In tema di responsabilità civile si applica il criterio del “più probabile che non”

In tema di responsabilità civile, a differenza di quanto avviene in materia penale, nella quale vige la regola della prova dell'aldilà di ogni ragionevole dubbio , deve farsi applicazione del diverso criterio del più probabile che non”.

Questo principio è stato ribadito dalla Terza Sezione Civile nella sentenza n. 3894, depositata il 29 febbraio 2016. Il caso. La vicenda che soggiace alla sentenza in commento è particolarmente turpe. Alla base della domanda risarcitoria vi è infatti un reato di abusi sessuali accertato con sentenza passata in giudicato prima dell'inizio del procedimento civile commesso da un insegnante di asilo nei confronti di un minore di tre anni, per un periodo di un anno. La domanda risarcitoria veniva proposta dai genitori sia in proprio e sia in qualità di esercenti la potestà genitoriale oltre che sul minore anche sul fratello, pure minore . La decisione di primo grado accoglieva le domande avanzate dai genitori esercenti la potestà sul minore danneggiato liquidando la somma di € 160.000 di cui € 10.000 a titolo di danno biologico temporaneo e € 150.000 a titolo di danno morale , accoglieva altresì e domande avanzate dai genitori in proprio, riconoscendo la somma di € 175,000 ciascuno di cui € 25,000 a titolo di danno biologico temporaneo e € 150.000 a titolo di danno morale . Non veniva riconosciuto, per nessuno, il danno biologico permanente e veniva altresì respinta la domanda avanzata dai genitori per conto del fratello. La Corte d'Appello riduceva gli importi liquidati al minore a titolo di danno morale alla metà € 75.000 e il danno morale riconosciuto ai genitori nella minor somma di € 20.000 cadauno. Riteneva, infatti, che data la domanda di risarcimento quantificata in primo grado in € 255.000 avesse errato il giudice id primo grado a sforare tale limite. La sentenza di secondo grado è stata impugnata sulla base di dieci motivi. La maggior o minor somma” non è una formula di rito. Anzitutto viene accolto il motivo relativo alla censura di ultrapetizione svolta dalla Corte territoriale, la quale osserva la Cassazione, non ha considerato che la domanda era stata si quantificata nella misura di € 255.000 ma con la clausola di salvezza ovvero in quella maggiore o minore somma che da Codesta Giustizia riterrà loro dovuta a seguito . Per giurisprudenza costante, infatti, tale clausola lungi dall'avere un contenuto meramente formale, manifesta la ragionevole incertezza della parte sull'ammontare del danno effettivamente da liquidarsi e ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno senza essere vincolato all'ammontare della somma determinata che venga indicata, in via esclusiva, nelle conclusioni specifiche si vedano, tra le altre, Cass. n. 6350/2010 e Cass. n. 15698/2006 . Le critiche alla c.t.u. devono essere valutate dal giudice d'appello. Se, e correttamente, anche la Corte territoriale aveva utilizzato il criterio del più probabile che non , che deve essere applicato in ambito civilistico, al posto del più stringente oltre il ragionevole dubbio” da applicarsi solo in ambito penale ha però sbagliato, dicono gli Ermellini, nel non esaminare le critiche avanzate dai danneggiati nei confronti della c.t.u., che aveva negato la sussistenza di un danno psichico. In particolare era stato lamentato che i consulenti tecnici non avessero valutato né la durata ben un anno degli abusi né il fatto che fossero stati compiuti da un insegnate, vale a dire da un adulto su cui il minore faceva legittimamente pieno affidamento. La Corte d'Appello mentre ha ripreso acriticamente le risultanze della c.t.u. ha totalmente omesso di considerare tali critiche. Ha inoltre errato la Corte nel non valutare, per quanto concerne il risarcimento del danno chiesto dal fratello, il fatto che lo stesso fosse stato il primo a raccogliere le confidenze dell'abusato e, a seguito degli eventi, avesse mostrato cambiamenti sia negli atteggiamenti sia nel disinteresse verso attività sportive sino ad allora praticate. Il giudice deve indicare i criteri sulla base dei quali ha liquidato il danno morale. Costituisce principio pacifico che la liquidazione del danno non patrimoniale in via equitativa sia affidata al giudice di merito, il cui apprezzamento discrezionale non è sindacabile in sede di legittimità soltanto a condizione che la motivazione della decisione dia adeguatamente conto del processo logico attraverso cui il giudice è pervenuto alla liquidazione, con l'indicazione dei criteri assunti alla base del procedimento valutativo. Anche tale principio, afferma la Terza