Se il paziente muore la colpa è del suo medico curante

In tema di responsabilità contrattuale e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto o il contatto sociale e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 4764/2016 depositata l’11 marzo. Il fatto. Una gestante perse la vita in seguito alle complicanze insorte durante l’ultima fase della sua gravidanza ed in occasione del parto della sua terzogenita. Il coniuge, in proprio e quale genitore esercente la potestà sulle figlie minori della vittima, nonché, separatamente il fratello di questa, agirono in giudizio nei confronti dei medici coinvolti e della struttura sanitaria al fine di ottenere il risarcimento dei conseguenti danni. Riuniti i giudizi, con sentenza, il Tribunale territorialmente competente rigettò le domande nei confronti del medico di guardia e della Casa di Cura presso la quale era stata ricoverata la vittima. Condannava, invece, il ginecologo di fiducia della stessa che frattanto era stato definitivamente assolto dall’accusa di omicidio colposo in sede penale , a risarcire i danni ai congiunti. La sentenza veniva confermata dalla Corte territoriale. Avverso la sentenza proponevano ricorso per Cassazione gli eredi del ginecologo. Nella caso di specie, gli Ermellini, hanno ritenuto la valutazione dalla Corte territoriale corretta in quanto operata sulla scorta di un percorso logico approdato ad una motivazione del tutto coerente ed esaustiva, anche sotto il profilo della considerazione delle risultanze del materiale istruttorio. Sulla base, infatti, di tutte le prove acquisite agli atti, il Collegio ha ritenuto provata l’esistenza del rapporto contrattuale tra il ginecologo e la vittima, nonché l’aggravamento della patologia lamentata dalla stessa vittima. Ha ritenuto, altresì, correttamente allegato l’inadempimento del medico, astrattamente idoneo a provocare la morte della paziente e non raggiunta, invece la prova che l’inadempimento del professionista non vi era stato o che comunque esso non era stato eziologicamente rilevante. In particolare, il giudice di seconde cure ha correttamente evidenziato – tra l’altro – che il ginecologo, medico di fiducia della vittima, nonostante fosse stato messo a conoscenza delle condizioni non buone della sua paziente e dei relativi preoccupanti sintomi con numerose telefonate da parte del medico di guardia della casa di cura, e sebbene fosse stato messo a conoscenza sin dal pomeriggio dell’esistenza di un malore accusato dalla stessa, non aveva proceduto tempestivamente al suo esame obiettivo, non aveva consigliato il ricovero in un’adeguata struttura ospedaliera ed era giunto presso la Casa di Cura – presso la quale aveva invece consigliato il ricovero, solo dopo diverse ore, senza neanche curarsi di predisporre in anticipo il tempestivo intervento di anestesia, il che – secondo le condivise valutazioni del consulente tecnico di ufficio – aveva ritardato in modo decisivo i tempi dell’intervento di taglio cesareo necessario per scongiurare la morte della gestante. Concludendo. In proposito vanno ribaditi i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in Cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con al decisione adottata.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 11 gennaio – 11 marzo 2016, n. 4764 Presidente Vivaldi – Relatore Tatangelo Svolgimento del processo Il omissis G.F. perse la vita in seguito alle complicanze insorte durante l’ultima fase della sua gravidanza e in occasione del parto della figlia L. , avvenuto il omissis presso la Casa di Cura omissis . Nel 2000 il coniuge B.A. , in proprio e quale genitore esercente la potestà sulle figlie minori della vittima, C. , V. e L. , nonché, separatamente, il fratello di questa, G.M. , agirono in giudizio nei confronti dei medici coinvolti e della struttura sanitaria per ottenere il risarcimento dei conseguenti danni. Riuniti i giudizi, con sentenza del 5 settembre 2006 n. 1481, il Tribunale di Nola rigettò le domande nei confronti del medico di guardia e della Casa di Cura omissis condannò invece il dott. Tr.Gi. , quale ginecologo di fiducia della vittima che frattanto era stato definitivamente assolto dall’accusa di omicidio colposo in sede penale, ai sensi dell’art. 530, co. 2, c.p.p. , a risarcire i danni ai congiunti della vittima. La sentenza è stata confermata dalla Corte di Appello di Napoli. Ricorrono gli eredi di Tr.Gi. , nei confronti di B.A. e L. , nonché di G.M. , sulla base di quattro motivi. Resistono con controricorso B.A. e L. . Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altro intimato G.M. . I resistenti B.A. e L. hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo viene denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 164 comma 1 e 4 c.p.c. per omissione e incertezza assoluta dei requisiti previsti nel n. 3 e nel n. 4 dell’art. 163 c.p.c. comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5 . Il motivo è inammissibile, per carenza del requisito di specificità dell’impugnazione, e comunque per difetto di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366, co. 1, n. 6, e dell’art. 369, co. 2, n. 4, c.p.c I ricorrenti si dolgono del fatto che la corte di appello avrebbe rigettato il motivo di gravame con cui avevano dedotto la nullità degli atti di citazione introduttivi del giudizio di primo grado per mancata specificazione del petitum e della causa petendi , essendosi gli attori limitati a dare una prospettazione del fatto - peraltro nemmeno provandola - dalla quale hanno chiesto al Tribunale di derivare le conseguenze di legge . La corte di merito ha così motivato la pronunzia sul punto La doglianza non è meritevole di accoglimento, considerato che gli attori, nei loro atti introduttivi, hanno chiaramente indicato le ragioni, in fatto e diritto della loro domanda di risarcimento, individuandole nella specifica condotta negligente ed imperita tenuta dal medico durante il ricovero di G.F. e nella sua responsabilità professionale, che ne aveva cagionato la morte. Né, nella specie, la mancata quantificazione della somma richiesta negli atti introduttivi può comportare la nullità delle citazioni per incerta determinazione del petitum, avendo gli attori indicato il titolo, dal quale le loro domande traevano fondamento . Nel ricorso, in violazione degli artt. 366, co. 1, n. 6, e 369 co. 2, n. 4, c.p.c., non è stata fornita una indicazione specifica del contenuto degli atti introduttivi dei quali viene predicata la nullità vi è solo la trascrizione di poche righe delle conclusioni di essi . Questi ultimi non sono allegati al ricorso e neanche viene specificamente indicato dove siano reperibili nell’ambito delle produzioni relative all’intero processo. In tal modo è evidente che la Corte non è posta in grado di verificare l’assunto posto a base del ricorso stesso sul cd. principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, positivamente sancito all’art. 366, co. 1, n. 6, c.p.c., tra le più recenti, si vedano Cass. 15 luglio 2015 n. 14784 3 febbraio 2015 n. 1926 12 dicembre 2014 n. 26174 24 ottobre 2014 n. 22607 9 aprile 2013 n. 8569 7 febbraio 2011 n. 2966 S.U., 25 marzo 2010 n. 7161 23 settembre 2009 n. 20535 4 settembre 2008 n. 22303 17 luglio 2008 n. 19766 17 luglio 2007 n. 15952 24 maggio 2006 n. 12362 23 marzo 2005 n. 6225 . Inoltre, non viene chiarito - tanto meno in modo specifico - per quale ragione sarebbe erronea la pronunzia della corte di appello con riguardo al requisito della specificità dei motivi di impugnazione Cass. 25 settembre 2009 n. 20652 17 luglio 2007 n. 15952 19 ottobre 2006 n. 22499 6 giugno 2006 n. 13259 2 febbraio 2006 n. 2270 . La decisione impugnata appare del resto conforme alla giurisprudenza di questa Corte, per cui a la nullità dell’atto di citazione per petitum omesso od assolutamente incerto, ai sensi dell’art. 164, quarto comma, c.p.c., postula una valutazione caso per caso, dovendosi tener conto, a tal fine, del contenuto complessivo dell’atto di citazione, dei documenti ad esso