Dove finisce il danno temporaneo, inizia quello permanente

Il danno biologico di natura permanente deve essere determinato soltanto dalla cessazione di quello temporaneo, perché altrimenti la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe la duplicazione dello stesso danno.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 26897, depositata il 19 dicembre 2014. Il caso. Gli eredi di una donna 90enne deceduta in ospedale convenivano in giudizio l’ASL chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali ad essi spettante, iure proprio e iure hereditatis . La donna aveva subito una frattura del femore, mentre si trovava in ospedale, per la negligente assistenza notturna del personale sanitario. Nonostante un intervento di riduzione della frattura, la donna non era più stata in grado di camminare, ed era dovuta rimanere a letto fino al momento della morte, avvenuta per cause indipendenti. Gli eredi, in base alle tabelle, chiedevano una somma di circa 500.000 euro, da individuarsi nella misura del 100% di invalidità permanente e di 6 mesi di inabilità temporanea. La Corte d’appello di Genova riconosceva, invece, una somma di poco più di 100.000 euro. Gli eredi ricorrevano in Cassazione, contestando il disconoscimento, da parte dei giudici di merito, del risarcimento del danno biologico da invalidità permanente. La Corte di Cassazione approva però la decisione dei giudici di merito, fondata sulla distinzione, nell’ambito della liquidazione del danno biologico, tra inabilità temporanea ed invalidità permanente. Tale differenza si basa sul discrimine rappresentato dalla cessazione dello stato di malattia e dal subentro di uno stato di stabilizzazione dei postumi. Prima uno, poi l’altro. Infatti, in tema di danno biologico, la cui liquidazione deve tener conto della lesione dell’integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell’invalidità temporanea e di quella permanente, quest’ultima è suscettibile di valutazione solo dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l’individuo non abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi. Perciò, il danno biologico di natura permanente deve essere determinato soltanto dalla cessazione di quello temporaneo, perché altrimenti la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe la duplicazione dello stesso danno. In più, nel caso di specie, i giudici si erano trovati di fronte ad una situazione peculiare in cui l’entità del danno biologico equitativamente liquidabile non doveva essere rapportata, secondo i consueti criteri tabellari, ad una previsione dei durata media della vita del soggetto danneggiato, bensì, considerato il decesso della donna, per causa diversa, prima della liquidazione, alla durata effettiva della vita stessa. In un’eventualità simile, invece di una considerazione di tipo statistico-proiettivo, bisogna confrontarsi con il dato di certezza rappresentato dal tempo trascorso tra infortunio e decesso. Aspettativa di vita. L’età assume rilevanza in quanto con il suo crescere diminuisce l’aspettativa di vita, per cui è progressivamente inferiore il tempo per cui il soggetto leso subirà le conseguenze non patrimoniali della lesione della sua integrità psicofisica. Perciò, quando la durata della vita futura cessa di costituire un valore ancorato alla probabilità statistica e diventa un dato di certezza, in quanto il soggetto è deceduto prima della liquidazione, il danno biologico deve essere correlato alla durata di vita effettiva. Questo, infatti, è costituito dalle ripercussioni negative della permanente lesione dell’integrità psicofisica del soggetto per l’intera durata della sua vita residua. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 15 ottobre – 19 dicembre 2014, n. 26897 Presidente Travaglino – Relatore Stalla Svolgimento del giudizio Nel febbraio 2002 B.A. e C. convenivano in giudizio l'ASL X Chiavarese, chiedendone l'accertamento di responsabilità contrattuale o extracontrattuale nonché la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali ad essi spettante, iure proprio e iure hereditatis , in relazione all'infortunio occorso alla loro madre sig.ra R.M. il omissis , allorquando la stessa si trovava ricoverata presso l'ospedale di omissis . Esponevano, per quanto qui interessa, che - l'infortunio era consistito nella frattura del femore a seguito della caduta della donna all'epoca novantenne, essendo nata il 18 aprile 1908 per la negligente assistenza notturna del personale sanitario - nonostante intervento chirurgico