Sezione, è stato del tutto disatteso dalla Corte di Appello. Il risarcimento del danno è un'obbligazione di valore. Da ultimo viene riconosciuto come errato anche il mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria nonché il fatto che la sentenza di secondo grado abbia riconosciuto gli interessi da ritardo solo dalla data della sentenza stessa. Trattandosi, pacificamente, di un'obbligazione di valore e non di valuta deve infatti applicarsi la rivalutazione monetaria anche d'ufficio, a prescindere dalla prova della svalutazione sopravvenuta fino alla data di liquidazione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 8 ottobre 2015 – 29 febbraio 2016, n. 3894 Presidente Salmé – Relatore Pellecchia Svolgimento del processo 1. Con atto di citazione notificato l’8 e il 9 settembre 2004, i signori M.G. e F.R. , in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sui figli minori A. e M.A. , convennero in giudizio C.P. e l’Assessorato Regionale ai Beni Culturali, Ambientali e della Pubblica Istruzione della Regione Siciliana, per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni patrimoniali, biologici, morali ed esistenziali subiti a causa degli atti di violenza sessuale perpetrati dalla C. , insegnante di scuola materna, in danno di M.A. , di tre anni all’epoca dei fatti delittuosi reato accertato con sentenza del tribunale di Palermo del 18 luglio 2000, passata in giudicato , danni da liquidarsi in Euro 255.000,00 ovvero nella misura maggiore o minore che dovesse essere ritenuta di giustizia in base alla produzione documentale ed alle risultanze istruttorie. Si costituirono in giudizio l’Assessorato Regionale e la C. chiedendo il rigetto della domanda e la C. , in via subordinata, la condanna a titolo esclusivo dell’Assessorato Regionale. Il tribunale di Palermo, con sentenza del 29 settembre 2008, condannò i convenuti, in solido fra loro, al pagamento - in favore dei signori M. -F. nella qualità di esercenti la potestà sulla figlia minore A. , della somma complessiva di Euro 160.000,00 in essa compreso l’importo di Euro 15.493,71, liquidato a titolo di provvisionale con la sentenza penale , di cui Euro 10.000,00 a titolo di danno biologico temporaneo consistente nel disturbo posttraumatico da stress fino ai primi anni della vicenda processuale della durata di quattro anni e in una lesione fisica guarita in quattordici giorni e Euro 150.000,00 a titolo di danno morale, oltre interessi legali dalla data della pronuncia, escludendo il danno da lesione permanente dell’integrità psicofisica - in favore dei signori M. -F. in proprio, della somma complessiva di Euro 175.000,00 ciascuno, di cui Euro 25.000,00 a titolo di danno biologico temporaneo ed Euro 150.000,00 a titolo di danno morale, oltre interessi legali dalla data della pronuncia e spese, escludendo anche per i genitori il danno biologico permanente. Il tribunale rigettò invece, le domande avanzate dei signori M. -F. nella qualità di esercenti la potestà sul figlio minore M.A. . 2. La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Palermo, con sentenza 29 marzo 2012, la quale, pur confermando il rigetto delle domande di risarcimento dei danni biologici permanenti della minore A. e dei suoi genitori, in proprio in quanto esclusi dalla c.t.u. espletata, le cui conclusioni risultavano avvalorate dalla mancata produzione di documentazione medica dalla quale risultasse il prolungamento del trauma iniziale o la sottoposizione a trattamenti sanitari e di ogni altro tipo di danno subito dal minore M.A. dovendosi ragionevolmente escludere che per la tenera età lo stesso potesse essere stato traumatizzato da una vicenda della quale, con tutta probabilità, era stato tenuto all’oscuro dai genitori ha ridimensionato la liquidazione dei danni operata dal tribunale. Innanzitutto la Corte ha ritenuto che il giudice di primo grado sarebbe incorso in vizio di ultrapetizione, per aver condannato i convenuti al pagamento della somma complessiva di Euro 510.000,00 a fronte di una richiesta di Euro 255.000,00. Quanto ai danni subiti dalla minore A. , la Corte confermata la liquidazione in Euro 10.000 del danno biologico temporaneo, che pur non apparendo del tutto adeguata non aveva formato oggetto di appello, ha ridotto a Euro 75.000,00 il risarcimento del danno morale, ritenendo eccessiva la somma di Euro 150.00,00 sia perché sproporzionata rispetto ai danni biologici, sia perché sembrava adempiere piuttosto ad una funzione adeguatrice della sanzione, sotto il profilo puramente economico e risarcitorio, alla riprovevolezza che, dal punto di vista morale, si ravvisa, nell’attuale momento storico, ai fatti di pedofilia . Per quanto riguarda i danni lamentati dai genitori, in proprio, la Corte ha liquidato i danni morali, consistenti nello stress per la partecipazione ai processi penali, come parti civili, in Euro 20.000,00 per ciascuno di essi. La Corte ha condannato, infine, i convenuti in solido al pagamento degli interessi nella misura legale sulle somme liquidate a decorrere dalla data della sentenza. 