Fase cognitiva e fase esecutiva: quando decade la domanda di equo indennizzo?

Il quesito che viene in rilievo riguarda la possibilità di coordinare il principio dell’unicità dei giudizi di cognizione ed esecuzione, al fine del computo del tempo necessario alla valutazione dell’irragionevole durata del procedimento. Consegue inoltre la necessità di individuare il corretto dies a quo del termine semestrale di decadenza per la proposizione della domanda di indennizzo.

È quanto risulta dall’ordinanza con cui la Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione n. 1382/15, depositata il 26 gennaio. Il fatto. La ricorrente chiedeva equa riparazione per irragionevole durata del procedimento civile iniziato nel 1975, definito in sede di cognizione nel 2000, riconoscendo alla ricorrente il diritto di ottenere l’abbattimento di un fabbricato che oltrepassava il confine, e ancora pendente in fase esecutiva al momento della presentazione del presente ricorso innanzi alla Corte di Cassazione. L’indennizzo per l’irragionevole durata del procedimento era stato richiesto in riferimento all’intera durata dello stesso, comprensiva sia della fase cognitiva che di quella esecutiva. La definitività della decisione. La Corte d’appello adita aveva negato la possibilità di ottenere l’equo indennizzo, ritenendo che la definitività della pronuncia, rilevante ai fini del decorso del termine semestrale per la proposizione della domanda di risarcimento, debba essere riferita al raggiungimento del fine al quale è deputato ogni singolo procedimento. Nel caso concreto dunque, il passaggio in giudicato della sentenza di cognizione costituiva il momento di decorrenza del termine semestrale di decadenza per la proposizione della domanda di equo indennizzo, la quale veniva quindi respinta. La responsabilità per la perdurante pendenza del procedimento. Inoltre la decadenza dal diritto di ottenere il risarcimento viene ricondotta anche al fatto che la perdurante pendenza del giudizio di esecuzione fosse imputabile al comportamento tenuto dalla ricorrente. Essendo infatti l’immobile da demolire parzialmente adiacente ad un rudere di proprietà di quest’ultima, si sono resi necessari accertamenti tecnici, finalizzati ad evitare danneggiamenti alla statica dell’intero edificio. I rilievi necessari risultavano però ostacolati dalla condotta della ricorrente che impediva l’accesso alla sua proprietà da parte dei tecnici, precludendo inoltre lo svolgimento delle necessarie perforazioni esplorative. In conclusione la Corte territoriale imputava lo stallo della fase esecutiva alla condotta della ricorrente, negando l’accoglimento della sua domanda di indennizzo e condannando la stessa al pagamento delle spese processuali. Decisione interna definitiva e unicità delle fasi di cognizione e di esecuzione. La ricorrente impugna la sentenza in Cassazione, sostenendo, con un unico motivo di ricorso, la violazione dei principi elaborati in sede di legittimità, nonché dalla giurisprudenza CEDU, in tema di decisione interna definitiva ed attribuzione della responsabilità per irragionevole durata del processo. Il motivo del ricorso sostiene che, in tema di individuazione della sentenza definitiva, in relazione alla quale decorre il termine per la richiesta di equo indennizzo, la fase esecutiva non può essere considerata come momento autonomo rispetto alla precedente fase cognitiva, dovendo essere l’intero procedimento considerato come un unicum finalizzato al conseguimento del bene della vita conteso. L’affermazione è sostenuta dal riferimento alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la quale afferma che il momento da considerarsi per la decorrenza del termine summenzionato, deve essere quello in cui il diritto conteso ha avuto effettiva realizzazione, essendo state stabilite le concrete modalità del suo esercizio. Anche la giurisprudenza di legittimità, in particolare la sentenza n. 6312/14 delle S.U., sembra essersi consolidata sui principi richiamati. Nel caso concreto, risulta dunque che il diritto di cui la ricorrente chiedeva riconoscimento può dirsi soddisfatto solo con la concreta demolizione dell’edificio che viola il confine. Per quanto riguarda invece l’addebito della responsabilità per lo stallo della fase esecutiva, la ricorrente rigetta ogni addebito, indicando invece, quale causa della paralisi procedurale, l’inefficienza dell’ufficio