Veranda abusiva, ma il cliente non ne viene informato: il mediatore è responsabile

In un affare relativo alla compravendita di un immobile, è configurabile in capo al mediatore una responsabilità per danni al cliente, qualora egli non dia informazioni su circostanze di cui non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, le quali si rivelino poi non esatte e false, ovvero non comunichi circostanze da lui non conosciute ma conoscibili mediante l’ordinaria diligenza professionale.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18140/15, depositata il 16 settembre. Il caso. Un uomo proponeva opposizione dinanzi al Tribunale di Palermo avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore del titolare di una società immobiliare, a titolo di provvigione per la mediazione prestata in relazione alla vendita di un appartamento, sostenendo che l’accordo era stato annullato per mutuo consenso per aver accertato solo dopo la proposta, che il bene era pervenuto alla proprietaria grazie a una donazione e che la veranda, adibita a cucina, era abusiva. Lo stesso opponente chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo anche perché l’opposto non aveva provato di essere iscritto all’apposito albo. Il Tribunale respingeva l’opposizione del cliente e confermava il decreto. La Corte d’appello palermitana invece, riformando la decisione di primo grado, accoglieva l’opposizione e revocava il decreto sulla scorta che dalla consulenza tecnica emergeva la non condonabilità della veranda, la quale, essendo adibita a cucina, costituiva elemento determinante per ottenere il consenso del potenziale acquirente circostanza di cui il mediatore non aveva dato conto al cliente. Avverso tale decisione propone ricorso in Cassazione il mediatore, contestando in particolare la sussistenza della responsabilità del mediatore per la parziale abusività dell’immobile oggetto di compravendita. Obbligo di corretta informazione. La S.C. ritiene che il ricorso sia infondato. A proposito della responsabilità del mediatore, gli ermellini richiamano un consolidato principio giurisprudenziale secondo cui, l’art. 1759, comma 1, c.c. Responsabilità del mediatore , nella parte in cui impone al mediatore di comunicare alle parti le circostanze a lui note, concernenti la valutazione la sicurezza dell’affare, che possono incidere sulla sua conclusione, deve essere letto in combinato disposto con gli artt. 1175 Comportamento secondo correttezza e 1176 c.c. Diligenza nell’adempimento , nonché alla luce della l. n. 39/89, attuativa della Direttiva CE 2006/123, che ha evidenziato la natura professionale dell’attività del mediatore, subordinandone dunque l’esercizio all’iscrizione in un apposito albo, che esige specifici requisiti di cultura e competenza. Di conseguenza, il mediatore, seppur non sia tenuto, in assenza di un incarico particolare in proposito, a compiere specifici indagini di natura tecnico – giuridica, allo scopo di individuare circostanze rilevanti per la conclusione dell’affare a lui non note, è gravato di un obbligo di corretta informazione, richiesto dal criterio della media diligenza professionale. Il criterio della media diligenza professionale. Il suddetto criterio prevede, in senso positivo, l’obbligo per il mediatore di dare comunicazione delle circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si pretende dal mediatore, e, in senso negativo, il divieto di fornire non soltanto informazioni false, ma anche informazioni su circostanze di cui non abbia consapevolezza e delle quale non abbia effettuato un controllo, in quanto il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero di non darle. Pertanto, qualora il mediatore dia informazioni su circostanze di cui non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, le quali si rivelino poi non esatte e false oppure non comunichi circostanze da lui non conosciute ma conoscibili con la normale diligenza professionale, si configura legittimamente una sua responsabilità per i pregiudizi subiti per l’effetto, dal cliente Cass., n. 16009/03 . Nel caso di specie, poiché l’abusività della veranda era una circostanza nota al ricorrente o comunque in riferimento a cui aveva l’onere di controllare la veridicità delle informazioni ricevute, il mediatore non ha adempiuto all’obbligo di corretta informazione richiesto dal criterio dell’ordinaria diligenza professionale. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 maggio – 16 settembre 2015, n. 18140 Presidente Bucciante – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 31 dicembre 2003 M. P. proponeva opposizione, dinanzi al Tribunale di Palermo - Sezione distaccata di Carini, avverso il decreto ingiuntivo n. 137 del 2003 emesso il 4.11.2003, per €. 