3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo propongono ricorso in Cassazione i signori F.R. , M.A.M. e M.M.A. frattanto divenuti maggiorenni tutti in proprio e nella qualità di eredi di M.G. deceduto il OMISSIS , sulla base di dieci motivi. Resiste con controricorso l’Assessorato Beni Culturali e Ambientali e della Pubblica Istruzione della Regione Siciliana. C.P. non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione 4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti, deducendo la violazione dell’art. 360 n. 3 in relazione all’art. 112 c.p.c., censurano la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto che la liquidazione del danno non patrimoniale da parte del giudice di primo grado fosse viziata da ultrapetizione senza tenere conto, da un lato, che per tale liquidazione era stato espressamente richiesto il ricorso al potere equitativo e, dall’altro, che nelle conclusioni dell’atto introduttivo, confermate in quelle definitive i ricorrenti, oltre a indicare una somma determinata, avevano chiesto che fosse comunque liquidata la somma maggiore o minore somma ritenuta di giustizia. Il motivo è fondato. I ricorrenti, nelle conclusioni rassegnate nell’atto di citazione prodotto in atti avevano chiesto la condanna dei convenuti al pagamento di tutti i danni nella misura di Euro 255.000,00, ivi comprese le spese mediche, ovvero in quella maggiore o minore somma che da Codesta Giustizia riterrà loro dovuta a seguito in base alla produzione documentale e alle risultante . Come è pacifico, tali conclusioni sono state confermate con quelle assunte in via definitiva. Ora è orientamento costante e pacifico di questa Corte che la formula con cui una parte domanda al giudice di condannare la controparte al pagamento di un importo indicato in una determinata somma o in quella somma maggiore o minore che risulterà di giustizia non può essere considerata, agli effetti dell’art. 112 c. p. c., come meramente di stile, in quanto essa come altre consimili , lungi dall’avere un contenuto meramente formale, manifesta la ragionevole incertezza della parte sull’ammontare del danno effettivamente da liquidarsi e ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno senza essere vincolato all’ammontare della somma determinata che venga indicata, in via esclusiva, nelle conclusioni specifiche tra le più recenti v. Cass. n. 6350/2010, 15698 e 1313 del 2006, 13296/2004 . 4.2. Con il secondo ed il terzo motivo, i ricorrenti, denunciando, rispettivamente, la violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli articoli 2043, 2059 e 1226 c.c. e la violazione dell’art. 360, n. 5 c.p.c., per insufficiente motivazione lamentano che la Corte territoriale abbia escluso il danno biologico della minore A. di natura permanente, come evoluzione del danno da stress postraumatico transitorio, sulla base di una nozione di nesso causale che richiede la prova della certezza che il danno derivi dalla condotta del responsabile, invece che sulla base del criterio del più probabile che non da applicare in materia di responsabilità civile, alla cui stregua il danno può ritenersi provata anche solo per presunzioni. Inoltre la Corte territoriale si sarebbe limitata a recepire acriticamente le valutazioni del giudice di primo grado, senza valutare le argomentazioni contenute nell’appello incidentale nei confronti della c.t.u. che non avrebbe adeguatamente approfondito l’accertamento delle conseguenze di natura psicologica conseguenti al fatto che le violenze sessuali subite dalla minore erano durate per l’intero anno scolastico ed erano state perpetrate da una figura adulta, quale la maestra, sulla quale la minore aveva fatto totale affidamento. Infine, proprio la modesta liquidazione del danno biologico di natura fisica avrebbe dovuto indurre a una maggiore ponderazione nella liquidazione del danno biologico di natura psichica. I motivi sono fondati nei limiti di seguito indicati. La corte territoriale ha confermato l’esclusione del danno biologico permanente di natura psichica sulla base di due argomentazioni concorrenti, che riproducono analoghe argomentazioni del tribunale le risultanze negative della c.t.u. e la mancata produzione di documentazione che attestasse