il rilascio della concessione edilizia per la demolizione e la ricostruzione dell’immobile sul quale incideva il vincolo per cui è causa. 1.2. Il motivo è infondato. 1.2.1. Va osservato, infatti, che - secondo il costante insegnamento di questa Corte - in relazione a domanda di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. da comportamento della P.A., proposta prima delle modificazioni del sistema di riparto della giurisdizione introdotte con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, e successive modificazioni, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, al quale spetta, in linea di principio, la cognizione su questioni di diritto soggettivo, giacché tale natura deve attribuirsi al diritto al risarcimento del danno, che è diritto distinto dalla posizione giuridica soggettiva la cui lesione sia fonte di danno ingiusto, la quale può avere natura di diritto soggettivo, di interesse legittimo - nelle sue varie configurazioni, correlate alle diverse forme di protezione - o di interesse comunque rilevante per l’ordinamento cfr. Cass. S.U. 500/1999 2206/2005 13711/2005 25515/2006 123737/2008 . In siffatta ipotesi, infatti, il giudice adito può procedere direttamente ad accertare l’illegittimità del provvedimento amministrativo, nell’ambito della qualificabilità del fatto controverso come illecito a norma dell’art. 2043 cod. civ. cfr., ex plurimis, Cass.S.U. 500/1999 S.U. 1852/2009 Cass. 13619/2004 18486/2006 . 1.2. Deve ritenersi, pertanto, che la statuizione del giudice di appello, in ordine alla affermata giurisdizione del giudice ordinario, sia del tutto corretta ed immune da censure. Né vi è materia per la rimessione della questione di giurisdizione alle Sezioni Unite di questa Corte, ai sensi del combinato disposto degli artt. 360, comma 1, n. 1, 374, comma 1, e 376, comma 3, cod. proc. civ., non ponendosi neppure - alla stregua dell’indirizzo nomofilattico suesposto - un problema di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. 1.3. La censura va, di conseguenza, disattesa. 2. Passando, quindi, all’esame del ricorso principale, va rilevato che, con il primo e secondo motivo - che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente - R.E. denuncia la violazione e falsa applicazione degli arti. 112 cod. proc. civ., 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187 e 1 della legge della Regione Sicilia 5 novembre 1973, n. 38, nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ 2.1. Deduce il R. che, con la domanda proposta in giudizio, l’odierno ricorrente aveva dedotto la sussistenza di un comportamento illecito del Comune di Taormina sotto un duplice profilo per avere l’ente pubblico mantenuto illegittimamente il vincolo urbanistico approvato dall’ente, con la delibera del Consiglio Comunale n. 291 del 28 agosto 1981, sull’area di sua proprietà e sull’immobile su di essa insistente, adibito ad albergo, nonostante che, con successiva delibera del 1985, il predetto Comune avesse destinato un diverso immobile a sede dell’USL per avere il Comune denegato all’istante la concessione edilizia per la demolizione e la ristrutturazione dell’albergo. 2.1.1. La sentenza impugnata avrebbe, sotto il primo profilo, illegittimamente escluso la dedotta illiceità del comportamento della p.a. e la sussistenza di un fatto generatore di danno ingiusto, sulla base dell’erroneo presupposto secondo cui la revoca della limitazione imposta alla proprietà privata sarebbe discrezionale e, quindi, non censurabile, non avendo il R. impugnato alcuno degli atti amministrativi emessi relativamente alla sua posizione giuridica , e non avendo mai il medesimo richiesto un indennizzo per il bene sottoposto al vincolo. Tale ultima affermazione della Corte territoriale, ad avviso del R. , sarebbe, peraltro, censurabile anche sotto il profilo del vizio di extrapetizione, poiché in contrasto con la domanda proposta dal medesimo in giudizio, ed avente ad oggetto esclusivamente il risarcimento dei danni per le due causali suindicate. 2.1.2. Sotto il secondo profilo, poi, del tutto erronea si paleserebbe la pronuncia della Corte di Appello, laddove ha escluso il diritto del R. al risarcimento del danno per il mancato rilascio della concessione edilizia per la demolizione e ristrutturazione dell’albergo, avendo il provvedimento espresso di diniego dell’amministrazione comunale - da reputarsi illegittimo, stante l’indebito mantenimento del vincolo suindicato sul bene - determinato un’evidente lesione del diritto del privato alla conservazione ed alla manutenzione del bene. 2.2. Le censure sono infondate. 