allegati, nonché, in relazione allo scopo del requisito di consentire alla controparte di apprestare adeguate e puntuali difese, della natura dell’oggetto e delle relazioni in cui, con esso, si trovi la controparte Cass. 29 gennaio 2015 n. 1681 nel medesimo senso, tra le altre Cass. 25 settembre 2014 n. 20294 15 maggio 2013 n. 11751 12 ottobre 2012 n. 17408 28 agosto 2009 n. 18783 21 novembre 2008 n. 27670 7 marzo 2006 n. 4828 12 novembre 2003 n. 17023 b l’onere di determinazione dell’oggetto della domanda è validamente assolto anche quando l’attore ometta di indicare esattamente la somma pretesa dal convenuto, a condizione che abbia però indicato i titoli posti a fondamento della propria pretesa, ponendo in tal modo il convenuto in condizione di formulare le proprie difese Cass. 28 maggio 2009 n. 12567 nel medesimo senso Cass. 5 aprile 2005 n. 7074 . 2.- Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 . Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 115, comma 1 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5 . I due motivi, connessi e quindi da esaminare congiuntamente, sono infondati. I ricorrenti lamentano in primo luogo con il secondo motivo la mancata ammissione della produzione, nel giudizio di appello, del verbale di un interrogatorio reso dall’attore B.A. al Pubblico Ministero dal quale, a loro avviso, si trarrebbe la prova negativa di un fatto decisivo posto a base della decisione impugnata. Deducono inoltre con il terzo motivo che la circostanza in questione sarebbe stata erroneamente ritenuta non contestata in primo grado dalla corte di appello. La motivazione con la quale la corte di appello ha respinto l’istanza di ammissione della produzione del nuovo documento in sede di gravame risulta del tutto corretta. In primo luogo, pur essendosi il documento formato in epoca tale da consentirne la produzione nel rispetto delle preclusioni istruttorie del giudizio di primo grado esso è in realtà addirittura precedente di circa otto anni rispetto all’inizio giudizio di primo grado , non era stato neanche dedotto il motivo per cui ciò non era stato fatto. Inoltre, la circostanza che la parte intendeva provare con tale documento risultava non contestata e anzi espressamente riconosciuta sia pure per implicito , quindi addirittura fuori dal thema decidendum . Sotto tale ultimo profilo, la corte ha sottolineato a che il fatto in discussione e cioè il consiglio telefonico del T. , nel pomeriggio del 13 dicembre, di far ricoverare la G. presso la casa di cura dove era fissato l’intervento di parto cesareo per l’indomani era stato dedotto dagli attori già in primo grado, e mai contestato dal convenuto b che quest’ultimo lo aveva addirittura implicitamente, ma chiaramente, ammesso nella sua comparsa conclusionale. La valutazione dell’effettivo significato delle ammissioni contenute nella comparsa conclusionale è corretta, e le contestazioni dei ricorrenti sul punto non hanno alcun pregio. Nella sentenza impugnata si precisa che il consulente tecnico di ufficio nominato in primo grado, nel sottolineare la gravità del comportamento del ginecologo e nell’indicare i fondamenti della sua colpa professionale, aveva fatto espresso riferimento al consiglio telefonico dato dallo stesso nella telefonata del pomeriggio. Sarebbe quindi stata del tutto illogica, in comparsa conclusionale, una affermazione sul punto meramente ipotetica in luogo di una chiara ed espressa negazione del fatto negazione che del resto gli stessi ricorrenti non deducono vi sia mai stata in primo grado . Il documento non ammesso in appello, peraltro, non avrebbe potuto in nessun caso considerarsi indispensabile ai fini della decisione. Ciò per due ragioni, una di fatto e una di diritto. La prima ragione, di fatto, è che il contenuto di esso, secondo quanto riportato dagli stessi ricorrenti, è evidentemente del tutto inidoneo a dimostrare quanto essi pretendono, e cioè l’inesistenza della conversazione telefonica nel pomeriggio del OMISSIS tra il T. e il coniuge della G. . La