2.943,78, dal Presidente del medesimo ufficio in favore di P. C., quale titolare della I.I., a titolo di provvigione per la mediazione prestata in relazione alla vendita di appartamento sito in Capaci di proprietà di A. L., deducendo che seppure aveva formulato proposta di acquisto per l'immobile su modulo predisposto dallo stesso mediatore sottoscritta anche dalla proprietaria venditrice , l'accordo era stato per mutuo consenso annullato in data 19.7.2003, con restituzione della caparra, per avere accertato solo dopo la proposta che il bene era pervenuto alla proprietaria in forza di donazione e che la veranda, adibita a cucina, era abusiva tanto premesso, chiedeva revocarsi il d.i., anche per non avere dato l'opposto prova di essere iscritto ad apposito albo, e spiegava domanda di risarcimento dei danno da patema d'animo procuratogli dalla vicenda, da liquidarsi in via equitativa, venuto meno il mediatore agli obblighi ex art. 1759 c.c Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del C., il giudice adito respingeva l'opposizione e per l'effetto confermava il d.i. opposto. In virtù di rituale appello interposto dal P., con il quale formulava cinque censure, la Corte di appello di Palermo, nella resistenza dell'appellato, accoglieva il gravame e per l'effetto - in riforma della decisione di prime cure - accoglieva l'opposizione e revocava il dì. A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che dalla consulenza tecnica espletata emergeva la non condonabilità della veranda adibita a cucina dell'immobile oggetto di mediazione, che aveva una posizione centrale nella destinazione cucina , peraltro di ampia metratura, per cui doveva ritenersi che detta disposizione fosse stata determinate al fine del consenso prestato dal P., `costituendo una qualità essenziale per l'uso del bene che egli si accingeva ad acquistare'. Di detta circostanza il C. non aveva dato alcuna informazione al P., pur essendo a ciò tenuto a mente dell'art. 1759 c.c., dovendo egli impiegare la diligenza qualificata richiesta dall'art. 1176, comma 2, c.c Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione il C., sulla base di due motivi, cui ha replicato con controricorso il P Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente deduce la falsa interpretazione dell'art. 1759 c.c. in relazione all'art. 1176, comma 2, c.c. giacchè ad avviso dello stesso non sarebbe imposto al mediatore uno specifico obbligo di diligenza qualificata, rispondendo solo della competenza tecnica e della diligenza per controllare la veridicità della documentazione utile. Con il secondo motivo il ricorrente, nel denunciare un vizio di motivazione, lamenta che la corte di appello si sia discostata dalle conclusioni del c.t.u. quanto alla incidenza della abusività della veranda rispetto alla vendita, senza dimostrarne la erroneità con appropriate argomentazioni. Rispetto all'esame delle doglianze appare incongruo il rilievo preliminare contenuto in controricorso, secondo il quale le censure sarebbero inammissibili ex art. 360 bis n. 1 c.p.c., perché non riconducibili a una violazione dei principi regolatori dei giusto processo. Premesso che il ricorso sfugge al regime dei quesiti ex art. 58, comma 5, legge n. 69 del 2009 e che la censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 non è stata espunta dalla legge n. 69 del 2009 cit., che ha riformato il giudizio di cassazione, l'interpretazione fin qui prevalsa ha confinato la portata limitatrice di cui all'art. 360 bis c.p.c., n. 2 alla materia processuale, senza intaccare le facoltà previste in ordine alla denuncia sia della violazione di legge sia del vizio di motivazione, la cui corretta formulazione implica comunque il rispetto dei canoni da tempo individuati, rivisti con la riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 cfr Cass. Sez. U. n. 19051 del 2010 da ultimo, Cass. n. 7558 del 2012 . Ciò posto, i due mezzi, tra loro connessi, possono essere congiuntamente esaminati. In particolare, il primo motivo contesta la sussistenza della responsabilità del mediatore per la parziale abusività dell'immobile oggetto di compravendita il secondo mezzo si duole dei fatto che la corte distrettuale si sia discostata dalle conclusioni del c.t.u. nel valutare l'incidenza dell'abuso sull'affare concluso. Le censure sono infondate. È acquisito l'indirizzo interpretativo di questa Corte cfr. Cass. 26.5.1999 n. 5107 , secondo cui l'art. 1759, 1 