2.2.1. Alla stregua dell’impugnata sentenza e degli atti del presente giudizio, la vicenda processuale può essere ricostruita come segue. Con delibera n. 291 del 28 agosto 1981, il Comune di Taormina apponeva sul suolo in comproprietà del R. , e sul quale insisteva l’albergo , un vincolo urbanistico, destinando l’albergo a sede della USL di . Con successiva delibera del 1985, il predetto Comune individuava un diverso immobile da destinarsi a sede dell’USL, senza, peraltro, revocare il precedente vincolo di destinazione. Il R. ed altri comproprietari presentavano, quindi, a distanza di alcuni anni, un primo progetto di ristrutturazione e ricostruzione dell’albergo che veniva respinto dal Comune, su parere negativo della C.C.E. dell’8 agosto 1991, per la persistenza del vincolo di cui alla predetta delibera n. 291 del 1981. Seguiva la presentazione di un secondo progetto, nel novembre del 1992, costituente oggetto della presente controversia. Con delibera n. 46 del 17 luglio 1992, il Comune di Taormina dichiarava, infine, che la sussistenza del vincolo sull’albergo non aveva più ragion d’essere, in quanto la USL OMISSIS ha un nuovo complesso in Contrada . Con atto stragiudiziale del 28 ottobre 1992 e con raccomandata del 19 aprile del 1993, il R. costituiva in mora il Comune di Taormina, riservandosi di chiedere i danni conseguenti al mantenimento illegittimo del vincolo urbanistico sull’immobile ed al rifiuto di rilasciargli la invocata concessione edilizia . Orbene, sulla base di tali premesse di fatto, la Corte di Appello ha escluso la risarcibilità per lesione di interesse legittimo, con riferimento ad entrambi i profili di danno suindicati. E tale conclusione si palesa pienamente condivisibile, sebbene la motivazione dell’impugnata sentenza vada in parte corretta, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ 2.2.2. In relazione al profilo di danno concernente il mantenimento del vincolo sui beni del R. , deve, invero, osservarsi che, in materia urbanistica, poiché la potestà dei Comuni d’imporre vincoli preordinati all’esproprio o all’inedificabilità non è illimitata, decadendo tali vincoli, ai sensi dell’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187 applicabile ratione temporis , al termine del quinquennio per la Regione Sicilia, ai sensi dell’art. 1 della legge regionale 5 novembre 1973, n. 38, al termine del periodo di dieci anni , si determina, in caso di mancata reiterazione dei vincoli pregressi o di mancato inserimento dei terreni nell’ambito di una precisa pianificazione conformativa, una condizione di vuoto urbanistico , disciplinata dall’art. 4, ultimo comma, della legge n. 10 del 1977, dovuta alla violazione dell’obbligo di ripianificazione incombente sulla P.A. Tuttavia, la situazione di inedificabilità conseguente alla sopravvenuta inefficacia di talune destinazioni di piano cosiddetto vuoto urbanistico è per sua natura provvisoria, avendo l’autorità comunale l’obbligo di reiterare il vincolo con previsione di indennizzo , ovvero, in alternativa, di provvedere all’integrazione dello strumento pianificatorio divenuto parzialmente inoperante, stabilendo la nuova destinazione da assegnare all’area interessata. Qualora la P.A. rimanga inerte, dunque, la situazione conseguente non è equiparabile alla compressione del diritto dominicale provocata dai vincoli preordinati all’esproprio, né è definibile come espropriazione di valore, attesa la provvisorietà del regime urbanistico di salvaguardia, per cui nessuna aspettativa si crea nel proprietario in ordine al conferimento di particolari qualità edificatorie oltre quei limiti o, ancor meno, riguardo a possibili lottizzazioni. Egli, però, non resta senza tutela nei confronti dell’inerzia dell’ente territoriale, ben potendo, ove vi abbia interesse, promuovere gli interventi sostitutivi della Regione ex art. 4, comma 7, della l. n. 10 del 1977 , oppure reagire attraverso la procedura di messa in mora per far accertare l’illegittimità del silenzio. Solo in caso di persistente inerzia della p.a. può configurarsi la lesione del bene della vita identificabile nell’interesse alla certezza circa la possibilità di razionale e adeguata utilizzazione della proprietà, con conseguente diritto del privato al risarcimento del danno subito cfr. Cass. 8384/2008 18105/2010 8530/2010 . 