la sottoposizione della minore a trattamenti sanitari per asseriti problemi psichici. Non risulta, quindi, che la corte d’appello, in violazione del principio più volte affermato da questa Corte, dopo la sentenza delle sezioni unite n. 576 del 2008, secondo cui in tema di responsabilità civile, a differenza di quanto avviene in materia penale, nella quale vige la regola della prova oltre il ragionevole dubbio , deve farsi applicazione del diverso criterio del più probabile che non , abbia ritenuto insussistente il danno permanente non essendo stata fornita prova della certezza del nesso causale. Deve invece condividersi la censura mossa alla motivazione della corte territoriale nella parte in cui si è limitata a fare generico rinvio alle conclusioni della c.t.u., condividendole, senza esaminare le puntuali e specifiche critiche mosse dagli attuali ricorrenti in senso conforme v. il costante orientamento di questa Corte sentenze nn. 1975/2000, 10934/2001, 5344/2004, 4797/2007, 10688/2008, 25862/2011 . Infatti con l’atto d’appello incidentale si era lamentato che i c.t.u. non avessero valutato la durata annuale del comportamento delittuoso, la circostanza che tale comportamento era stato tenuta dalla maestra, figura adulta sulla quale la minore non poteva che fare completo affidamento, con ciò riferendosi, ovviamente, al ruolo essenziale svolto nel processo di costruzione della personalità, e che dalla sentenza di questa Corte n. 13530/2009, pur citata dalla corte territoriale, risultava che la letteratura scientifica aveva evidenziato la gravità della lesione da stress postraumatico derivante da violenze sessuali subite da minori e l’evoluzione di tale lesione in reale disturbo psichico. 4.3. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli articoli 2043, 2059, 1226 c.c. , articolando censure sostanzialmente di identico contenuto di quelle di cui ai motivi 2 e 3, relative alla esclusione del danno psichico permanente subito dai signori M. e F. , in proprio. In particolare i ricorrenti ritengono che la corte d’appello abbia recepito acriticamente le conclusioni della c.t.u. e del tribunale, tra l’altro richiedendo la prova della certezza del nesso causale, e limitando la durata del proprio disturbo postraumatico da stress solo per il tempo occorso per lo svolgimento del processo penale nei vari gradi, facendo applicazione di un criterio meccanicistico di natura quantitativa, omettendo invece di valutare le peculiarità del caso concreto caratterizzato dal fatto che si trattava di un rapporto di filiazione adottiva di minori con gravi problemi visivi, conclusosi dopo un iter lungo e stressante e che la vicenda delittuosa aveva messo a dura prova la loro responsabilità genitoriale, anche per aver dovuto fronteggiare tensioni, incomprensioni e malintesi di ogni genere derivanti dalla notorietà dei fatti stessi. Rinviando a quanto già osservato circa l’infondatezza della deduzione del vizio di violazione di legge in tema di nesso di causalità, deve ritenersi, analogamente a quanto già rilevato nell’esame dei motivi 2 e 3, che il motivo è fondato nella parte in cui lamenta la genericità del richiamo alle risultanze della c.t.u., condivisa dal tribunale, a fronte di critiche puntuali delle quali invece la Corte d’appello avrebbe dovuto farsi carico. 4.4. Con il quinto motivo, i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione del rigetto della domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dal M.M.A. , di nove anni all’epoca dei fatti. La corte territoriale ha motivato la conferma del rigetto della domanda con il rilievo che mancava la prova di ogni turbamento del minore e che in ragione della tenera età doveva ragionevolmente escludersi che esso potesse restare traumativato da una vicenda, della quale, con tutta probabilità, era stato tenuto all’oscuro dai genitori . In realtà con l’appello incidentale gli attuali ricorrenti avevano dedotto che a M.A. era stato il primo a ricevere le confidenze della sorella e a metterne a conoscenza essi genitori, b come risultava dalla sentenza penale, era stato sentito sui fatti dalla polizia giudiziaria e dai periti c aveva avuto una regressione infantile e aveva manifestato atteggiamenti di gelosia e protettivi nei confronti della sorella d aveva mostrato difficoltà scolastiche e disinteresse rispetto ad attività sportive alle prima dei fatti di cui è causa aveva mostrato estremo interesse. Nessuna di tali circostanze di fatto, alcune delle quali, tra l’altro, in diametrale contrasto con la ritenuta ignoranza delle vicende delittuose, pur dedotte con precisione, è stata esaminata e valutata dalla corte territoriale che, quindi, è incorsa nel dedotto vizio di motivazione. 