Obbligazioni di valuta: no alla rivalutazione monetaria, sì al maggior danno se domandato e provato

L’indennizzo previsto dalla l. n. 135/1985 non ha natura risarcitoria, bensì indennitaria, rappresentando la volontaria assunzione di un impegno per ragioni politiche e solidaristiche, e configurando, pertanto, un debito di valuta, e non di valore, che, come tale, non comporta l’applicabilità della rivalutazione monetaria propria delle obbligazioni di valore. Di conseguenza il creditore di una obbligazione di valuta il quale intenda ottenere il ristoro del pregiudizio da svalutazione monetaria, ha l’onere di domandare il risarcimento del maggior danno” ai sensi dell’art. 1224, comma 2, c.c. e non può limitarsi a domandare semplicemente la condanna del debitore al pagamento del capitale e della rivalutazione, non essendo quest’ultima una conseguenza automatica del ritardato adempimento delle obbligazioni di valuta.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4039/16, depositata il 1° marzo. Il caso. I titolari delle azioni di una s.p.a. citavano in giudizio il Ministero del Tesoro poi Ministero dell’Economia e delle Finanze per chiedere la determinazione dell’indennizzo dovuto a seguito della confisca del loro compendio aziendale disposta dal governo libico nel 1970. In primo grado la domanda veniva accolta dal Tribunale, ma la decisione veniva parzialmente riformata dalla Corte d’appello che riduceva l’entità dell’indennizzo. Gli attori ricorrevano così in Cassazione. Il ricorso dinanzi alla Suprema Corte si fonda su due motivi. In primo luogo i ricorrenti lamentano il fatto che sulla somma da indennizzare occorreva calcolare anche gli interessi e la rivalutazione monetaria per il periodo dal 1970 data della confisca o al più tardi dal 1978 data della costituzione in mora al 1985, cioè per il periodo precedente l’entrata in vigore della l. n. 135/1985 che aveva proprio dettato Disposizioni sulla corresponsione di indennizzi a cittadini ed imprese italiane per beni perduti in territori già soggetti alla sovranità italiana e all'estero”. Sotto altro profilo, i danneggiati chiedevano comunque la rivalutazione monetaria sul risarcimento accordato anche per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge, sostenendo che tale possibilità non è esclusa dai criteri dettati dalla legge n. 135. La Cassazione però concorda con la decisione assunta dalla Corte d’appello e respinge il ricorso. Indennizzo è obbligazione di valuta. In ordine al primo aspetto gli Ermellini osservano che l’indennizzo per il periodo ante legge 1985 nel caso di specie dal 1970 al 1985 va calcolato considerando comunque i criteri e modalità definiti dalla legge 135, per così dire, omnicomprensivi”. Non è quindi possibile richiedere né gli interessi, né la rivalutazione monetaria. L’indennizzo in questione non ha infatti natura risarcitoria, ma indennitaria perché è ispirato a ragioni politiche e solidaristiche non essendo un ristoro conseguenza di un illecito. Esso è dunque un debito di valuta e non di valore, pertanto non è possibile applicare la rivalutazione monetaria. Nelle obbligazioni di valore infatti l'oggetto consiste in una cosa diversa dal denaro, mentre nelle obbligazioni di valuta l'oggetto alla prestazione è proprio il denaro, la moneta”. No alla rivalutazione monetaria. Per tale ragione in questo secondo caso si applica rigidamente il principio nominalistico e la rivalutazione monetaria non è riconosciuta. Al contrario le obbligazioni di valore hanno generalmente come oggetto il risarcimento di un danno patito e, poiché il denaro che lo quantifica e lo esprime deve essere riportato al valore reale ed attuale del danno, è corretto applicare la rivalutazione monetaria”. Peraltro, chiarisce la Corte, la somma liquidata è già rivalutata mediante l’applicazione del coefficiente unico previsto dalla stessa legge n. 135. Per quanto attiene alla seconda richiesta in ordine alla rivalutazione monetaria post 1985”, la Corte spiega che tale domanda è in realtà da considerarsi nuova” e dunque non ammissibile. Essa infatti andrebbe inquadrata nell’ambito dell’art. 1224, comma 2, c.c. come richiesta di un maggior danno”, ma in quanto tale necessita di specifica domanda e relativa dimostrazione. Citando il precedente di Cassazione n. 5743/2015, gli Ermellini ricordano che, come detto sopra, nel caso di obbligazioni di valuta non è possibile la rivalutazione monetaria, pertanto se il soggetto intende domandare un ristoro ulteriore per il pregiudizio derivante dalla svalutazione deve richiedere e dimostrare specificamente il maggior danno” subito come prevede l’art. 1224, comma 2 c.c Ciò però non è mai stato fatto dai ricorrenti e quindi, anche da questo punto di vista, il motivo di ricorso viene respinto.