2.2.2.1. In entrambe le evenienze suindicate, il procedimento amministrativo deve essere, tuttavia, portato a compimento dall’interessato mediante ricorso al giudice amministrativo, per far dichiarare l’illegittimità del mancato esercizio dell’attività amministrativa obbligatoria da parte della pubblica amministrazione, potendo solo all’esito proporsi domanda di risarcimento dei danni dinanzi al giudice ordinario, nel regime giuridico temporalmente applicabile alla fattispecie concreta. Ed invero, a fronte dell’obbligo del Comune di ripianificare le aree cosiddetto bianche già interessate da un vincolo decaduto per decorso del quinquennio, si pone l’interesse procedimentale del proprietario, cui è riconosciuto un potere di reazione all’inerzia dell’amministrazione attraverso la procedura di messa in mora e tipizzazione giurisdizionale del silenzio, di modo che solo in caso di persistente inerzia potrà configurarsi la lesione al bene della vita, identificabile non già nello ius aedificandi, attesa l’impossibilità di affidamento del proprietario in merito a specifiche qualificazioni dei suoli nell’esercizio del potere discrezionale inerente alla pianificazione del territorio, bensì nell’interesse alla certezza circa le possibilità di adeguata e razionale utilizzazione della proprietà. Di tale interesse - perdurando l’inattività della p.a. dopo l’accertamento giudiziale del silenzio inadempimento - va ravvisata, pertanto, la lesione risarcibile, alla stregua dei canoni di correttezza e buona fede, nello svolgimento del rapporto qualificato e differenziato tra soggetto pubblico e privato che nasce per effetto della sentenza conclusiva del giudizio di tipizzazione del silenzio Cass. 14333/2003 . Nello stesso senso si è, del resto, espressa anche la giurisprudenza amministrativa, secondo la quale, nel caso in cui il vincolo preordinato all’espropriazione o che comporti l’inedificabilità di beni privati è scaduto senza che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, l. 19 novembre 1968 n. 1187, si sia provveduto all’approvazione del piano particolareggiato ovvero del progetto esecutivo o definitivo di opera pubblica, da un lato la nuova disciplina edificatoria applicabile all’area interessata corrisponde a quella stabilita dall’art. 4, ultimo comma, l. 28 gennaio 1977 n. 10 e, dall’altro lato, siffatta situazione di inedificabilità pressoché assoluta ha carattere provvisorio, dovendo l’Amministrazione procedere il più rapidamente possibile all’obbligatoria integrazione del piano divenuto parzialmente inoperante, con la conseguenza che il privato può, nell’inerzia della amministrazione, agire in via giurisdizionale seguendo il procedimento del silenzio rifiuto, anche al fine di conseguire il risarcimento del danno subito cfr. ex plurimis, C. St. 7182/2010 7493/2010 2680/2011 . 2.2.2.2. Ebbene, a tal riguardo, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha, altresì, più volte affermato che, in un campo così complesso e difficile quale la pianificazione del territorio , gli Stati contraenti godono senza dubbio di un ampio margine di apprezzamento per condurre la loro politica urbanistica , dovendo la Corte accertare esclusivamente se, nelle singole ipotesi, sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo e, segnatamente, la salvaguardia del diritto al rispetto dei beni , ai sensi dell’art. 1, comma 1, prima frase, del Protocollo n. 1 Addizionale alla CEDU cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 23 settembre 1982, Sporrong e Lonnroth c/o Svezia 23 aprile 1996, Phocas c/o Francia 7 luglio 2015, Odescalchi e Lante della Rovere c/o Italia . La violazione di tale equilibrio è stata, pertanto, ravvisata, in concreto, dalla Corte - in relazione a vicende concernenti i vincoli destinati all’espropriazione nell’ordinamento italiano - nei soli casi in cui il pieno godimento della proprietà, per il continuato divieto di costruire, si era protratto per decenni, e ad esso non si era potuto porre rimedio nonostante l’effettivo esperimento dei rimedi giurisdizionali interni da parte dei soggetti interessati cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 22 luglio 2004, Elia s.r.l. c/o Italia 12 luglio 2011, Maioli c/o Italia 7 luglio 2015, Odescalchi e Lante della Rovere c/o Italia . 