giudiziario. La necessità di una pronuncia delle Sezioni Unite. La Corte di Cassazione rileva in primo luogo come la pronuncia delle S.U. citata nel ricorso sia riferibile ad un caso diverso da quello in esame, con la conseguente impossibilità di estenderne le valutazioni. La fattispecie presentata alla S.C. con il ricorso in oggetto riguarda difatti la necessità di stabilire se il principio dell’unicità della fase di cognizione e di esecuzione, volte a tutelare il diritto conteso, possa determinare l’inapplicabilità della decadenza semestrale per la domanda di indennizzo per irragionevole durata, ove il procedimento cognitivo sia stato concluso in un termine irragionevole, secondo i parametri CEDU, senza che sia stata proposta tempestiva domanda di indennizzo, intervenuta invece successivamente e, nello specifico, durante la fase di esecuzione forzata. Nonostante i principi interpretativi ormai consolidati dalla giurisprudenza di legittimità, nonché dalle pronunce della Corte di Strasburgo, permangono seri dubbi in ordine alla controversia oggetto di giudizio dove, a seguito di definizione della fase esecutiva, peraltro oltre i limiti della ragionevole durata, era stata intrapresa l’esecuzione forzata successivamente allo spirare del termine semestrale di decadenza per la domanda di equo indennizzo. Per questi motivi, la Sesta sezione Civile ritiene di rimettere la causa alle Sezione Unite, per la definizione del principio di diritto applicabile al caso concreto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 7 ottobre 2014 – 26 gennaio 2015, numero 1382 Presidente Di Palma – Relatore Acierno Ordinanza interlocutoria E' stata proposta da O.Z. domanda di equa riparazione del danno sofferto in ordine all'irragionevole durata di un procedimento civile iniziato nel gennaio 1975 e definito in sede di cognizione il 22/1/2000 con ordinanza d'inammissibilità della Corte di Cassazione. Dopo la complessa fase di cognizione che aveva determinato la condanna della controparte della ricorrente all'abbattimento di un fabbricato che oltrepassava il confine, era seguita la fase di esecuzione intrapresa dalla ricorrente nel 2002 ed ancora pendente al momento dell'introduzione della domanda ex l. numero 89 del 2001. La lanni ha richiesto alla Corte d'Appello di Perugia l'indennizzo per l'intera durata del procedimento, comprensivo del giudizio di cognizione e di quello esecuzione senza soluzione di continuità, dal momento che solo con la chiusura di quest'ultima fase poteva dirsi effettivamente soddisfatto l'interesse tutelato. La Corte territoriale ha invece ritenuto che per definitività della decisione ai fini del decorso del termine semestrale di decadenza fissato nell'articolo della 1. numero 89 del 2001 debba intendersi quello in cui si consegue il fine al quale il singolo procedimento è deputato. In relazione al giudizio di cognizione tale definitività si determina con il passaggio in giudicato della sentenza che chiude tale fase. Alla luce di queste premesse la Corte territoriale ha ritenuto decaduta la parte ricorrente dal diritto di proporre la domanda d'indennizzo. In ordine alla fase relativa al procedimento esecutivo ha osservato la Corte d'Appello - l'attuazione ha posto problemi tecnici in quanto il fabbricato da demolire parzialmente è adiacente ad un rudere di proprietà della stessa ricorrente la demolizione parziale, pertanto, non doveva danneggiare la statica dell'intero edificio è stato necessario acquisire i necessari assensi amministrativi e procedere alla nomina di due consulenti d'ufficio, un architetto e un geologo le indagini peritali ed in particolare le perforazioni esplorative non potevano essere eseguite a causa delle condizioni pericolanti dell'edificio adiacente di proprietà della ricorrente non era possibile procedere tempestivamente all'ispezione di quest'ultimo fabbricato per mancata collaborazione della ricorrente in corso di procedimento esecutivo , veniva depositato dalla ricorrente progetto di demolizione di quest'ultimo fabbricato, in ordine al quale dovevano attendersi le debite autorizzazioni amministrative in mancanza di queste ultime e del successivo abbattimento del fabbricato della ricorrente, non era possibile procedere legalmente all'esecuzione forzata della sentenza definitiva di demolizione parziale di quello illegalmente sconfinante. In conclusione, la Corte territoriale riteneva