dichiarazione del B. al Pubblico Ministero, che secondo i ricorrenti sarebbe in proposito dirimente, non è affatto tale. Il tenore di essa poiché l’indomani mia moglie si sarebbe dovuta comunque ricoverare alla Clinica omissis decidemmo insieme di ricoverarla quella sera stessa presso la predetta casa di cura. Ivi giunti chiedemmo del dr. T. . che però non c’era né fu possibile rintracciarlo telefonicamente sino alle 22.30 non è assolutamente incompatibile con lo svolgimento dei fatti accertato nel giudizio di merito e cioè che intorno alle 18.30, quando la G. avvertì un malore e fu ricoverata presso l’Ospedale di , il T. venne raggiunto telefonicamente dal B. e, messo al corrente della situazione, ebbe a consigliare il ricovero presso la Casa di Cura omissis . È ben possibile che, dopo la prima telefonata, quando i coniugi giunsero alla casa di cura non vi trovarono il medico già contattato e non riuscirono più a raggiungerlo telefonicamente fino alle 22.30. La seconda ragione, di diritto, è che non si può prospettare come indispensabile la prova che tale appariva o poteva soggettivamente apparire - al di là della sua concreta efficacia ed utilitas - durante lo svolgimento del contraddittorio in primo grado e prima della formazione delle preclusioni probatorie, come certamente era nel caso di specie Cass. 12 febbraio 2013 n. 3493, che si conforma a Cass. 31 marzo 2011 n. 7441 nel medesimo senso Cass. 5 dicembre 2011 n. 26020 17 febbraio 2014 n. 3709 . 3.- Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 652 c.p.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5 . Anche questo motivo è infondato. La corte di appello si è espressamente conformata al principio di diritto affermato da questa Corte, per cui ai sensi dell’art. 652 nell’ambito del giudizio civile di danni e dell’art. 654 nell’ambito di altri giudizi civili c.p.p., il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche quando l’assoluzione sia determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma dell’art. 530, comma secondo, c.p.p. inoltre l’accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata perché il fatto non costituisce reato non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell’art. 652 c.p.p., nel giudizio civile di danno, nel quale, in tal caso, compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate dall’esito del processo penale Cass. 30 ottobre 2007 n. 22883 in senso conforme Cass. 30 agosto 2004 n. 17401 13 settembre 2006 n. 19559 20 settembre 2006 n. 20325 9 marzo 2010 n. 5676 11 febbraio 2011 n. 3376 13 novembre 2013 n. 25538 . In realtà la censura in esame, più che a contestare l’inesistenza del vincolo derivante dal giudicato penale essendo pacificamente il T. stato assolto ai sensi dell’art. 530, co. 2, c.p.p. , pare volta a criticare la concreta valutazione del materiale istruttorio operata dalla corte di appello, nell’effettuare il nuovo e autonomo accertamento, con pienezza di cognizione, dei fatti dedotti in giudizio. La rivalutazione dei fatti materiali emergenti dagli atti, da parte del giudice civile, sarebbe infatti avvenuta in maniera acritica, irrazionale e contraddittoria . Sotto questo aspetto, però, la censura è generica e comunque non coglie nel segno. La corte di appello si è conformata, nel valutare tutto il materiale probatorio, al principio di diritto relativo alla responsabilità per colpa medica, in ambito civile, per cui in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto o il contatto sociale e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante principio costantemente affermato a partire da Cass. SS.UU. 11 gennaio 2008 n. 577 conf. Cass. 18 settembre 2009 n. 20101 26 gennaio 2010 n. 1538 21 luglio 2011 n. 15993 12 settembre 2013 n. 20904 12 dicembre 2013 n. 27855 8 luglio 2014 n. 15490 30 settembre 2014 n. 20547 . La valutazione è stata compiuta correttamente, e del relativo percorso logico la corte ha dato adeguatamente conto, con motivazione del tutto coerente ed esaustiva, anche sotto il