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 gennaio – 1 marzo 2016, n. 4039 Presidente Salvago – Relatore Sambito Svolgimento del processo Con atto notificato il 12 dicembre 1990 P.R.D. e S.M.R. , quali titolari della totalità delle azioni della A.S. Pace e C. s.p.a., citavano innanzi al Tribunale di Roma il Ministero del Tesoro poi Ministero dell’Economia e delle Finanze chiedendo la determinazione dell’indennizzo ai sensi della legge 26 gennaio 1980, n. 16, e successive modificazioni, liquidato in misura insufficiente in relazione alla confisca del compendio aziendale tonnara Zliten e annesso stabilimento di confezionamento disposta dal governo libico nel 1970. Il Tribunale di Roma, espletata consulenza tecnica di ufficio, accoglieva la domanda determinando in euro 1.184.930,38 la misura dell’indennizzo, detratte le somme già corrisposte, oltre al pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sulle somme ancora dovute dalla domanda al saldo. Proposto appello dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, nonché appello incidentale dal P.R. e dalla S. , con sentenza n. 4867 depositata il 14 dicembre 2009 la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento della differenza tra la somma di euro 1.184.930,38 e quanto già corrisposto, oltre interessi legali dal 5 maggio 1985 al saldo, nonché al pagamento delle spese del grado. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso P.R.D. e S.M.R. , affidato a due motivi. Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze. I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso art. 360, I comma, n. 5, c.p.c. per avere la sentenza impugnata riconosciuto loro gli interessi legali ma non anche la rivalutazione monetaria o il maggior danno a far data dal 5 maggio 1985 al saldo . Deducono i ricorrenti che la decorrenza degli interessi legali doveva essere fissata dal dì della confisca dei beni 1970 ovvero, in via subordinata, dal dì della domanda di indennizzo avanzata in sede amministrativa 1971 ovvero ancora, in via di estremo subordine, dal dì della costituzione in mora del Ministero 18.08.1978 con il ricorso al T.A.R. del Lazio , interessi in ogni caso da computarsi sul capitale rivalutato. Secondo i ricorrenti, la corretta interpretazione dell’art. 4 della legge 5 aprile 1985, n. 135 comporterebbe, oltre all’applicazione del coefficiente di rivalutazione 1,90, anche gli interessi moratori o compensativi ed il maggior danno ex art. 1224 c.c., sussistendo in capo ad essi la qualifica di imprenditori abituali o quanto meno occasionali secondo l’indicata decorrenza o, in estremo subordine, . almeno dall’entrata in vigore della citata legge fino all’effettivo soddisfo, unitamente alla ulteriore rivalutazione ex art. 1224 c.c. . 2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione dell’art. 1224, comma 2, c.c., in relazione all’art. 360, I comma, n. 3, c.p.c. per avere la Corte distrettuale ritenuto che il coefficiente 1,90 di cui all’art. 4 della legge n. 135 del 1985 fosse compensativo delle perdite subite, nulla spettando pertanto a titolo di rivalutazione monetaria ed essendo l’indennizzo liquidato compensivo del risarcimento da ritardato adempimento sia per interessi che per l’eventuale maggior danno. Deducono i ricorrenti che il principio di onnicomprensività dell’indennizzo previsto dalla legge n. 135 del 1985 non escluderebbe il diritto al riconoscimento degli interessi moratori e della rivalutazione per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge, incombendo sull’amministrazione la prova della non imputabilità ad essa del ritardo, nella specie insussistente stante il lungo tempo atteso per la liquidazione dell’indennizzo. 3. Per quel che qui rileva, la Corte territoriale ha così motivato circa gli accessori del credito indennitario a secondo il costante orientamento di legittimità, fino al 1985 non competono né la rivalutazione né gli interessi moratori, voci già comprese nell’ammontare dell’indennizzo calcolato ai sensi della legge n. 135 del 1985 b dall’entrata in vigore della legge spettano, nel caso in cui sia stato emesso il provvedimento definitivo di determinazione dell’indennità, gli interessi compensativi o moratori e, se il cittadino lo prova, anche il maggior danno c nella specie, l’indennizzo è stato determinato con provvedimento del 12 settembre 1983, con conseguente spettanza degli interessi legali dal 5 maggio 1985, data di entrata in vigore della legge d il maggior danno da svalutazione monetaria non è stato provato, neppure per presunzioni, in quanto il soggetto che ha effettivamente subito la confisca - la persona giuridica A.S. Pace e C. s.p.a. - risultava già posto in liquidazione nel 1985 e subito dopo estinto. 4. Tanto richiamato, il ricorso non può essere accolto. 