di riduzione della frattura, la R. non era più stata in grado di deambulare, con conseguente suo allettamento fino alla data del decesso intervenuto, per causa indipendente, il omissis - il danno biologico subito dalla R. , che in corso di giudizio assumevano tabellarmente pari a complessivi Euro 565.629,78, doveva individuarsi nella misura del 100% di invalidità permanente e di sei mesi di inabilità temporanea totale, oltre al relativo danno morale. Nella costituzione in giudizio della ASL X Chiavarese ed in esito a consulenza tecnica d'ufficio, interveniva la sentenza n. 461/06 con la quale il tribunale di Chiavari, accertata la responsabilità della ASL convenuta, condannava quest'ultima al pagamento a favore degli attori della complessiva somma di Euro 101.925,32 oltre interessi e rivalutazione. Interposto appello principale dai B. ed appello incidentale dalla ASL X, veniva emessa la sentenza n. 397 del 31 marzo 2010 con la quale la corte di appello di Genova confermava la sentenza impugnata, disponendo la compensazione delle spese del grado. Avverso tale sentenza viene dai B. proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, ai quali resiste con controricorso la ASL X Chiavarese. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cpc. Motivi della decisione p.1.1 Con il primo motivo di ricorso i B. lamentano, ex art. 360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ., omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia e, segnatamente, circa l'interpretazione degli esiti della consulenza tecnica d'ufficio di natura medico-legale svolta nel primo grado di giudizio consulenza dalla quale la corte di appello si sarebbe discostata senza congrua motivazione. Si dolgono, in particolare, del fatto che la corte di appello abbia ritenuto corretta la decisione del primo giudice di non liquidare alcunché a titolo di invalidità permanente, limitandosi a riconoscere una invalidità temporanea totale dall'infortunio al decesso 520 giorni , nonostante che - il riconoscimento, per l'intero periodo intercorso tra l'infortunio ed il decesso, della sola inabilità temporanea presupponesse che lo stato di malattia conseguente all'infortunio non si fosse mai stabilizzato là dove, al contrario, lo stato di costante allettamento rappresentava l'esito della stabilizzazione del quadro clinico - tale condizione dovesse reputarsi particolarmente pregiudizievole per una novantenne che, al momento del ricovero, era completamente autosufficiente, svolgendo ella personalmente le faccende domestiche quotidiane come doveva desumersi dalla cartella clinica e dalle deposizioni testimoniali raccolte in primo grado - il consulente tecnico d'ufficio avesse più volte univocamente riferito della riconoscibilità nella specie di un periodo di inabilità temporanea totale di complessivi sei mesi, al termine del quale era subentrato, in esito alla stabilizzazione della patologia, uno stato di invalidità permanente, quale danno biologico da perdita della capacità di deambulare, pari al 100%. p.1.2 Con il secondo motivo di ricorso i B. lamentano, ex art. 360, 1^ co. n. 3 cod.proc. civ., violazione o falsa applicazione dell'articolo 3 Cost. e delle norme del codice civile che presiedono alla liquidazione equitativa del danno in ambito contrattuale ed extracontrattuale. La corte di appello, confermando anche in ciò la statuizione di primo grado, avrebbe in sostanza ritenuto che il danno biologico da invalidità permanente non potesse nella specie essere riconosciuto alla R. sulla base delle tabelle in uso, poiché dette tabelle stabiliscono il risarcimento da invalidità permanente sulla base della probabilità di vita media delle persone determinata dall'Istat, nel 2001, in anni 77,3 per l'uomo ed in anni 83,1 per la donna , e non sarebbero pertanto applicabili allorquando la liquidazione del danno intervenga successivamente al decesso dell'avente diritto poiché, in tal caso, la durata di vita costituisce dato di certezza e non di prognosi. Questa soluzione implicante nella specie l'indebito declassamento ” del danno da invalidità permanente in quello da inabilità temporanea aveva di fatto comportato, in violazione dei principi giurisprudenziali di personalizzazione del danno biologico, la decurtazione per circa il 90% del danno spettante alla R. pur avendo la medesima, al momento del sinistro, già di gran lunga superato 1 'età media nazionale, ed avendo vissuto dopo l'evento in questione per il lungo periodo di due anni sicché la signora R. e conseguentemente