Salute e serenità familiare sono beni diversi, il cui pregiudizio va liquidato separatamente

Il risarcimento del danno da fatto illecito presuppone che sia stato leso un interesse della vittima, che da tale lesione sia derivata una perdita” concreta, ai sensi dell'art. 1223 c.c., e che tale perdita sia consistita nella diminuzione di valore d'un bene o d'un interesse. Pertanto, quando la suddetta perdita incida su beni oggettivamente diversi, anche non patrimoniali, come il vincolo parentale e la validità psicofisica, il giudice è tenuto a liquidare separatamente i due pregiudizi, senza che a ciò osti il principio di omnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale, il quale ha lo scopo di evitare le duplicazioni risarcitorie, inconcepibili nel caso in cui il danno abbia inciso su beni oggettivamente differenti.

Così la Terza Sezione della Cassazione nella sentenza n. 9320, depositata l'8 maggio 2015. La vicenda. Il Tribunale di Firenze aveva accolto la domanda di risarcimento del danno proposta dai genitori e dalla sorella del conducente rimasto vittima in occasione di un incidente stradale, addossandone l'integrale responsabilità all'altro conducente. Nel successivo giudizio d'appello, la Corte aveva ritenuto sussistere un concorso di colpa per l'eccessiva velocità a carico della vittima e aveva ridotto gli importi liquidati ovviamente parliamo dei valori in senso assoluto, quindi a prescindere dalla responsabilità . Si è quindi giunti davanti alla Terza Sezione di Cassazione. Cosa significa la liquidazione unitaria del danno imposta da SS.UU. 26972/08? L'importanza dell'intervento a Sezioni Unite nelle sentenze quadrigemellari del novembre 2008 è nota, ed è peraltro pari alla confusione pratica che le stesse hanno generato, sia negli operatori di base” come i liquidatori delle Compagnie che in giurisprudenza. Nel caso di specie, i ricorrenti avevano lamentato il fatto che la Corte territoriale avesse liquidato in maniera unitaria ed indistinta, motivando appunto con il preteso rispetto di quanto sancito dalle Sezioni Unite, sia il pregiudizio patrimoniale da morte del congiunto e sia il danno alla salute da invalidità permanente consistito in una malattia psichica causata dall'evento luttuoso. Nel cassare la sentenza di secondo grado la Cassazione opera un interessante ricostruzione del procedimento individuativo di una corretta liquidazione. Ciò che deve essere specificato e valutato, dal giudicante, ai fini di una corretta liquidazione è 1 l'interesse protetto che si assume violato 2 la perdita, patrimoniale o no, che ne è derivata e ciò secondo i dettami dell'art. 123 c.c. , richiamato dall'art. 2056 c.c. 3 la quantificazione del valore perduto. Nel caso di specie viene evidenziato come dalla lesione dell'interesse dei congiunti della vittima alla conservazione del vincolo effettivo che li legava alla stessa siano derivate due diverse perdite, ovvero a la perdita della serenità derivante dal vincolo familiare b la perdita della salute. Si tratta di perdite non patrimoniali eterogenee? Trattandosi di due beni serenità e salute ontologicamente diversi, ha dunque errato, secondo la Terza Sezione, la Corte d'appello fiorentina a liquidare in modo congiunto ed indistinto. Infatti la liquidazione congiunta richiesta dalle Sezioni Unite ha come presupposto che la perdita abbia interessato beni od oggetti omogenei. La nozione di unitarietà della liquidazione del danno non patrimoniale vuol dunque dire che lo stesso danno non può essere liquidato due volte sol perché lo si chiami con nomi diversi, ma non vuol certo dire che quando l'illecito produca perdite non patrimoniali eterogenee, la liquidazione dell'una assorba tutte le altre. E' l'omogeneità delle perdite concrete derivate dall'illecito che impone la liquidazione unitaria, e non la natura non patrimoniale dell'interesse leso . Peraltro la Cassazione ha ritenuto che la sentenza appellata contenesse anche un vizio di motivazione, non avendo in alcun modo specificato, la Corte d'appello, all'interno del danno patrimoniale, quale peso avesse la compromissione della salute. Viene così ricordato che il giudice che debba liquidare il danno no patrimoniale alla salute deve adottare e indicare in motivazione un criterio che garantisca a la parità di trattamento a parità di danno, adottando quindi un criterio standard uniforme b una adeguata considerazione delle specificità se presenti del caso concreto Ove il giudice ritenga, come oramai prassi costante, liquidare il danno alla salute col criterio cd. a punto variabile”, in motivazione dovrà indicare 1 il valore monetario del punto-base 2 il coefficiente id abbattimento in funzione dell'età della vittima 3 le ragioni per cui abbia ritenuto di variare ovvero non variare il risarcimento standard. Non avendo rispettato, i giudici d'appello, nessuno di questi precetti pacifici”, li definisce la Cassazione , ne è conseguita il rinvio delle sentenza alla Corte d'Appello.