4.1. I ricorrenti avanzano, nella sostanza, una pretesa alla rivalutazione del credito, giudizialmente riconosciuto, e agli interessi, sulla somma rivalutata, a partire dalla messa in mora anteriore all’entrata in vigore della legge n. 135 del 1985. Tuttavia, come già chiarito da Sez. I, 16 maggio 2014, n. 10793, Rv. 631414, resa tra le stesse parti in fattispecie analoga, per il periodo anteriore all’entrata in vigore della legge n. 135 del 1985 non sono dovuti interessi, né rivalutazione monetaria. Infatti, l’indennizzo in questione non ha natura risarcitoria, bensì indennitaria, rappresentando la volontaria assunzione di impegno per ragioni politiche e solidaristiche, e configurando, pertanto, un debito di valuta, e non di valore, che, come tale, non comporta l’applicabilità della rivalutazione monetaria, propria delle obbligazioni di valore . Non rileva in contrario la previsione, di cui all’art. 4 della citata legge, di un meccanismo di adeguamento attraverso un coefficiente di rivalutazione, avendo la norma ricompreso nell’importo così determinato il risarcimento da ritardato adempimento, sia per la parte ragguagliata agli interessi moratori maturati alla stessa data, sia per l’eventuale maggior danno ex art. 1224, secondo comma, c.c. cfr. Sez. I, 7 giugno 2007, n. 13359, Rv. 600011 . Prosegue poi la citata Sez. I, n. 10793/2014 chiarendo che la somma liquidata è già rivalutata mediante l’applicazione del coefficiente unico previsto dalla legge n. 135 del 1985, e a decorrere dal 4 maggio1985, data di entrata in vigore della legge, e gli interessi moratori ed il maggior danno sulla somma sono eventualmente dovuti dall’atto di costituzione in mora, non avendo la legge citata determinato automaticamente il sorgere della relativa obbligazione, fatta salva la prova, il cui onere grava sull’amministrazione, che il ritardo o l’inesattezza della prestazione siano dipesi da causa ad essa non imputabile, ai sensi dell’art. 1218 c.c. Sez. I, 28 settembre 2015, n. 19167, Rv. 637111 Sez. I, 22 ottobre 2013, n. 23895, Rv. 628000 Sez. I, 4 marzo 2011, n. 5212, Rv. 617148 . Conseguentemente è dal giorno della mora che sono dovuti gli interessi moratori ed il maggior danno Sez. I, 15 maggio 2008, n. 12281, Rv. 603959 . 4.2. Il ricorso è infondato anche con riferimento al periodo successivo all’entrata in vigore della legge n. 135 del 1985. Per detto periodo, e con riferimento agli interessi, la Corte d’appello ha riconosciuto detti accessori a decorrere dalla data di entrata in vigore della citata legge. In assenza di impugnazione da parte del Ministero che si è limitato ad opporre controricorso , sul punto è da ritenere formato il giudicato. Riguardo all’ulteriore richiesta di rivalutazione, la domanda è nuova. Risulta infatti dal ricorso e dalla sentenza impugnata che la domanda degli attuali ricorrenti mirava al riconoscimento della natura del credito come di valore, con conseguente richiesta di rivalutazione del credito. L’appello incidentale degli attuali ricorrenti mirava anche a ottenere gli interessi da data anteriore alla domanda in giudizio, ovvero da una precedente costituzione in mora. La Corte d’appello, come già rilevato, ha liquidato gli interessi legali dall’entrata in vigore della legge, evidentemente ritenendosi l’amministrazione validamente costituita in mora. L’attuale richiesta, di cui al secondo motivo di ricorso, di ottenere comunque la rivalutazione del credito, se da un lato va esclusa, relativamente al periodo anteriore all’entrata in vigore della legge, per la rilevata compensazione forfetaria ex lege, dall’altro, per il periodo successivo, è inquadrata nell’ambito del maggior danno ex art. 1224, secondo comma, c.c Come tale, essa è tuttavia subordinata a specifica domanda dell’interessato corredata dalla richiesta di prova del maggior danno, secondo il principio da ultimo ribadito dalle Sezioni Unite con la sentenza 23 marzo 2015, n. 5743, Rv. 634625 il creditore di una obbligazione di valuta, il quale intenda ottenere il ristoro del pregiudizio da svalutazione monetaria, ha l’onere di domandare il risarcimento del maggior danno ai sensi dell‘art. 1224, secondo comma, cod. civ., e non può limitarsi a domandare semplicemente la condanna del debitore al pagamento del capitale e della rivalutazione, non essendo quest‘ultima una conseguenza automatica del ritardato adempimento delle obbligazioni di valuta in tal senso già Sez. III, 2 novembre 2010, n. 22273, Rv. 614763, e Sez. V, 10 marzo 2004, n. 4830, Rv. 570929 domanda che non può essere avanzata in corso di causa Sez. III, 23 dicembre 1968, n. 4065, Rv. 337701 . La domanda non risulta sia mai stata posta a tale specifico titolo, né i ricorrenti si sono dati carico di rievocare la specifica richiesta, in ottemperanza all’onere di autosufficienza, risultando anzi che la rivalutazione è stata sempre pretesa alla stregua del debito di valore, e quindi indipendentemente dalla prova di aver sopportato il maggior danno, per il quale vantano solo ora la propria appartenenza alla categoria degli investitori abituali. 5. Il ricorso va dunque rigettato, con le conseguenze in ordine alle spese. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in euro 6.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.