Danno non patrimoniale: chi lo invoca deve anche provarlo

La struttura della responsabilità aquiliana presuppone che l’attore fornisca la prova del danno, di cui chiede il risarcimento il danno non può ritenersi, in re ipsa, coincidente con l’evento, esso non è infatti automatismo rispetto al fatto dannoso. Dunque, il danno non patrimoniale va provato da chi lo invoca, anche quando il fatto illecito integra gli estremi del reato.

E’ stato così deciso nella sentenza n. 25729, della Corte di Cassazione, depositata il 5 dicembre 2014. Il caso. Una donna, alla guida della propria autovettura, veniva investita da un altro veicolo, guidato da un’altra donna, che procedeva a velocità elevata. Dopo l’incidente, interveniva il padre dell’investitrice, il quale, strattonando l’investita, la faceva cadere, procurandole gravi lesioni, fino all’interruzione della sua gravidanza. Deceduto l’uomo, già sottoposto a procedimento penale, la persona offesa e il marito convenivano in giudizio gli eredi del defunto, chiedendo il risarcimento dei danni subiti. Il Tribunale accoglieva la domanda attorea e condannava i convenuti eredi dell’uomo al pagamento di una somma, a favore della persona offesa, e di un’altra somma a favore del marito di questa. Successivamente, la Corte d’appello da un lato, confermando la sentenza di prime cure, riteneva provata l’illiceità del comportamento dell’uomo dall’altro, rideterminava la quantificazione del danno a favore della p.o., escludeva un collegamento tra l’illecito e l’interruzione della gravidanza in termini probabilistici, anche perché la donna non aveva assolto l’onere probatorio in ordine al nesso eziologico fra condotta ed evento lesivo, ed, infine, escludeva il risarcimento del danno a favore del marito, ritenendo che non era stato dedotto nessun elemento a favore del turbamento della vita familiare. Era dovuto il risarcimento del danno morale? I coniugi ricorrevano per cassazione, lamentando la violazione di legge e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Secondo i ricorrenti la Corte d’appello non aveva dato il giusto rilievo al carattere plurioffensivo della condotta tenuta dall’uomo nei confronti della p.o., in violazione dei diritti garantiti dalla Costituzione. Inoltre, ritenevano che il risarcimento del danno morale fosse dovuto anche se non aveva provocato lesioni della salute, ma alla dignità e all’integrità morale della vittima. L’attore deve provare il danno non patrimoniale La Cassazione, nel decidere la questione in esame, ricorda che anche quando il fatto illecito integra gli estremi del reato, la sussistenza del danno non patrimoniale non può mai essere ritenuta in re ipsa , ma va sempre debitamente allegata e provata da chi lo invoca, anche attraverso presunzioni semplici Cass., n. 26972/2008 . che non coincide con l’evento. La responsabilità aquiliana, d’altronde, presuppone che l’attore provi il danno di cui chiede il risarcimento difatti, il danno non coincide con l’evento e non si pone come automatismo rispetto al fatto dannoso. La decisione della Corte d’appello, spiega la Cassazione, è del tutto conforme ai principi predetti, dal momento che ha riconosciuto il danno in favore dell’attrice prendendo come punto di riferimento le lesioni fisiche e i postumi permanenti del disturbo post-traumatico da stress ed ha determinato il quantum del danno biologico facendo riferimento alle tabelle e personalizzando il relativo importo. Doveva essere risarcito anche il marito? I ricorrenti censuravano l’impugnata sentenza per aver escluso il risarcimento del danno a favore del marito della p.o., sicché era ravvisabile un errore da parte dei Giudici di merito che non avevano considerato l’intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia. Nessuna lesione del rapporto parentale se E’ pacifico in sede di legittimità che quando la lesione della salute è assai lieve, non può configurarsi alcuna lesione del rapporto parentale. Perché ricorra quest’ultimo è infatti necessario che la vittima abbia subito lesioni seriamente invalidanti Cass., n. 8827/2003 oppure che si sia determinato uno sconvolgimento delle normali abitudini dei superstiti, tale da imporre scelte di vita radicalmente diverse che è onere dell’attore allegare e provare. Tale onere -spiega la Cassazione - va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche . Nel caso di specie, non era stato addotto dai ricorrenti nessun elemento a sostengo della richiesta di risarcimento a favore del marito della vittima, per cui era risultato difficile ipotizzare che in conseguenza del trauma psichico riportato dalla moglie, l’uomo potesse aver visto compromesso il rapporto coniugale. Sulla base di tali argomenti, la Suprema Corte rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 settembre – 5 dicembre 2014, n. 25729 Presidente Amatucci – Relatore D’Amico Svolgimento del processo 1. I coniugi C.V. e N.M. convennero, dinanzi