Sì al danno biologico anche nel caso di vittima “non senziente”

In caso di morte intervenuta alcuni giorni dopo un sinistro stradale, il danno biologico patito dalla vittima, identificandosi come danno alla salute da invalidità temporanea benché irreversibile , va personalizzato secondo i parametri dettati dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008 le cosiddette sentenze di San Martino , atteso che una persona in stato soporoso, pur non avendo sofferenza cosciente, avverte comunque la sofferenza – seppur in misura minore rispetto a un soggetto vigile” fino alla morte – del suo fisico che sussiste e si aggrava fino alla decesso.

Il caso. La vicenda riguarda un brutto incidente stradale in cui ha perso la vita un giovane, terzo trasportato a bordo di un auto. Gli eredi del defunto agiscono nei riguardi del conducente e della compagnia di assicurazione per chiedere il ristoro dei danni da loro patiti in conseguenza del decesso del prossimo congiunto. Il caso giunge al cospetto della Suprema Corte sent. n. 10246/15, depositata il 20 maggio scorso per discutere dell’entità del danno risarcibile. Occorre subito precisare che i motivi di ricorso vengono giudicati inammissibili e/o infondati dalla Cassazione che sposa i principi enunciati dalle sentenze di primo e secondo grado. In particolare i ricorrenti lamentano il fatto che i giudici di merito nella quantificazione del danno non avrebbero considerato il periodo in cui il giovane dopo l’incidente e prima di morire era rimasto in coma e ritengono quindi insufficienti i valori monetari loro riconosciuti a titolo di risarcimento iure haereditario . Tale motivo in primo luogo è giudicato inammissibile dal momento che lo stato di coma del giovane non era mai stato oggetto di dibattito nei precedenti gradi di giudizio. In ogni caso la censura viene considerata anche infondata nel merito dato che la decisione di secondo grado è ampiamente motivata e resiste” al vaglio degli Ermellini. lucida agonia e insopprimibile angoscia La Cassazione ricorda che le note sentenze di San Martino” in particolare Cassazione Sezioni Unite 26973/2008 consentono il risarcimento del danno morale, quale lucida agonia e insopprimibile angoscia che assale la vittima consapevole della propria fine, mentre il limitatissimo intervallo di tempo intercorso tra la lesione e la morte impedisce la degenerazione in patologia del danno sofferto. Simili principi tuttavia non sono applicabili ai casi come quello in esame in cui la vittima deceda dopo diversi giorni in tali ipotesi non sarebbe contestabile infatti la sussistenza di un danno non patrimoniale rappresentato quanto meno dall’invalidità temporanea. Le Sezioni Unite però non chiarirebbero la regola da seguire nel caso in cui la vittima rimasta in vita per alcuni giorni non sia senziente”. Al riguardo i Giudici richiamano il precedente di Cassazione 21976/2007 secondo il quale il danno terminale, biologico e morale, sussiste tutte le volte in cui tra il fatto e la morte della vittima sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo anche solo 24 ore . A questo punto il danno biologico va personalizzato secondo i parametri indicati dalle Sezioni Unite tenendo presente che una persona in stato comatoso, pur non soffrendo, per così dire, pienamente” avverte comunque i patimenti del suo fisico che si aggravano inesorabilmente fino al momento del decesso. In caso di incoscienza quindi la sofferenza è senz’altro minore, ritiene la Cassazione, ma comunque sussiste e va risarcita come danno alla salute da invalidità temporanea, seppure irreversibile. Bene avevano fatto quindi i giudici di merito a liquidare il danno alla salute con riferimento ai 21 giorni di sopravvivenza” incosciente tenendo conto di parametri oggettivi di riferimento come l’età, la condizione comatosa, l’entità delle ferite subite. Peraltro il Tribunale aveva aumentato di un terzo tale quantificazione a titolo di danno morale soggettivo che invece, a stretto rigore, non avrebbe potuto essere considerato data la condizione di incoscienza della vittima. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentavano il fatto che nella liquidazione del danno non era stata riconosciuta la perdita del contributo economico che la futura attività lavorativa del giovane avrebbe portato agli eredi. Anche questo motivo viene respinto dato che i ricorrenti avevano omesso qualsiasi allegazione e prova in merito non dimostrando la partecipazione del giovane all’impresa paterna e non provando eventuali conseguenze negative su tale attività per via della scomparsa del figlio.