che lo stallo della procedura esecutiva era stato dettato dalla condotta della ricorrente che, lasciando andare in rovina il proprio edificio adiacente a quello oggetto di esecuzione, aveva reso impossibile non solo la demolizione parziale dell'altro edificio ma anche le attività propedeutiche ad essa finalizzate. Anche la domanda d'indennizzo relativa alla fase esecutiva doveva pertanto essere disattesa e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione O.Z., affidato ad un unico motivo illustrato da sei quesiti cui è seguita memoria esplicativa. Ha resistito con controricorso il Ministero della Giustizia. E' stata dedotta la violazione degli articolo 2,4, 6 della 1. numero 89 del 2001 oltre che la violazione e mancata applicazione dell'articolo 6 § 1 e dell'articolo 13 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, nonché il vizio di motivazione in ordine alla determinazione della durata dell'intera procedura giurisdizionale. La censura ex articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. è stata prospettata anche in ordine alla violazione dei criteri elaborati dalla consglidata giurisprudenza CEDU in materia di decisione interna definitiva nonché in ordine all'errata attribuzione della responsabilità dell'eccessiva durata della mancata riparazione del fabbricato confinante. La medesima censura articolo 360 numero 3 e 5 cod. proc. civ. è stata formulata anche in ordine alla statuizione relativa alle spese di lite, non potendo la ricorrente essere ritenuta soccombente in mancanza di responsabilità della medesima. In ordine alla censura relativa alla errata identificazione della decisione interna definitiva la ricorrente ha evidenziato che il processo esecutivo non può essere considerato una fase autonoma rispetto a quello di cognizione bensì un unicum teso al conseguimento del bene della vita conteso. Ciò che rileva anche secondo la giurisprudenza di legittimità è il tempo necessario ad ottenere una risposta effettiva alla domanda di giustizia. Al riguardo la Corte di Strasburgo é stata lapidaria nell'affermare che ex articolo 6 CEDU per decisione definitiva deve intendersi il momento in cui il diritto ha avuto effettiva realizzazione. Pertanto anche quando per il diritto interno il giudizio si articola in due fasi la definitività si può individuare non quando vi è stata la pronuncia sull'esistenza del diritto ma quando si siano stabilite le modalità effettive del suo esercizio. Per quanto riguarda 1'addebitabilità alla parte ricorrente della responsabilità per la durata della fase esecutiva la parte ricorrente ha osservato che il giudice dell'esecuzione ha il potere di richiedere il rilascio di autorizzazioni, concessioni od altri provvedimenti alla pubblica amministrazione, avendo l'obbligo di risolvere i problemi tecnici e procedurali che si frappongono all'attuazione del diritto. La durata del processo esecutivo è esclusivamente addebitabile alle inefficienze della giustizia relative all'assenza reiterata dei tecnici d'ufficio, alle valutazioni non condivisibili del perito geologo, alla tardiva conoscenza dell'ostacolo costituito dal fabbricato della ricorrente. Anche l'accesso al fabbricato non é stato impedito dalla ricorrente ma da transenne apposte dai vigili del fuoco. Anche in ordine a tale ostacolo i consulenti d'ufficio erano tenuti a richiedere le autorizzazioni necessarie e procedere al sopralluogo. Infine per quanto concerne la statuizione sulle spese, viene osservato, ferma l'assenza di responsabilità della ricorrente in ordine alla durata della fase esecutiva, che la complessità delle questioni avrebbe imposto la compensazione delle spese processuali. Nella memoria la parte ricorrente rafforza le proprie argomentazioni relative alla qualificazione giuridica della decisione interna definitiva con il rinvio alla recente pronuncia delle S.U. numero 6312 del 2014. Tale decisione, come correttamente individuato dalla parte ricorrente deve costituire la base logica per l'esame dei motivi prospettati. Iñ particolare devono essere sottolineati i principi esposti nella pronuncia delle Sezioni Unite riguardanti il rapporto tra la fase di cognizione e quella di esecuzione del procedimento giurisdizionale. Le Sezioni Unite hanno affermato al riguardo - il principio di effettività della tutela giurisdizionale comprende qualsiasi attività processuale prevista dall'ordinamento volta