al Tribunale di Matera, M.M.P. , F.R.P. e F.A. , quali eredi di F.Q. , esponendo che in data omissis la C. , mentre era alla guida della sua autovettura, era stata investita da altro veicolo che procedeva a velocità elevata con a bordo Maria Pia F. . Aggiungevano gli attori che la C. si era allontanata con la sua auto dal luogo dell'incidente unitamente alla F. portandosi presso l'ufficio di quest'ultima laddove era intervenuto il padre della convenuta il quale strattonò l'attrice facendola cadere e procurandole gravi lesioni che provocarono l'interruzione della sua gravidanza. Deceduto il F. , già sottoposto a procedimento penale, gli attori chiesero che, accertata la responsabilità di quest'ultimo nel verificarsi dell'evento, le convenute fossero condannate al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese legali. M.M.P. , F.R.P. e F.A. negarono il fondamento dell'avversa pretesa deducendo che nessun atto illegittimo era stato compiuto dal loro dante causa, contestarono il quantum della domanda risarcitoria ed eccepirono il difetto di legittimazione attiva del N. . Il Tribunale di Matera accolse la domanda e condannò le convenute al pagamento di Euro 38.406,20 in favore di C.V. e di Euro 2.500,00 in favore di N.M. , oltre interessi legali dal fatto dannoso, annualmente capitalizzati, e rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat. 2. Sull'appello proposto dagli eredi F. la Corte d'appello a ha ritenuto provata l'illiceità del comportamento del F. e sul punto ha confermato la sentenza del Tribunale b ha rideterminato la quantificazione del danno a favore della C. in Euro 13.155,36, oltre accessori, all'attualità, non condividendo quella del Tribunale c ha escluso un collegamento tra l'illecito commesso dal F. e l'interruzione della gravidanza in termini probabilistici ed ha ritenuto comunque che la C. non aveva assolto l'onere probatorio sulla stessa incombente in ordine al nesso eziologico fra condotta ed evento lesivo d ha escluso il risarcimento del danno a favore del marito della C. ritenendo che nessun elemento era stato addotto a sostegno del turbamento della vita familiare e comunque in conseguenza del trauma psichico riportato dalla stessa C. in occasione del fatto delittuoso che aveva comportato modesti postumi permanenti 5% . 3. Propongono ricorso per cassazione C.V. e N.M. , con tre motivi. Resistono con controricorso M.M.P. , F.R.P. e F.A. . Motivi della decisione 1. Con il primo motivo si denuncia - In relazione all'art. 360, comma 1, n.ri 3 e 5 C.p.C. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2059, 2727 e 2697 Cod. Civ., 112, 113 e 116 C.p.C. - Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio - ovvero - Sulla mancata ammissione al risarcimento delle altre ingiuste lesioni di interessi costituzionalmente garantiti diversi da quello tutelato dall'art. 32 Cost.”. Si sostiene che il tessuto motivazionale della sentenza impugnata appare incoerente e contraddittorio nonché in palese conflitto con numerose disposizioni di legge. In particolare, secondo la C. , la Corte d'appello, a differenza del Tribunale, mostra di non aver sufficientemente rilevato il carattere plurioffensivo della condotta tenuta dal F. nei suoi confronti, in violazione dei diritti garantiti dalla Costituzione. Nel caso in esame, prosegue C. , il risarcimento del danno morale, conseguente al reato, è dovuto anche se non ha provocato lesioni della salute in quanto ha certamente vulnerato la dignità e la integrità morale della vittima. Le medesime considerazioni valgono per N.M. , riguardo al quale la Corte d'appello non ha considerato l'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia. L'impugnata sentenza, nel liquidare tale danno, avrebbe dovuto far ricorso all'art. 2727 c.c., trovandosi in presenza di tutte le evidenze che permettevano il ricorso a presunzioni. Il motivo è infondato. Va ribadito il principio Cass., 26972/2008 secondo il quale, anche quando il fatto illecito integra gli estremi del reato, la sussistenza del danno non patrimoniale non può mai essere ritenuta in re ipsa, ma va sempre debitamente allegata e provata da chi lo invoca, anche attraverso presunzioni semplici. La struttura della responsabilità aquiliana presuppone che l'attore fornisca la prova del danno, di cui chiede il risarcimento, non potendo ritenersi che il danno sia in re ipsa , e cioè coincida con l'evento, poiché il danno risarcibile, nella struttura della responsabilità aquiliana, non si pone in termini di automatismo rispetto al fatto dannoso restando, quindi, un danno-conseguenza che non coincide con l'evento, che è un elemento del fatto produttivo del danno . Sennonché tale principio è stato rispettato dalla sentenza impugnata che ha riconosciuto il danno in favore dell'attrice prendendo come punto di riferimento le lesioni fisiche e i postumi permanenti del disturbo post-traumatico da stress ed ha determinato il