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 12 novembre 2014 – 20 maggio 2015, n. 10246 Presidente Petti – Relatore Travaglino I fatti Gli odierni ricorrenti convennero dinanzi al Tribunale di Cosenza M.B. e la s.p.a. Bayerische Assicurazioni, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da loro patiti in conseguenza del decesso del prossimo congiunto G.B., terzo trasportato a bordo dell'auto condotta dal convenuto che, a causa dell'eccessiva velocità, ne aveva perduto il controllo cagionando il gravissimo incidente in cui aveva perso la vita il giovane. Il giudice di primo grado accolse in parte qua la domanda. La corte di appello di Catanzaro, dinanzi alla quale i B. avevano impugnato la sentenza, rigettò il gravame. Gli appellanti hanno proposto ricorso per cassazione sorretto da 2 motivi di censura e illustrato da memoria. Resiste con controricorso la Ergo s.p.a. subentrata, nelle more, all'originaria compagnia assicurativa convenuta in prime cure . Le ragioni della decisione Il ricorso è infondato. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2043, 2056 e 2059 c.c. in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c Il motivo - con il quale si lamenta, da un canto, la impredicabilità della circostanza dello stato di coma del giovane B., dall'altro, sotto plurimi profili, la insufficienza dei valori monetari riconosciuti agli istanti a titolo di risarcimento iure haereditario - è in parte inammissibile, in parte infondato. Inammissibile nella parte in cui viene prospettato in sede di legittimità una circostanza di fatto che non risulta - dalla lettura della sentenza impugnata - essere mai stata oggetto di dibattito nei precedenti gradi di giudizio i.e. lo stato di coma del giovane deceduto, del quale si mostra di dubitare nello svolgimento del motivo , senza che, in spregio al principio di autosufficienza del ricorso, venga indicato alla Corte in quale fase del giudizio di merito la questione sia stata tempestivamente sollevata e il suo esame illegittimamente pretermesso Infondato nella parte in cui, lamentando un insufficiente riconoscimento della gravità del danno patito dalla vittima e una conseguente esiguità del risarcimento, esso appare destinato ad infrangersi sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d'appello che, con ampia e articolata motivazione, ha ritenuto, in sintesi, di affermare i principi che seguono, sulla premessa in punto di fatto folio 12 della sentenza impugnata che G.B. non riprese mai conoscenza dopo l'incidente, restando ricoverato da quello stesso giorno il 22.9.1997 in stato di coma profondo nel reparto di rianimazione dell'ospedale di Cosenza sino alla data della morte 13.10.1997 La circostanza che il B. non avesse ripreso conoscenza non poteva ritenersi di scarso rilievo ai fini della personalizzazione del danno Il dictum delle sentenze di S. Martino in particolare, di Cass. ss.uu. 26973/2008 sul tema del danno da lucida agonia, e dell'insopprimibile angoscia che assale la vittima in attesa della fine - che sopraggiunge anche di lì a poche ore - consentiva la risarcibilità del danno morale inteso nella sua nuova e più ampia accezione , mentre il limitatissimo intervallo di tempo intercorso tra lesione e morte - fattispecie diversa da quella comunemente definita danno tanatologico , riferibile alla sola ipotesi di perdita del bene non della salute ma della vita come conseguenza immediata della lesione - impediva la degenerazione in patologia del danno sofferto Tale principio non appariva peraltro predicabile qualora la sopravvivenza del danneggiato si fosse protratta per alcuni giorni nella specie, quasi due settimane , ipotesi nella quale non era seriamente contestabile la sussistenza della componente di danno non patrimoniale rappresentato dalla invalidità temporanea, normativamente disciplinata da ultimo con il codice delle assicurazioni agli artt. 138 e 139 - In particolare, l'insegnamento delle sezioni unite di questa Corte sembrava non chiarire la regola da seguire per i soggetti non senzienti rimasti in vita per alcuni giorni, per i quali non può valere l'applicazione dei criteri di quantificazione che la decisione 26973 detta per il giudice del rinvio nel caso di un danneggiato in giovane età deceduto dopo poche ore a seguito delle gravi ustioni riportate, discorrendo espressamente di protrazione dell'agonia in stato di lucidità . sofferenze fisiche per le lesioni mortali e sofferenze morali per la coscienza della imminente fine della vita, di estrema gravità La più meditata presa di posizione sul punto era rappresentata da quanto affermato in Cass. 21976 del 2007, ove si legge che il danno terminale, biologico e morale, sussiste in tutti i casi in cui tra il fatto illecito e il decesso della vittima sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo, tale potendosi astrattamente considerare anche la sopravvivenza della vittima per 24 ore dal fatto sia il danno biologico, sia il danno morale terminali comprendono anche le sofferenze fisiche e morali sopportate dalla vittima in stato di incoscienza Il danno da liquidare, in tali