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 21 gennaio – 8 maggio 2015, n. 9320 Presidente Petti – Relatore Rossetti Svolgimento del processo 1. Il omissis nel territorio del Comune di omissis si verificò uno scontro frontale tra il veicolo Toyota condotto da M.A. e di proprietà del medesimo, e il veicolo Mercedes condotto da N.S. , di proprietà di L.E. ed assicurato contro i rischi della responsabilità civile dalla Milano Assicurazioni s.p.a In conseguenza del sinistro M.A. perse tragicamente la vita. 2. I genitori della vittima M.R. e B.S. e la sorella della vittima M.S. , assumendo che la responsabilità del sinistro fosse da ascrivere a N.S. , nel 2001 convennero dinanzi al Tribunale di Firenze, sezione staccata di Empoli, N.S. , L.E. e la Milano, chiedendone la condanna in solido al risarcimento del danno. 3. Il Tribunale di Firenze con sentenza n. 29 del 2005 accolse la domanda. 4. La sentenza venne appellata in via principale dalla Milano, la quale si dolse sia dell'attribuzione al proprio assicurato della responsabilità esclusiva del sinistro, sia dell'erroneità della stima del danno, ritenuta eccessiva. Anche i signori M. - B. impugnarono la sentenza di primo grado in via incidentale, lamentando una sottostima del danno da parte del Tribunale. La Corte d'appello di Firenze, con sentenza 14.7.2010 n. 1051, accolse parzialmente l'appello principale, e rigettò quello incidentale. La Corte d'appello ritenne sussistente un concorso di colpa della vittima nella misura del 30%, e rideterminò l'ammontare del danno non patrimoniale, riducendone l'importo rispetto a quanto liquidato dal primo giudice. 5. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da M.R. , B.S. e M.S. , sulla base di quattro motivi. Nessuno degli intimati si è difeso. Motivi della decisione 1. Tempestività del ricorso. 1.1. Il ricorso è tempestivo, ad onta dei 455 giorni intercorsi tra il deposito della sentenza d'appello e la notifica dell'impugnazione. Il presente giudizio, infatti, è iniziato in primo grado nel 2001 ad esso, di conseguenza, non s'applica la nuova previsione dell'art. 327 c.p.c., come modificato dalla L. 18.6.2009 n. 69, che ha ridotto a sei mesi il termine per l'impugnazione, in difetto di notifica della sentenza. La nuova previsione, infatti, ai sensi dell'art. 58, comma 1, della legge n. 69 del 2009, cit., si applica ai soli giudizi iniziati dopo il 4 luglio 2009, e per tali devono intendersi i procedimenti introdotti in primo grado dopo tale data, a nulla rilevando il momento in cui sia proposta l'impugnazione così Sez. 1, Sentenza n. 17060 del 05/10/2012, Rv. 624680 . Nel caso di specie, essendo stata depositata la sentenza d'appello il 14.7.2010, i ricorrenti hanno beneficiato d'una doppia sospensione feriale del termine annuale, per quanto detto di cui all'art. 327 c.p.c., termine scaduto pertanto il 16.10.2011. Essendo stato il ricorso proposto il 12.10.2011, esso è dunque tempestivo. 2. Inammissibilità del ricorso nei confronti di N.S. . 2.1. Il ricorso non risulta ritualmente notificato a N.S. . Dalla relazione di notificazione del ricorso, eseguita a mezzo del servizio postale, si rileva infatti che il plico non venne consegnato al destinatario perché irreperibile . La notifica è dunque inesistente. 2.2. È ornai pacifico nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui quando la notificazione di un atto processuale, da effettuare entro un termine perentorio, non si perfezioni per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha l'onere di chiedere all'ufficiale giudiziario la c.d. ripresa del procedimento notificatorio e, ai fini del rispetto del termine perentorio, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari, secondo la comune diligenza, per conoscere l'esito negativo della notificazione e assumere le informazioni del caso. Tale conclusione è imposta dal principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale per rinnovare una notificazione comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio ex multis, Sez. L, Sentenza n. 20830 del 11/09/2013, Rv. 627938 Sez. L, Sentenza n. 21154 del 13/10/2010, Rv. 615083 e soprattutto Sez. U, Sentenza n. 17352 del 24/07/2009, Rv. 609264 Sez. 5, Sentenza n. 6547 del 12/03/2008, Rv. 602726 . 