2.2.2.3. Per converso, nel caso concreto, il R. si è limitato a mettere in mora l’amministrazione comunale con l’atto stragiudiziale del 28 ottobre 1992 e con la raccomandata del 19 aprile 1993, ma non ha esperito la procedura di tipizzazione giurisdizionale del silenzio, ai sensi dell’art. 21 bis l. n. 1034 del 1971 applicabile ratione temporis , senza la quale non è possibile configurare una lesione del bene della vita tutelabile, in via risarcitoria, dinanzi al giudice ordinario, secondo il modello di tutela precedente le modificazioni del sistema di riparto della giurisdizione introdotte con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80. Alla scadenza del vincolo di zonizzazione, se la P.A. non ha reiterato il vincolo o non ha previsto un mutamento di destinazione urbanistica, sorge, difatti, per il privato solo l’interesse legittimo a una nuova pianificazione urbanistica e non, automaticamente, una lesione del diritto domenicale indennizzabile, non ricorrendo la fattispecie dell’espropriazione di valore, bensì quella della area bianca di cui all’art. 4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10. Ne discende che per il risarcimento del danno è necessario che il privato dimostri l’esistenza di una prognosi a sé favorevole in ordine all’ottenimento del bene della vita, che l’impugnazione del silenzio della p.a. è volta a raggiungere Cass. 8384/2008 26546/2014 . 2.2.2.4. Né può ritenersi che tale soluzione comporti, di fatto, una sorta di reinserimento nel sistema della cd. pregiudiziale amministrativa, ossia della previa impugnazione del provvedimento amministrativo, espunta dall’ordinamento, dapprima in forza di diverse pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte - emesse, sia con riferimento al regime precedente il d.lgs. n. 80 del 1998 Cass.S.U. 50/1999 , sia con riferimento al sistema normativo conseguente alla legge 21 luglio 2000, n. 205 Cass.S.U. 13659/2006 S.U. 30254/2008 -, dipoi con la previsione normativa di cui all’art. 30 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 c.d. codice del processo amministrativo cfr. Cass. S.U. 25395/2010 . La cd. pregiudiziale amministrativa ricorre, infatti, esclusivamente con riferimento alla affermazione, operata dalla giurisprudenza amministrativa, della necessità dell’impugnazione del provvedimento amministrativo illegittimo, prima di potere adire il giudice con la domanda di risarcimento dei danni conseguenti, laddove il silenzio rifiuto è un mero comportamento inerte ed inadempiente della p.a. ovverosia un non provvedimento , a fronte di un obbligo di provvedere su un’istanza del privato volta a sollecitare l’esercizio di un pubblico potere C. St. 3487/2010 5251/2015 . 2.2.2.5. La decisione emessa nel caso concreto dalla Corte di Appello è, pertanto, del tutto corretta ed adeguatamente motivata, quanto all’esclusione del diritto del R. al risarcimento del danno per il mantenimento del vincolo sui beni del ricorrente. Una volta venuto a scadenza il vincolo in questione - in data 28 agosto 1991, per effetto del decorso del termine decennale ex art. 1 l. reg. n. 38 del 1973 -, il ricorrente avrebbe, invero, dovuto esperire e portare a compimento uno dei due rimedi alternativi di tutela suindicati, derivandone, in mancanza, l’insussistenza del diritto ad avvalersi della tutela risarcitoria. Erra, peraltro, la Corte territoriale laddove afferma che il mantenimento dei vincolo avrebbe comportato il diritto del R. all’indennizzo, peraltro mai richiesto dall’istante. Ed invero, il fatto costitutivo del diritto all’indennizzo non è individuabile nell’imposizione originaria di un vincolo di inedificabilità, e neppure nella protrazione di fatto del medesimo dopo la sua decadenza, giacché in tal caso ben può il proprietario - come dianzi detto - sollecitare l’esercizio del potere pianificatorio attraverso la procedura di messa in mora, e far accertare, di risulta, l’illegittimità del silenzio, bensì nell’atto che esplicitamente reitera tale vincolo Cass. 1754/2007 Cass. 14774/2012, con riferimento dell’indennità prevista dall’art. 39 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, norma non applicabile alla fattispecie, ma che espressamente prevede l’indennizzo con riferimento al caso di reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo . In tal senso, si è, del resto, espressa anche la Corte Costituzionale, nella pronuncia con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge n. 1187 del 1968, nella parte in cui consente all’amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino inedificabilità, senza la previsione di indennizzo C. Cost. 179/1999 . D’altra parte, è certamente significativo il fatto che il R. - come si evince sia dal ricorso p. 3 che dall’impugnata sentenza p. 3 non abbia in alcun modo richiesto in giudizio l’indennizzo in parola, ma esclusivamente il risarcimento dei danni patrimoniali subiti. 