comma, c.c., laddove impone al mediatore di comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla sua conclusione, deve essere letto in coordinazione con gli artt. 1175 e 1176 dello stesso codice, nonché al lume della disciplina dettata dalla legge n. 39 del 1989, attuativa della Direttiva CE 2006/123, che ha posto in risalto la natura professionale dell'attività del mediatore, subordinandone l'esercizio all'iscrizione in un apposito ruolo, che richiede determinati requisiti di cultura e competenza art. 2 , e condizionando all'iscrizione stessa la spettanza del compenso art. 6 . Con la conseguenza che il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere, nell'adempimento della sua prestazione, specifiche indagini di natura tecnico-giuridica come l'accertamento della regolarità edilizia ed urbanistica dell'immobile oggetto del trasferimento , al fine di individuare circostanze rilevanti circa la conclusione dell'affare a lui non note, è gravato, tuttavia, di un obbligo di corretta informazione, secondo il criterio della media diligenza professionale, il quale comprende, in senso positivo, l'obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, nonché, in senso negativo, il divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su circostanze delle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle. Ne consegue che, qualora il mediatore dia informazioni su circostanze di cui non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, le quali si rivelino poi inesatte e non veritiere, owero ometta di comunicare circostanze da lui non conosciute ma conoscibili con l'ordinaria diligenza professionale, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l'effetto, dal cliente Cass. 24 ottobre 2003 n. 16009 . Alla stregua di tale principio - cui questo Collegio si adegua - non può che condividersi il paradigma argomentativo posto a base della decisione impugnata che ha sul punto affermato sussistere l'inadempimento da parte del ricorrente dell'obbligo di informazione previsto dall'art. 1759 c.c., giacchè - accertata la centralità della veranda abusiva, non condonata né condonabile, nell'economia dell'affare, sia per la destinazione funzionale adibita a cucina e dunque a servizio sia per le caratteristiche strutturali la posizione centrale della stessa rispetto alla disposizione degli altri locali e l'ampia metratura - nello stesso modulo sottoscritto dalle parti, predisposto dal mediatore, si dava atto della regolarità edilizia ed urbanistica dell'immobile v. pag. 15 della sentenza impugnata . Ne discende che trattandosi di circostanza a lui nota ovvero in ordine alla quale aveva l'onere di controllare la veridicità delle informazioni ricevute, non ha assolto l'obbligo di corretta informazione, in base al criterio della media diligenza professionale, il quale comprende l'obbligo di comunicare non solo le circostanze note al mediatore ma anche quelle conoscibili con la diligenza professionale richiesta al mediatore, per quanto sopra esposto. I giudici di appello hanno, pertanto, correttamente fatto riferimento alla media diligenza professionale che avrebbe imposto un'indagine del mediatore in ordine alla situazione urbanistica dell'immobile in questione, prima di attestarne la regolarità, anche indipendentemente dalla possibilità che il contraente avesse di acquisire mediante gli ordinari mezzi di pubblicità ogni utile notizia, poiché era operante un obbligo specifico professionale nell'ambito dell'attività mediatoria, che, da una parte, integra una valida ragione per resistere, in tutto o in parte, alla pretesa dei pagamento della provvigione e, dall'altra, fonda la domanda di risarcimento dei danni nei confronti del mediatore. Sotto altro profilo si ravvisa la inconsistenza anche della asserita incongruenza della sentenza impugnata rispetto alle conclusioni del c.t.u., dal momento che il giudice distrettuale ha utilizzato i rilievi tecnici forniti dal consulente tecnico, quanto alla difformità edilizia ed urbanistica dell'appartamento in questione, per poi farne discendere - con valutazione di merito, incensurabile nel giudizio di legittimità - la rilevante incidenza economica dell'abuso sull'affare. Pertanto nessun apprezzabile discostamento vi è stato rispetto alle conclusioni del c.t.u., ma solo una diversa valorizzazione delle circostanze acquisite. Conclusivamente il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese dei giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese dei giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi €. 1.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.