2.3. Nel caso di specie, la notificazione del ricorso venne richiesta sin dal 2011, sicché i ricorrenti ed il loro difensore, con l'uso dell'ordinaria diligenza, avrebbero avuto ogni agio di reiterarla. Escluso dunque che questa Corte possa fissare alcun termine per rinnovare la notificazione, ne segue l'inammissibilità del ricorso nei confronti di N.S. , per difetto assoluto di notifica. L'impugnazione proposta nei confronti di N.S. va dunque separata dalle altre ex art. 103, comma 2, c.p.c., e dichiarata inammissibile. La separazione delle domande e la dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione nei confronti di N.S. non è impedita dalla natura della pretesa contro di lui azionata. N.S. infatti, in quanto conducente del veicolo che si assume causa del sinistro, non è litisconsorte necessario rispetto alla domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti della Milano s.p.a., né rispetto a quella proposta nei confronti dell'altro coobbligato, L.E. . La sua posizione processuale è dunque scindibile dalle altre. 3. Il primo motivo di ricorso. 3.1. Col primo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360, n. 3, c.p.c. sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c Espongono, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe errato nell'addossare alla vittima una corresponsabilità del 30% nella causazione del sinistro. Spiegano che l'errore sarebbe consistito a nell'avere ritenuto che la vittima tenesse al momento del sinistro una velocità non prudenziale, nonostante alcuna prova lo dimostrasse b nell'avere utilizzato come fonte di prova la velocità rimasta indicata sui tachimetro del veicolo condotto dalla vittima, il quale a causa dei guasti causati dall'urto non poteva ritenersi attendibile. 3.2. Nella parte in cui lamenta la violazione di legge, il motivo è infondato. Nel ritenere che il veicolo della vittima procedesse a velocità eccessiva, e che chi procede a velocità eccessiva può concausare un sinistro stradale, la Corte d'appello non ha ovviamente violato nessuna norma di legge. Anzi, ha fatto corretta applicazione della regola secondo cui non è dovuto il risarcimento per il danno che la vittima ha concausato a se stessa art. 1227, comma 1, c.c. . Stabilire, poi, se davvero la vittima abbia tenuto una velocità eccessiva, questo è un accertamento di fatto, che è sindacabile in questa sede solo se fosse insufficientemente motivato. È sin troppo evidente dunque che gli attori, col primo motivo del proprio ricorso, pretendono inammissibilmente di qualificare come violazione di legge una doglianza che in realtà investe un tipico accertamento di fatto, e cioè ricostruire la dinamica d'un sinistro stradale e ripartire le colpe. 3.3. Anche nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione il primo motivo di ricorso è infondato. Com'è noto, il vizio di omessa, insufficiente o contraddite ria motivazione sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. È altresì noto che il giudice di merito al fine di adempiere all'obbligo della motivazione non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma è invece sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. Pertanto, poiché la Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione del giudice del merito, non può chiedersi al giudice di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella adottata dal giudice di merito. Nel caso di specie la Corte d'appello ha valutato le prove raccolte ed ha attribuito loro un determinato significato, non implausibile questa. valutazione sfugge dunque al sindacato di legittimità, a nulla rilevando che V le prove raccolte potessero teoricamente essere valutate anche in modo diverso. 4. Il secondo motivo di ricorso. 4.1. Anche col secondo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360, n. 3, c.p.c. si assumono violati gli artt. 1227 e 2054 c.c. sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c Espongono, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe errato nel quantificare la colpa attribuita alla vittima nella misura del 30% e ciò sia per le ragioni già indicate illustrando il primo motivo di ricorso sia perché una più moderata velocità della vittima non avrebbe impedito l'evento sia perché in casi analoghi la stessa Corte d'appello di Firenze avrebbe valutato il concorso di colpa della vittima in misura inferiore al 30%. 4.2. Il motivo è manifestamente inammissibile, per le ragioni già indicate al p.3.3 della presente motivazione. 5. Il terzo motivo di ricorso. 