2.2.2.6. E tuttavia, contrariamente all’assunto del ricorrente, non può ritenersi che siffatta affermazione del giudice di appello, circa il diritto all’indennizzo che sarebbe in ipotesi spettato al R. , si sia tradotta in una forma di extrapetizione, per avere la Corte territoriale operato il riferimento ad un bene, l’indennizzo, mai richiesto in giudizio dall’odierno ricorrente. Il vizio di extrapetizione o di ultra-petizione ricorre, infatti, solo quando il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti e pronunciando oltre i limiti del petitum e delle eccezioni hinc et inde dedotte, ovvero su questioni che non siano state sollevate e che non siano rilevabili d’ufficio, attribuisca alla parte un bene non richiesto, e cioè non compreso nemmeno implicitamente o virtualmente nella domanda proposta. Ne consegue che tale vizio deve essere escluso qualora il giudice, contenendo la propria decisione entro i limiti delle pretese avanzate o delle eccezioni proposte dalle parti, e riferendosi ai fatti da esse dedotti, abbia fondato la decisione stessa sulla valutazione unitaria delle risultanze processuali, pur se in base ad argomentazioni o considerazioni non prospettate dalle parti medesime Cass. 21745/2006 2297/2011 . La motivazione dell’impugnata sentenza va, pertanto, soltanto corretta nel senso suindicato. 2.2.3. Tutto ciò osservato in ordine al primo profilo di danno, rileva altresì la Corte che i motivi di ricorso in esame si palesano del tutto infondati anche per quanto concerne i danni conseguenti al mancato rilascio della concessione edilizia per la demolizione e la ristrutturazione dell’albergo. 2.2.3.1. Al riguardo va, difatti, osservato che, in tema di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, perfino l’accertata illegittimità della condotta della p.a. o di suo organi, derivante dal ritardo, dall’inerzia o dalla mancata istruzione del procedimento accertamento che, nella specie, è invece assente, come si è dianzi rilevato , che si traducono nella violazione dell’obbligo di portarlo comunque a compimento in modo favorevole o sfavorevole per l’istante, non è sufficiente ai fini dell’affermazione della responsabilità aquiliana, essendo, altresì, necessario che risulti danneggiato l’interesse al bene della vita al quale è correlato l’interesse legittimo dell’istante, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo. In riferimento al rilascio di una concessione edilizia, pertanto, l’accertamento di tale interesse - avente natura di interesse pretensivo - implica un giudizio prognostico sulla fondatezza dell’istanza, da condursi in riferimento alla normativa di settore ed agli elementi offerti dall’istante, onde stabilire se costui fosse titolare di una situazione suscettibile di determinare un oggettivo affidamento circa la conclusione positiva del procedimento Cass. 12455/2008 21170/2011 . 2.2.3.2. Nel caso concreto, attesa la menzionata carenza dello strumento pianificatorio, è - per converso - certamente da escludersi che la concessione fosse ottenibile dal privato, il quale, come si è in precedenza osservato, non avrebbe potuto conseguirne il rilascio a fini edificatori Cass. 14333/2003 8384/2008 . E neppure, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Appello, il medesimo avrebbe potuto conseguire una riparazione di tipo indennitario, non essendo stata nella specie - come pure si è detto - posta in essere dall’amministrazione una reiterazione del vincolo con previsione di indennizzo, né una compressione del diritto di proprietà equiparabile ai vincoli preordinati all’esproprio, bensì una mera situazione di colpevole inerzia, dalla quale può conseguire solo un danno risarcibile sotto il profilo suindicato. Di più, la sentenza impugnata ha accertato che il primo dei due progetti presentati dal R. 1991 non era stato neppure prodotto in giudizio, ai fini di consentirne il riscontro di fattibilità, e che il secondo - sottoposto all’esame del c.t.u. - aveva ad oggetto un’opera risultata del tutto non realizzabile. E ciò per non essere stati eseguiti i necessari calcoli statici, per non essere state indicate le superfici di spettanza del altre ditte comproprietarie, per non essere state eseguite le indispensabili indagini sul calcolo della superficie coperta, dell’altezza dei fabbricati e relativamente alla possibilità di riedificare l’edificio preesistente con la medesima volumetria. Sicché nessun ragionevole affidamento il R. poteva riporre in ordine alla conclusione positiva del procedimento di rilascio della concessione edilizia. 