quantum del danno biologico facendo riferimento alle tabelle e personalizzando il relativo importo. La decisione della Corte d'appello è corretta e non si presta a critiche in sede di legittimità mentre la ricorrente propone un riesame del merito della vicenda al fine di ottenere un più ampio risarcimento. Per quanto riguarda poi la posizione del N. , vale il principio secondo il quale, quando la lesione della salute è assai lieve, non può configurarsi alcuna lesione del rapporto parentale. Perché ricorra quest'ultimo è infatti necessario che la vittima abbia subito lesioni seriamente invalidanti Cass., 31 maggio 2003, n. 8827 o che si sia determinato uno sconvolgimento delle normali abitudini dei superstiti, tale da imporre scelte di vita radicalmente diverse che è onere dell'attore allegare e provare. Tale onere di allegazione va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche. L'impugnata sentenza ha considerato i pregiudizi e le particolarità cui il ricorrente fa riferimento ed ha rilevato che nessun elemento è stato addotto dallo stesso N. a sostegno del proprio assunto per cui appare difficile ipotizzare che in conseguenza del trauma psichico riportato dalla C. , in occasione del fatto delittuoso con modesti postumi permanenti, il ricorrente possa aver visto compromesso il rapporto coniugale. Diversamente argomentando si giungerebbe a riconoscere sempre, anche per lievi lesioni, il diritto del congiunto al risarcimento del danno, ampliando eccessivamente il numero dei soggetti aventi diritto al risarcimento. La limitazione di quest'ultimo per lesione del rapporto parentale, nei termini sin qui esposti, non configura comunque una violazione degli artt. 2, 29 e 30 Cost 2. Con il secondo motivo si denuncia in relazione all'art. 360, comma 1, n.ri 3 e 5 C.p.C. violazione e/o falsa applicazione degli artt. 40 e 41 C.P., 2043 e 2697 Cod. Civ., 113, 115 e 116 C.p.C. - Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio - ovvero - sulla valutazione delle lesioni fisiche subite dalla vittima e sulla ritenuta esclusione del nesso eziologico tra il fatto illecito e l'aborto”. La ricorrente censura la sentenza per l'errata valutazione del materiale probatorio relativo alla data dell'aborto e quindi alla riconducibilità di quest'ultimo al comportamento del F. . Riporta a tal fine le diverse tesi formulate nella c.t.u. e nelle c.t.p Il motivo è inammissibile perché verte esclusivamente su questioni di merito. L'accertamento del nesso causale tra il fatto illecito e l'evento dannoso rientra fra i compiti del giudice di merito ed è sottratto al sindacato di legittimità della S.C. la quale, nei limiti dell'art. 360 n. 5, è legittimata solo al controllo sull'idoneità delle ragioni addotte dal giudice di merito a fondamento della propria decisione Cass., 10 maggio 2005, n. 9754 . Nella fattispecie la sentenza impugnata non presenta vizi motivazionali e spiega in modo convincente, aderendo alle conclusioni della c.t.u., come sia da escludere una causa traumatica dell'aborto e da riconoscere per lo stesso una causa genetico-metabolica. La C. , secondo detta sentenza, ipotizza un collegamento fra l'illecito del F. e l'interruzione della gravidanza in termini probabilistici, non assolvendo l'onere probatorio su di lei incombente in ordine al nesso eziologico fra condotta ed evento lesivo. 3. Con il terzo motivo si denuncia in relazione all'art. 360, comma 1, n.ri 3 e 5 C.p.C. violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1283 C.C., 112, 113 e 345 C.p.C. - Omessa pronuncia circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ovvero - Sulla mancata pronuncia e mancato riconoscimento della capitalizzazione annuale degli interessi con decorrenza dalla domanda”. I ricorrenti chiedono il riconoscimento della capitalizzazione degli interessi, con decorrenza dalla domanda formulata per la prima volta in appello, a seguito dell'istanza di attribuzione degli interessi legali, formulata senza ulteriori specificazioni in primo grado. Il motivo è infondato. La disposizione che ammette l'anatocismo, dettata dall'art. 1283 cod. civ. in materia di obbligazioni pecuniarie, non enuncia un principio di carattere generale valido per ogni specie di obbligazione, ma ha carattere eccezionale, e non è quindi estensibile ai cosiddetti debiti di valore, quale è quello derivante dalla responsabilità per danni Cass., 15 luglio 2005, n. 15023 in motivazione . Correttamente l'impugnata sentenza, dopo aver determinato il risarcimento all'attualità, ha attribuito gli interessi al tasso legale sulle somme devalutate ed annualmente rivalutate dal dì dell'evento ed ulteriori interessi legali dalla sentenza al soddisfo, in applicazione del principio sancito dalla sentenza n. 1712/1995. 4. Il ricorso deve essere in conclusione rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 3.100,00 di cui Euro 2.900,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.