a rendere concreta la realizzazione dei diritti azionati - l'esecuzione forzata, come stabilito dalla Corte Costituzionale sent.321 del 1998 e 198 del 2010 deve ritenersi costituzionalmente necessaria, in quanto connotato intrinseco della funzione giurisdizionale - la Corte EDU, in numerose pronunce ed in particolare nella sentenza Cocchiarella contro Italia della Grande Camera del 29 marzo 2006 ha ribadito che la fase di esecuzione costituisce parte integrante del processo ai fini dell'articolo 6 della Convenzione, sottolineando l'unicità del procedimento - il procedimento giurisdizionale, secondo una ricostruzione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, rispettosa degli artt. 24 e 111 Cost., nonché dell'articolo 6 della Convenzione così come declinato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo deve essere considerato come un unicum che ha inizio con l'accesso al giudice e fine con l'esecuzione ella decisione, definitiva ed obbligatoria - il giudizio di equa riparazione costituisce un'applicazione dei principi sopra esposti, così come indicato in numerose sentenze EDU, nelle quali si afferma che nei ricorsi in tema di durata della causa civile il procedimento di esecuzione costituisce la seconda fase del procedimento e il diritto rivendicato diventa effettivo soltanto al momento dell'esecuzione - può essere integrata la violazione dell'articolo 6 della Convenzione sotto l'autonomo profilo del diritto all'esecuzione delle decisioni interne esecutive anche nei casi di ritardo nel pagamento dell'indennizzo per irragionevole durata del procedimento. La pronuncia delle Sezioni Unite è stata sollecitata da specifiche questioni riguardanti il riconoscimento del diritto all'indennizzo ex 1. 89 del 2001 in caso di ritardato pagamento da parte della P.A. dell'importo maturato per il medesimo titolo a causa dell'irragionevole durata di un procedimento giurisdizionale e la ricomprensione di tale specifica tipologia d'indennizzo nell'ambito di applicazione dell'articolo 2 1. numero 89 del 2001. La fattispecie, di conseguenza, è radicalmente diversa da quella formante oggetto del presente giudizio, avendo in comune esclusivamente l'attivazione in entrambi i procedimenti della fase di esecuzione forzata, finalizzata, in un caso, ad ottenere mediante l'espropriazione forzata, la somma riconosciuta a carico della P. A. derivante dall'accertamento dell'irragionevole durata di un procedimento nell'altro a realizzare coattivamente la demolizione parziale del fabbricato illegalmente sconfinante. Proprio l'avvenuta instaurazione di tale fase ha dato luogo alle puntuali indicazioni delle S.U. relative alla riconducibilità ad un unicum della fase di cognizione e di esecuzione sulle quali si fonda il motivo di censura della parte ricorrente relativo all'inoperatività della decadenza semestrale ex articolo 41. numero 89 del 2001 in ordine al procedimento di cognizione, in quanto seguito dal successivo di esecuzione forzata. II computo dei termini e del conseguente indennizzo dovrebbe, secondo la parte ricorrente, in virtù dei principi espressi dalle S.U., essere eseguito senza soluzione di continuità, risultando superato il precedente orientamento, consacrato nella sentenza numero 27365 del 2009, in quanto fondato sul contrapposto principio dell'autonomia delle due fasi e sulla natura definitiva delle decisioni non più oppugnabili assunte in ciascuna di esse, anche ai fini del decorso del termine semestrale di decadenza. In quest'ultima pronuncia le S.U. avevano affermato l'autonomia della durata delle singole fasi e, come già rilevato, l'applicabilità del termine semestrale di decadenza per ciascuna di esse, all'esito di una decisione definitiva. Gli orientamenti successivi avevano dato continuità ai principi affermati dalle S.U. Cfr. Cass.16828 del 2010, 26875 del 2013 . Si tratta, pertanto, di stabilire se l'unicità della fase di cognizione e di esecuzione, in quanto entrambe rivolte a dare attuazione ed a realizzare il diritto tutelato, espressamente affermate dalle S.U. alla stregua di consolidati principi di natura costituzionale e convenzionale, possa determinare l'inapplicabilità dell'articolo 4 della 1. numero 89 del 2001, nell'ipotesi, coerente con la fattispecie dedotta nel presente giudizio, in cui il procedimento di cognizione si sia chiuso con decisione definitiva, in un tempo irragionevole secondo di