2.3. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, le censure in esame non possono che essere integralmente disattese. 3. Con il terzo motivo di ricorso, R.E. denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti decisivi deal controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ 3.1. Si duole il ricorrente del fatto che le censure del R. , appellante in via incidentale avverso la sentenza di primo grado, relative alla riduzione della somma quantificata dal c.t.u. ed alla decorrenza della rivalutazione e degli interessi, non sarebbero state prese in esame dalla Corte di Appello, e che - in ogni caso - la motivazione in ordine alla quantificazione complessiva del danno sarebbe del tutto carente. 3.2. Il mezzo è infondato. 3.2.1. Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto. Il che non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia cfr., ex plurimis, Cass. 16788/2006 10696/2007 20311/2011 21612/2013 17956/2015 . 3.2.2. Nel caso di specie, la Corte di Appello ha implicitamente rigettato le censure del R. , appellante in via incidentale avverso la sentenza di primo grado, relative alla riduzione della somma quantificata dal c.t.u. ed alla decorrenza della rivalutazione e degli interessi, avendo la Corte p. 7 escluso in radice la dedotta illiceità del comportamento della p.a. e la sussistenza di un fatto generatore di danno, sotto entrambi i profili suindicati. 3.3. Il motivo va, pertanto, rigettato. 4. Con il quarto motivo del ricorso principale e con il secondo motivo del ricorso incidentale, R.E. ed il Comune di Taormina denunciano entrambi la violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., nonché l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ 4.1. I ricorrenti censurano, per opposte ragioni, la compensazione delle spese dei giudizi di merito operata dalla Corte di Appello di Messina. 4.2. Il motivo è infondato. 4.2.1. Il testo dell’art. 92 cod. proc. civ. applicabile alla fattispecie concreta è, difatti, quella originaria, secondo la quale se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti . Orbene, l’indirizzo interpretativo più recente si è ormai consolidato nel senso che, ai sensi dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis prima della modifica introdotta dall’art. 2, co. 1, lett. a , della legge n. 263 del 2005, la scelta di compensare le spese processuali è riservata al prudente, ancorché motivato, apprezzamento del giudice di merito, la cui statuizione può essere censurata in sede di legittimità solo quando siano illogiche o contraddittorie le ragioni poste alla base della motivazione sulle spese - che può anche desumersi dal complesso delle considerazioni giuridiche o di fatto enunciate a sostegno della decisione di merito o di rito - tali da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale cfr., ex plurimis, Cass. 24531/2010 7763/2012 20457/2011 1371/2013 1997/2015 . 4.2.2. Nel caso di specie, la compensazione delle spese dei giudizi di merito è stata motivata dalla Corte territoriale con riferimento al fatto che la decisione si fonda su argomentazioni di ordine squisitamente giuridico . Tale motivazione è da reputarsi senz’altro sufficiente a supportare la decisione di compensazione delle spese, tenuto conto del testo applicabile ratione temporis. 4.3. La censura non può, pertanto, trovare accoglimento. 5. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il ricorso principale e quello incidentale vanno entrambi rigettati. Il ricorrente principale rimasto integralmente soccombente nel merito, all’esito dei tre gradi di giudizio a fronte di una soccombenza del ricorrente incidentale limitata ad una questione pregiudiziale, va condannato alle spese del presente giudizio, nella misura di cui in dispositivo. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso principale e quello incidentale condanna il ricorrente principale R.E. alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 8.000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie ed accessori di legge.