4.5. Con il sesto, settimo motivo e ottavo motivo, i ricorrenti lamentano, rispettivamente, la violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli articoli 2043, 2059, 1226 c.c., violazione dell’art. 360, n. 5 per vizio di motivazione, in relazione alla drastica riduzione della liquidazione del danno morale di M.A. , e violazione degli articoli 2043, 2059, 1226 c.c. , in ordine alla liquidazione del danno morale subito dai genitori in proprio. In primo luogo la Corte d’appello non avrebbe indicato il criterio equitativo utilizzato per procedere alla riduzione della liquidazione del danno morale. Inoltre si sarebbe limitata ad affermare in modo apodittico che la liquidazione operata dal tribunale era sproporzionata rispetto al danno biologico accertato e, comunque, era esagerata, senza indicare però quale dovesse essere la proporzione adeguata tra danno biologico e danno morale e, soprattutto, senza valutare le specifiche circostanze del fatto, a iniziare dalla sua gravità. I motivi sono fondati. È principio pacifico che la liquidazione del danno non patrimoniale in via equitativa è affidata ad apprezzamenti discrezionali del giudice di merito, non sindacabili in sede di legittimità, a condizione che la motivazione della decisione dia adeguatamente conto del processo logico attraverso il quale si è pervenuti alla liquidazione, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo. In particolare, in fattispecie identica a quella oggetto della presente decisione, si è affermato sentenza n. 21087 del 2015 che è viziata la motivazione della sentenza che, nell’effettuare la liquidazione equitativa del danno morale, non si riferisca alla gravità del fatto, alle condizioni soggettive della persona, all’entità della sofferenza e del turbamento d’animo, in quanto la stessa si pone al di fuori del fondamento e dei limiti di cui all’art. 1226 c.c. nella specie, relativa al danno morale patito dai congiunti della vittima di un illecito mortale, riducendo il quantum del risarcimento ritenendolo semplicemente eccessivo , così da rendere impossibile il controllo dell‘”iter logico seguito dal giudice di merito nella relativa quantificazione. La sentenza impugnata, non indicando in modo specifico i criteri oggettivi utilizzati per la liquidazione equitativa del danno morale della minore e dei genitori, si pone in contrasto con tali principi e, pertanto, deve essere cassata. 4.6. Con il nono motivo, i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. che la corte territoriale abbia ridotto la liquidazione del danno biologico riportato dai genitori, da Euro 25.000,00 a Euro 20.000,00, in assenza di impugnativa sul punto. Il motivo è fondato. Infatti, la Corte di appello nel rideterminare nell’importo di Euro 20.000,00 il complessivo risarcimento del danno riconosciuto ai signori M. -F. , tenendo espressamente conto anche della invalidità transitoria riconosciuta loro dai consulenti tecnici, ha di fatto proceduto ad una riduzione d’ufficio del danno biologico riconosciuto ai medesimi M. -F. , in violazione dell’art. 112 c.p.c 4.7. Con il decimo motivo, i ricorrenti, denunciando la violazione degli art. 1219 e 1224 c.c., lamentano che la corte territoriale abbia omesso di riconoscere nella liquidazione del danno la rivalutazione monetaria e abbia liquidato gli interessi da ritardo a decorrere dalla data della sentenza. Il motivo è fondato. È noto che l’obbligazione di risarcimento del danno ha natura di obbligazione di valore, alla quale non si applica il principio nominalistico ma la rivalutazione monetaria, anche d’ufficio, a prescindere dalla prova della svalutazione sopravvenuta fino alla data della liquidazione. Ed è altresì pacifico che gli interessi compensativi dovuti per il danno da ritardo non possono essere calcolati dalla data dell’illecito sulla somma liquidata per capitale e rivalutata sino al momento della decisione, dovendo, invece, essere computati o con riferimento ai singoli momenti riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, per effetto dei prescelti indici medi di rivalutazione monetaria, ovvero anche in base ad un indice medio, tenuto conto che la liquidazione del danno da ritardo rientra pur sempre nello schema liquidatorio di cui all’art. 2056 cod. civ., in cui è ricompresa la valutazione equitativa del danno stesso ex art. 1226 cod. civ In conclusione la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio di cassazione. P.Q.M. la Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Palermo in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di questo giudizio.