gli eredi della medesima, avrebbero dovuto essere risarciti con un indennizzo pari al 100% di invalidità permanente previsto dalle tabelle del tribunale di Milano per una persona di novant'anni, ovvero con una minima decurtazione vertendosi di situazione diametralmente opposta al caso in cui la stessa sopravvivenza di due anni dal sinistro si fosse verificata in una persona di 20 anni, deceduta per cause non imputabili all'evento, la cui aspettativa media di vita è sicuramente maggiore rapportata alla media nazionale . p.2.1 I due motivi di ricorso sono suscettibili di trattazione unitaria, in quanto entrambi incentrati - nella prospettiva ora della carenza motivazionale ed ora della violazione normativa - sul disconoscimento da parte del giudice del merito del risarcimento del danno biologico da invalidità permanente. Essi sono infondati. Il ragionamento seguito dalla corte di appello, confermativo dei criteri equitativi di liquidazione del danno fatti propri dal tribunale che ha liquidato, a titolo di danno biologico da inabilità temporanea, la somma di Euro 34.455,20, pari ad Euro 66,26 al giorno per 520 giorni trascorsi tra l'infortunio ed il decesso , è stato il seguente - alla R. spettava certamente il riconoscimento del danno biologico, stante l'apprezzabile intervallo di tempo circa due anni intercorso tra l'infortunio ed il decesso - il danno biologico, ove liquidato successivamente al decesso intervenuto per causa diversa dall'infortunio, doveva essere commisurato non alla durata prognostica, ma alla durata effettiva della vita dell'avente diritto il che avrebbe in ipotesi potuto comportare una decurtazione, rispetto ai parametri proiettivi tabellari, quand'anche la persona colpita dal sinistro fosse di giovane età - alla R. , deceduta all'età di 92 anni e già ben oltre, al momento del sinistro, la durata media della vita, non poteva essere applicato il criterio di liquidazione normalmente seguito quando al sinistro sopraggiunga per altre cause la morte - dalla ctu si ricavava che la conseguenza dei sinistro non è stata l'invalidità totale che, con tutta probabilità, considerata l'età della R. e le sue condizioni complessive di salute che emergono anche dalla cartella clinica del ricovero dell' OMISSIS , già preesisteva, ma l'impossibilità di deambulare che ha costretto la donna all'allettamento - ragionevole e corretta era la liquidazione del tribunale di una somma corrispondente alla inabilità temporanea per il periodo intercorso tra il sinistro e la morte della R. , atteso che in caso di immobilizzazione forzata determinata dal sinistro viene normalmente liquidato un importo pari a quello normalmente riconosciuto per la inabilità totale temporanea . Nel recepire, per relationem , la motivazione del tribunale, la corte di appello ha fatto proprie le affermazioni del primo giudice il quale, disattendendo il ctu ed accogliendo invece le osservazioni del consulente tecnico di parte ASL, ha ritenuto che la situazione patologica della donna successivamente al sinistro non abbia mai raggiunto una reale stabilizzazione, cosicché si debba parlare di malattia, e conseguente condizione di inabilità temporanea assoluta per tutto il periodo 520 giorni intercorso tra l'infortunio ed il decesso. Può pertanto riconoscersi in favore della vittima e quindi degli odierni attori esclusivamente il danno correlato alla malattia . Ha poi affermato il tribunale che la determinazione tabellare del danno biologico da invalidità permanente non era qui praticabile, in quanto riferita allo stabile pregiudizio dell'integrità psicofisica che residua una volta terminata la malattia e stabilizzata la condizione personale della vittima, ancorandosi ciò alla durata residua della vita del soggetto statisticamente ipotizzata . Poiché nel caso di specie la durata della vita della R. , successivamente al sinistro, costituiva un dato certo e non statisticamente ipotizzato, un'equa valutazione del pregiudizio subito non potrebbe che basarsi sulla corresponsione di una somma equivalente al riconoscimento di una invalidità temporanea assoluta per il periodo di vita intercorso tra l'infortunio ed il decesso . p.2.2 Sul piano della lamentata carenza motivazionale, è vero che la corte di appello - nell'escludere un'invalidità permanente causalmente derivante dall'infortunio - si è discostata da quanto osservato dal ctu, ma ciò ha fatto argomentando, sebbene in termini probabilistico - indiziari e di verosimiglianza, sulle pregresse condizioni della donna così