5.1. Anche col terzo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all’art. 360, n. 3, c.p.c. si assumono violati gli artt. 1226, 2056 e 2059 c.c. sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c Pur essendo il motivo unitario, in esso vengono articolate due diverse censure. 5.1.1. Con una prima censura, i ricorrenti deducono che la Corte d'appello ha liquidato in modo unitario ed indistinto sia il pregiudizio non patrimoniale da essi patito in conseguenza della morte della persona cara sia il danno alla salute da invalidità permanente, consistito in una malattia psichica ed anch'esso causato dall'evento luttuoso. 5.1.2. Con una seconda censura pp. 14-15 del ricorso i ricorrenti lamentano che la Corte d'appello avrebbe sottostimato il danno non patrimoniale da essi patito in conseguenza della morte del proprio familiare. 5.2. La prima di tali censure è fondata la seconda resta assorbita dall'accoglimento della prima. 5.3. La Corte d'appello ha accertato in facto che la morte di M.A. ha causato ai suoi familiari sia la intuibile sofferenza derivante dal lutto, sia un danno alla salute, consistito in una malattia psichica. Dopo avere accertato questi fatti, la Corte d'appello ha ritenuto in iure che i pregiudizi appena descritti dovessero essere liquidati unitariamente, perché il danno non patrimoniale ha natura unitaria richiamando, al riguardo, il decisum di Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008, Rv. 605490 . Questa affermazione è erronea in diritto, e l'errore è duplice da un lato, non avere fatto corretta applicazione dell'art. 1223 c.c. dall'altro, non avere correttamente applicati i principi stabiliti dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, appena ricordata. 5.4. L'errore di diritto è consistito in primo luogo nella violazione dell'art. 1223 c.c L'art. 2056 c.c. stabilisce infatti che la liquidazione del danno derivante da fatto illecito deve avvenire in base alle regole stabilite dall'art. 1223 c.c. L'art. 1223 c.c., a sua volta, stabilisce che la liquidazione del danno deve avere riguardo alla perdita subita dal danneggiato. La perdita subita dal danneggiato non si identifica col diritto leso, ma costituisce la conseguenza della lesione. Il danno risarcibile è dunque la perdita causata dalla lesione di un interesse giuridicamente protetto. La distinzione concettuale tra la lesione dell'interesse e la perdita che ne deriva ha molte conseguenze pratiche da un lato, infatti, ne viene che il danno non può mai consistere nella mera lesione del diritto in sé e per sé considerata, ma deve provocare un pregiudizio concreto altrimenti si sarebbe al cospetto d'una iniuria sine damno , come tale improduttiva d'effetti giuridici. Dall'altro lato, ne viene che la lesione d'un solo interesse può provocare pregiudizi diversi così, ad esempio, la lesione dell'interesse all'integrità fisica può provocare sia un danno biologico, sia uno patrimoniale da perdita del reddito così come la lesione di interessi diversi può provocare un pregiudizio unitario ad esempio, l'uso indebito e diffamatorio del nome altrui, che pur ledendo il diritto al nome ed all'onore, provoca una unitaria ed inscindibile lesione della reputazione . 5.5. Quando dunque il giudice sia chiamato a liquidare il danno da fatto illecito, deve avere riguardo unicamente alla perdita subita dal danneggiato, non al numero di diritti che il fatto illecito ha leso. La perdita causata dal fatto illecito, di cui all'art. 1223 c.c., consiste nella diminuzione di valore d'un bene patrimoniale o d'un interesse non patrimoniale. Interesse , perdita e valore sono dunque i tre concetti che, generandosi a cascata l'uno dall'altro, devono essere rintracciati e soppesati dal giudice di merito per una corretta liquidazione, la quale esige - l'individuazione dell'interesse protetto che si assume violato - l'accertamento della perdita , patrimoniale o non, che ne è derivata - la quantificazione del valore perduto. 5.6. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione di questi principi. Nel caso di specie, infatti, l'illecito ha leso l'interesse dei congiunti della vittima alla conservazione del vincolo affettivo che li legava a quest'ultima. Dalla lesione di questo interesse, tuttavia, sono derivate due diverse perdite concrete - da un lato, la perdita della serenità derivante dal vincolo familiare - dall'altro, la perdita della salute. Salute e serenità familiare sono tuttavia beni oggettiva mente diversi. Sicché, per quanto detto, il pregiudizio ad essi arrecato andava liquidato separatamente, in applicazione del precetto di cui all'art. 1223 c.c., che impone una liquidazione parametrata alla perdita subita . 