profilo della considerazione delle risultanze del materiale istruttorio. Sulla base degli esiti delle indagini del consulente tecnico di ufficio e delle altre prove acquisite agli atti, essa infatti ha ritenuto provata l’esistenza del rapporto contrattuale tra il T. e la G. nonché l’aggravamento della patologia di questa. Ha ritenuto altresì correttamente allegato l’inadempimento del medico astrattamente idoneo a provocare la morte della paziente, e non raggiunta invece la prova che l’inadempimento del professionista non vi era stato o che comunque esso non era stato eziologicamente rilevante. In particolare, ha correttamente evidenziato - tra l’altro - che il T. , medico di fiducia della G. , nonostante fosse stato messo a conoscenza delle condizioni non buone della sua paziente e dei relativi preoccupanti sintomi con numerose telefonate da parte del medico di guardia della casa di cura, e sebbene fosse a conoscenza sin dal pomeriggio del malore accusato dalla stessa, non aveva proceduto tempestivamente al suo esame obbiettivo, non aveva consigliato il ricovero in una adeguata struttura ospedaliera ed era giunto presso la casa di cura presso la quale aveva invece consigliato il ricovero, solo dopo diverse ore, senza neanche curarsi di predisporre in anticipo il tempestivo intervento di un anestesista, il che - secondo le condivise valutazioni del consulente tecnico di ufficio - aveva ritardato in modo decisivo i tempi dell’intervento di taglio cesareo necessario per evitare la morte della gestante. In proposito, vanno ribaditi i principi affermati da questa Corte, per cui la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento ex multis, Cass. 26 gennaio 2014 n. 1414 18 maggio 2006 n. 11660 18 maggio 2006 n. 11670 17 novembre 2005 n. 23286 2 aprile 2004 n. 6556 1 luglio 2004 n. 12014 13 gennaio 2003 n. 322 l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata Cass. 7 agosto 2003 n. 11933 24 maggio 2006 n. 12362 8 marzo 2008 n. 5328 21 luglio 2010 n. 17097 il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360, comma primo, n. 5 , c.p.c. in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione ex multis Cass. 20 aprile 2006 n. 9233 2 febbraio 2007 n. 2272 18 giugno 2007 n. 14084 6 luglio 2007 n. 15264 sostanzialmente conformi Cass. 6 marzo 2006 n. 4766 25 maggio 2006 n. 12445 8 settembre 2006 n. 19274 19 dicembre 2006 n. 27168 27 febbraio 2007 n. 4500 20 aprile 2006 n. 14267 28 marzo 2012 n. 5024 7 gennaio 2014 n. 91 28 novembre 2014 n. 25332 . Va sottolineato che i ricorrenti non hanno in realtà indicato specifiche incongruità nel percorso logico della motivazione della pronunzia impugnata, ma si sono limitati a richiamare, in modo piuttosto generico, le conclusioni cui è pervenuto il giudice penale in ordine alla responsabilità del T. , contrapponendole a quelle di diverso segno - del giudice civile, che però, per quanto fin qui osservato, non sono soggette ad alcun vincolo, operando su un piano differente in proposito, si veda altresì Cass. 2 marzo 2012 n. 3248, secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione col quale il ricorrente denuncia la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, senza trascrivere le proposizioni che si assume siano contraddittorie, ovvero tra loro inconciliabili e tali da elidersi a vicenda . 4.- Il ricorso è rigettato. Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dall’art. 1, co. 18, della legge n. 228 del 2012, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, co. 17, della citata legge n. 228 del 2012. Nulla è a dirsi con riguardo alle spese per l’intimato G.M. , che non ha svolto attività difensiva in questa sede. P.Q.M. La Corte - rigetta il ricorso - condanna i ricorrenti in solido a pagare le spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti B.A. e L. , in solido, liquidandole in complessivi Euro 6.800,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre accessori tributari e previdenziali come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.