casi, è quello sofferto nel tempo di cui si era predicata la caratteristica della apprezzabilità intercorso tra la lesione e la morte si trattava della più grave forma possibile di danno alla salute, rapportato al solo periodo di sopravvivenza dopo il sinistro, valutato come M. nella sua entità e intensità e conseguentemente destinato ad essere risarcito / attraverso una personalizzazione ispirata a criteri assai più pregnanti rispetto a quelli usualmente adottati - Il danno biologico - nella specie esistente e risarcibile in quanto la vita del giovane era continuata sino alla morte in una situazione psico-fisica gravemente compromessa -, identificandosi come danno alla salute da invalidità temporanea benché irreversibile , andava personalizzato secondo i parametri dettati dalle sezioni unite di questa Corte, atteso che una persona in stato soporoso, pur non avendo sofferenza cosciente, avverte comunque la sofferenza del suo fisico che sussiste e si aggrava fino alla morte - Negare in radice la possibilità di riconoscere questa lesione della salute avrebbe per converso significato accreditare una nozione di diritto della persona puramente astratta, riconoscendo il corrispondente diritto soltanto quando ne sia possibile il cosciente esercizio, con la inaccettabile conseguenza che andrebbe a legittimarsi una concezione di un minor diritto a sopravvivere di chi non sia assistito da piena coscienza - Nel procedere alla personalizzazione del danno, andava considerato che la vittima cosciente vede preclusa qualunque possibilità di recupero della propria salute, osservando la propria vita spegnersi più o meno lentamente e così subendo un gravissimo stress psico-fisico - mentre, in caso di incoscienza, la sofferenza era senz'altro minore Nella specie, essendosi protratta la sopravvivenza dello sfortunato giovane per 21 giorni, il danno alla salute subito andava liquidato con riferimento esclusivamente a tale periodo, sia pur con parametri diversi da quelli usualmente utilizzati per la liquidazione dell'indennità temporanea in tutte le ipotesi di evoluzione migliorativa della malattia Tale liquidazione, di natura strettamente equitativa, doveva tener conto, quali parametri oggettivi di riferimento, dell'età della vittima, delle sue condizioni di totale incoscienza, delle modalità di verificazione del fatto, dell'entità e della natura del vulnus subito Il criterio di liquidazione utilizzato dal Tribunale aveva tenuto conto di tali parametri e, nella liquidazione finale, aveva altresì operato un aumento di un terzo sulla somma liquidata a titolo di danno morale soggettivo - danno che, se rettamente inteso come sofferenza psico-fisica, non avrebbe neppure potuto esser riconosciuto, attesa la condizione di incoscienza in cui versava il B., anche se, sul punto, in mancanza di impugnazione incidentale, la decisione di primo grado doveva essere tenuta ferma Nel procedere ad una autonoma valutazione del danno, l'aumento di un terzo operato dal primo giudice a titolo di danno morale costituiva comunque una adeguata personalizzazione, adeguatamente correttiva del risultato ottenuto con il calcolo puramente matematico del danno biologico Il criterio di calcolo adottato, attraverso il quale la considerazione del danno biologico al 100% conduceva alla astratta quantificazione del risarcimento in una somma pari ad E. 681.785, appariva del tutto corretto, come del pari corretta risultava la liquidazione in concreto del danno subito con riferimento al tempo di vita effettivamente trascorso tra la lesione e la morte e non alla durata probabile della vita del defunto in termini, Cass. 23053 del 2009 870 del 2008 18163 del 2007 . La motivazione, condivisibile in ogni sua parte, si sottrae tout court alle critiche ad essa infondatamente mosse dal parte ricorrente. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2697, 2727 c.c. in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c Il motivo - che lamenta il mancato riconoscimento del danno patrimoniale conseguente alla perdita del contributo economico connesso alla futura attività del B. - è manifestamente infondato. Nel far propria, e per l'effetto confermare, la decisione adottata in proposito dal Tribunale, il giudice di appello fa rilevare come la assoluta mancanza di allegazione e di prova// della ipotetica derivazione, dalla mancata partecipazione del minore all'impresa individuale paterna, di una modificazione peggiorativa dell'assetto imprenditoriale in termini di lessione del reddito ovvero di mancata realizzazione di un suo incremento apparisse del tutto impeditiva al riconoscimento e alla liquidazione della predetta voce di danno. Il ricorso è pertanto rigettato. Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza. Liquidazione come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi euro 7200, di cui 200 per spese.