parametri CEDU senza che sia stata proposta tempestivamente domanda d'indennizzo ex articolo 2 1. numero 89 del 2001 ed ad essa sia seguita, peraltro dopo un certo lasso di tempo, la fase di esecuzione forzata. In particolare il quesito è il seguente l'attivazione della fase di esecuzione forzata consente il computo dell'irragionevole durata del processo di cognizione anche quando quest'ultimo si sia chiuso con decisione definitiva e sia decorso il termine semestrale di decadenza dall'azione ex articolo 2. L'affermazione dell'unicità delle due fasi si contrappone al pregresso orientamento fondato sull'autonomia delle medesime fino al punto di rendere inapplicabile il predetto termine decadenziale per il procedimento di cognizione quando si sia chiuso con decisione definitiva? Deve osservarsi al riguardo che l'esecuzione forzata costituisce una facoltà della parte vincitrice nel giudizio di cognizione, esercitabile nei limiti temporali motto ampi della prescrizione del diritto sostanziale. Non infrequentemente si ricorre ad essa quando non siano andate a buon fine trattative volte ad ottenere l'adempimento spontaneo o in virtù di altre scelte insindacabili della parte. Il principio dell'unicità delle due fasi, di agevole applicabilità nelle fattispecie esaminate dalla giurisprudenza di Strasburgo ed anche in quella sottoposta al recentissimo esame delle S.U., in quanto caratterizzato da una fase di cognizione nella quale non si era oltrepassato il termine di ragionevole durata e dalla mancata perenzione di alcun termine di decadenza, determina rilevanti perplessità se correlato alla fattispecie dedotta nel presente giudizio, nella quale il giudizio di cognizione era durato ben oltre il termine di ragionevole durata e l'esecuzione forzata era stata intrapresa dopo lo spirare del termine semestrale di decadenza ex articolo 4 1. numero 89 del 2001. A giudizio del Collegio, le S.U., con la pronuncia numero 6312 del 2014, non affrontano specificamente questo profilo degli effetti dell'affermato principio dell'unicità del processo, ancorché articolato nelle due fasi di cognizione ed esecuzione. L'eliminazione, per effetto dell'instaurazione del procedimento di esecuzione forzata, della decadenza stabilita nel citato articolo 4 ritenuta del tutto compatibile con i principi regolanti in sede CEDU il giusto ed equo processo , non appare un corollario obbligato anche in considerazione dei possibili profili di abuso del diritto che si possono adombrare. In particolare, non appare risolta la questione relativa alla compatibilità con l'articolo 111 Cast. dell'estensione della facoltà di proporre la domanda d'indennizzo ex articolo 2 1. numero 89 del 2001, fino al limite della prescrizione del diritto in contesa nel processo presupposto, lasciando quiescente ed incerto, per un tempo potenzialmente molto lungo, nonostante l'espressa previsione di uno sbarramento temporale decadenziale, l'esercizio dell'azione sopra indicata e l'adempimento dell'obbligo della p.a. . E' necessario, pertanto, investire nuovamente le sezioni unite di questa Corte, trattandosi di questioni di particolare importanza, perché stabiliscano - come coordinare il principio dell'unicità dei giudizi di cognizione ed esecuzione, applicabile anche in ordine al computo del tempo ai fini della valutazione della durata ragionevole od irragionevole di un processo con la previsione di un termine di decadenza, così come stabilito nell'articolo 4 della 1. numero 89 del 2001 nella versione ratione temporis applicabile, ovvero quella in vigore fino al giorno 111812012 articolo 55, comma 2 d.l. numero 83 del 2012 conv. nella I. numero 134d01 2012 di sei mesi decorrente dal momento in cui la decisione è divenuta definitiva - se il dies a quo costituito dalla decisione definitiva così come indicato dal citato articolo 4 ai fini del computo del termine semestrale di decadenza possa ritenersi applicabile alla pronuncia passata in giudicato nel giudizio di cognizione, quando esso abbia avuto una durata irragionevole o invece debba identificarsi soltanto con la decisione conclusiva della successiva fase di esecuzione forzata -in quest'ultima ipotesi come computare la fase di quiescenza del procedimento, successiva alla conclusione definitiva del giudizio di cognizione ed anteriore all'instaurazione del giudizio di esecuzione. P.Q.M. La Corte, rimette la causa alle sezioni unite.