come desumibili - dalla sua età al momento della caduta - dalle sue patologie pregresse, come risultanti dalla cartella clinica - da quanto osservato dal consulente tecnico di parte ASL già posto a fondamento della decisione del primo giudice, richiamata. Tutte queste emergenze, valutate sia in sé, sia in rapporto alla durata della vita della donna successivamente all'infortunio, hanno indotto la corte di appello a confermare il giudizio del tribunale secondo cui - nella concretezza della fattispecie e proprio in ragione dell'età e delle condizioni generali della donna - non poteva parlarsi di avvenuta stabilizzazione del quadro clinico conseguente alla caduta né, pertanto, del netto e distinguibile succedere di una vera e propria invalidità permanente al periodo di inabilità temporanea. In tale situazione, si ritiene che la valutazione operata dalla corte di appello non sia sindacabile in questa sede, proprio perché concernente aspetti fattuali riservati alla ricostruzione probatoria ed alla delibazione del giudice di merito. Né la doglianza di natura motivazionale potrebbe indurre - a confutazione di un opposto convincimento del giudice di merito sufficientemente argomentato a fronte di tutte le risultanze peritali in atti, d'ufficio e di parte - una rivisitazione in sede di legittimità del quadro fattuale. p.2.3 Sul piano della dedotta violazione di legge, la corte di appello risulta aver fatto corretta applicazione normativa, nella concretezza di una fattispecie improntata alla liquidazione equitativa del danno, dei principi che governano la materia. In primo luogo, la decisione impugnata si fonda sulla distinzione - nell'ambito della liquidazione del danno biologico - tra inabilità temporanea ed invalidità permanente ravvisando, tra le due, il discrimine rappresentato dalla cessazione dello stato di malattia e dal subentro di uno stato di stabilizzazione dei postumi. Ciò è conforme al principio per cui In tema di danno biologico, la cui liquidazione deve tenere conto della lesione dell'integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell'invalidità temporanea e di quella permanente, quest'ultima è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l'individuo non abbia, riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi. Ne consegue che il danno biologico di natura permanente deve essere determinato soltanto dalla cessazione di quello temporaneo, giacché altrimenti la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe la duplicazione dello stesso danno” Cass. n. 3806 del 25/02/2004 ed altre . In secondo luogo, il giudice di merito ha dato conto della peculiarità di una situazione nella quale l'entità del danno biologico equitativamente liquidabile non doveva essere rapportata, secondo i consueti criteri tabellari, ad una previsione di durata media della vita del soggetto danneggiato bensì - stante il decesso della R. , per diversa causa, prima della liquidazione - alla durata effettiva della vita stessa posto che, in tal caso, ad una considerazione di tipo puramente statistico-proiettivo deve sostituirsi, nella valutazione del danno biologico riportato, il dato di certezza rappresentato dal tempo trascorso tra l'infortunio ed il decesso. Soccorre anche in tal caso l'orientamento costante di legittimità Cass. n. 22338 del 24/10/2007 Cass. n. 23739 del 14/11/2011 ed altre in termini in base al quale, ai fini della liquidazione del danno biologico, l'età in tanto assume rilevanza in quanto col suo crescere diminuisce l'aspettativa di vita, sicché è progressivamente inferiore il tempo per il quale il soggetto leso subirà le conseguenze non patrimoniali della lesione della sua integrità psicofisica. Derivandone che, quando invece la durata della vita futura cessi di costituire un valore ancorato alla probabilità statistica e diventi un dato di certezza per essere il soggetto deceduto prima della liquidazione, il danno biologico riconoscibile tutte le volte che la sopravvivenza sia durata per un tempo apprezzabile rispetto al momento delle lesioni vada allora correlato alla durata della vita effettiva essendo lo stesso costituito dalle ripercussioni negative di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica della permanente lesione della integrità psicofisica del soggetto per l'intera durata della sua vita residua. Ne segue il rigetto del ricorso, con compensazione tra le parti - stante l'oggettiva delicatezza della vicenda - delle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso - compensa le spese.