5.7. Come accennato, la liquidazione congiunta ed indistinta del risarcimento dei danno biologico e di quello da lutto, oltre a violare l'art. 1223 c.c., è viziata da un secondo errore di diritto, costituito dal fraintendimento della nozione di unitarietà del danno non patrimoniale , per come affermata da Sez. Un. 26972/08, cit È certamente vero che il danno non patrimoniale debba essere liquidato unitariamente, ma a condizione che la perdita di cui si è detto al p.5.5 abbia inciso su beni od interessi omogenei. Se, invece, l'illecito attinge beni eterogenei, avremo perdite diverse e dunque danni diversi. Così, ad esempio, dinanzi ad una lesione della salute, il bene diminuito è uno, e non è consentito liquidare separatamente il danno biologico, quello c.d. estetico , quello c.d. alla vita di relazione , od altri analoghi, i quali non costituiscono che nomi diversi coi quali indicare le diverse conseguenze che possono derivare da un infortunio. Per contro, se la vittima d'un sequestro di persona patisse lesioni personali, essa avrebbe diritto al risarcimento sia del danno non patrimoniale da lesione della salute, sia di quello da privazione della libertà in questo caso infatti ci troveremmo dinanzi a due interessi lesi, a due perdite libertà e salute ed a due danni. La nozione di unitarietà della liquidazione del danno non patrimoniale vuoi dunque dire che lo stesso danno non può essere liquidato due volte sol perché lo si chiami con nomi diversi ma non vuoi certo dire che quando l'illecito produca perdite non patrimoniali eterogenee, la liquidazione dell'una assorba tutte le altre. È l'omogeneità delle perdite concrete derivate dall'illecito che impone la liquidazione unitaria, e non la natura non patrimoniale dell'interesse leso. 5.8. Fondata è altresì, la denuncia del vizio di motivazione. La Corte d'appello, dopo avere ritenuto non corretta la liquidazione del danno non patrimoniale compiuta dal primo giudice, non ha in alcun modo indicato quale peso specifico, nella aestimatio del danno, abbia attribuito alla compromissione della salute, rispetto al danno causato dai lutto. Non è dunque possibile in alcun modo ricostruire l’ iter logico seguito dal giudice d'appello, e verificare se e come abbia accertato e valutato la lesione dell'interesse, della perdita e del valore, secondo quanto esposto in precedenza. È appena il caso di ricordare, a tal riguardo, come sia principio pacifico e risalente nella giurisprudenza di questa legittimità a partire almeno da Sez. 3, Sentenza n. 357 del 13/01/1993, Rv. 480259, in motivazione, sino alla più recente Sez. 3, Sentenza n. 21396 del 10/10/2014 quello secondo cui il giudice chiamato a liquidare il danno non patrimoniale alla salute deve adottare un criterio in grado di garantire due principi a da un lato, assicurare la parità di trattamento a parità di danno, attraverso l'adozione di un criterio standard uniforme b dall'altro, garantire adeguata considerazione alle specificità del caso concreto, attraverso la variazione in più od in meno del parametro standard. Nel motivare le ragioni della propria decisione, pertanto, il giudice di merito deve a indicare quale sia il parametro standard adottato come sia stato individuato e quali ne siano i criteri ispiratori e le modalità di calcolo b indicare se nel caso di specie, per quanto dedotto e provato dalle parti, sussista la necessità di variare in più od in meno il criterio standard . La motivazione con la quale il giudice di merito giustifica la liquidazione del danno alla salute deve dunque essere tale da rendere comprensibile l’ iter logico, giuridico e matematico seguito dal giudice ex infinitis , Sez. 3, Sentenza n. 6088 del 20/03/2006, Rv. 590613 . Ove poi, come è d'uso, il giudice di merito ritenga di liquidare il danno alla salute col criterio c.d. a punto variabile come consentito e, a determinate condizioni, imposto da Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011, Rv. 618048 , nella motivazione non può esimersi dall'indicare a il valore monetario di base dei punto b il coefficiente di abbattimento in funzione dell'età della vittima c le ragioni per le quali ha ritenuto di variare o non variare il risarcimento standard . Nel caso di specie, non uno di questi pacifici precetti è stato rispettato dalla Corte d'appello di Firenze, la cui decisione deve pertanto essere cassata con rinvio. 5.9. Il giudice di rinvio, nel procedere ad una nuova stima del danno non patrimoniale patito dagli attori, si atterrà al seguente principio di diritto Il risarcimento del danno da fatto illecito presuppone che sia stato leso un interesse della vittima, che da tale lesione sia derivata una perdita concreta, ai sensi dell'art. 1223 c.c., e che tale perdita sia consistita nella diminuzione di valore d'un bene o d'un interesse. Pertanto quando la suddetta perdita incida su beni oggettivamente diversi, anche non patrimoniali, come il vincolo parentale e la validità psicofisica, il giudice è tenuto a liquidare separatamente i due pregiudizi, senza che a ciò osti il principio di omnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale, il quale ha io scopo di evitare le duplicazioni risarcitorie, inconcepibili nel caso in cui il danno abbia inciso su beni oggettivamente differenti. 5.10. Nel procedere alla nuova liquidazione del danno non patrimoniale sia di quello alla salute, sta di quello da lutto , infine, la Corte d'appello si atterrà ai principi indicati supra , al p.5.8. 5.11. La seconda censura articolata col terzo motivo di ricorso la sottostima del danno non patrimoniale da uccisione del prossimo congiunto resta assorbita dall'accoglimento del primo profilo del terzo motivo di ricorso. Infatti, non avendo la Corte d'appello in alcun modo spiegato quanta parte del risarcimento complessivamente liquidato aveva Io scopo di compensare la lesione della salute, è impossibile conoscere per differenza in che misura sia stato liquidato il danno da lutto. Pertanto, per effetto della cassazione della sentenza impugnata, il giudice del rinvio dovrà liquidare nuovamente l'uno e l'altro dei suddetti danni, rendendo ostensibile l' iter logico seguito nella determinazione del quantum . 6. Il quarto motivo di ricorso. 6.1. Anche col quarto motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360, n. 3, c.p.c. si assumono violati gli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2729 c.c. sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c Espongono, al riguardo, che la Corte d'appello ha errato nel rigettare la loro domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, in quanto ha mal valutato le prove raccolte. Tali prove, secondo i ricorrenti, erano per contro sufficienti a dimostrare una stabile contribuzione patrimoniale della vittima a pro dei familiari conviventi. 6.2. Il motivo è manifestamente inammissibile. Esso, sotto la formale deduzione del vizio sia di legge che di motivazione, in realtà sollecita una nuova e diversa valutazione delle prove, rispetto a quella compiuta dal giudice di merito il che non è consentito a questa Corte. Né nei caso di specie si registra la mancanza totale o la irragionevolezza della motivazione la Corte d'appello ha infatti ritenuto che la vittima, in virtù della misura del reddito, del proprio stile di vita e delle proprie passioni, destinasse il proprio reddito alle proprie esigenze ed al proprio sostentamento. Ha soggiunto che la vittima, in considerazione dell'età 31 anni , se fosse rimasta in vita avrebbe verosimilmente costituito ben presto un proprio nucleo familiare distaccandosi da quello d'origine, e che dunque non fosse verosimile che dopo tale distacco vi sarebbe stata una contribuzione stabile della vittima alle esigenze economiche dei genitori. Ha, infine, soggiunto che il padre della vittima non era privo di reddito, e perciò non aveva bisogno di aiuti da parte del figlio. Questa motivazione è in sé del tutto logica, e come tale insindacabile in questa sede. Se poi fosse anche l'unica consentita dalle prove raccolte, come accennato, non è questione sindacabile in sede di legittimità. 7. Il quinto motivo di ricorso. 7.1. Anche col quinto motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360, n. 3, c.p.c. si assumono violati gli artt. 91 e 92 c.p.c. sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c Lamentano, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe errato nel compensare per un terzo le spese processuali del primo grado di giudizio, e comunque non avrebbe motivato tale decisione. 7.2. Il motivo resta assorbito dall'accoglimento del terzo motivo di ricorso. Infatti il giudice di rinvio, dovendo valutare nuovamente alcuni dei motivi dell'appello principale, a seconda dell'esito del nuovo giudizio provvederà alla liquidazione delle spese dei due gradi di merito. 8. Le spese. Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell'art. 385, comma 3, c.p.c P.Q.M. la Corte di cassazione, visto l'art. 380 c.p.c. - previa separazione della relativa domanda dalle altre, dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di N.S. - accoglie il terzo motivo di ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Firenze in diversa composizione - rigetta i restanti motivi di ricorso - rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità e di quelle dei gradi di merito.